Con la sentenza 36211/2019 la Suprema Corte di Cassazione è intervenuta in merito al caso di un commercialista che aveva costruito una serie di operazioni ai fini di elusione fiscale. Il fulcro della sentenza sono le osservazioni esposte dalla Suprema Corte in merito al dolo rafforzato.
La controversia nasce da un ragioniere commercialista che elaborava un modello di evasione fiscale al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o IVA, o di interessi e sanzioni amministrative, alienando simultaneamente o comunque trasferendo in modo fraudolento i beni propri così da rendere inefficaci le procedure di riscossione coattiva. Il Giudice di secondo grado respingeva ulteriori aggravanti.
L'accusa ricorreva per Cassazione in quanto "deve considerarsi errata l'affermazione dei giudici del Riesame secondo cui l'aggravante ex art. 13-bis, comma 3, del d.lgs. 74/2000 non possa essere applicata al consulente fiscale che sia anche cointeressato nei soggetti giuridici beneficiari del meccanismo di evasione fiscale da lui elaborato, dovendosi piuttosto affermare che, integrando l'aggravante de qua un'ipotesi di concorso qualificato, il dolo risulta "rafforzato", per via di un proprio interesse patrimoniale all'evasione di imposta, che si aggiunge alla volontà di riscuotere il compenso."
La Cassazione ha chiarito che "l'unico aspetto controverso nella vicenda in esame è quello relativo alla configurabilità, a carico dell'indagato, della circostanza aggravante speciale che dispone che le pene stabilite per i reati di emissione di fatture per operazioni inesistenti, occultamento o distruzione di documenti contabili, omesso versamento di ritenute dovute o certificate, omesso versamento di iva, indebita compensazione e sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, reato quest'ultimo per cui si procede in questa sede siano aumentate della metà se il reato è commesso dal concorrente nell'esercizio dell'attività di consulenza fiscale svolta da un professionista o da un intermediario finanziario o bancario attraverso l'elaborazione o la commercializzazione di modelli di evasione fiscale."
L'applicabilità della nuova circostanza aggravante è condizionata alla sussistenza di un duplice presupposto, uno soggettivo, concernente la qualità dell'agente, e l'altro oggettivo, riguardante la tipologia della condotta contestata; entrambi soddisfatti nella sentenza in commento.
Secondo la Corte, la circostanza che il professionista o l'intermediario risulti a sua volta beneficiario diretto del meccanismo fraudolento da lui ispirato non è di per sé ostativa alla configurabilità dell'aggravante in esame, non ponendo la norma incriminatrice preclusioni in tal senso, occorrendo unicamente che anche altri soggetti siano coinvolti nell'azione illecita, come avvenuto nel caso di specie, essendosi avvalso del contributo fattivo di altri coimputati, in una articolata dinamica di rapporti societari, di cui il ricorrente, pur essendo il regista principale delle disinvolte operazioni volte a sottrarre il patrimonio delle società coinvolte alle pretese di recupero dei crediti erariali, non era tuttavia l'artefice esclusivo, cooperando egli con una pluralità di persone compiacenti.
Il compimento in un arco temporale non eccessivamente esteso (un paio di anni) di una serie di cessioni o locazioni di aziende, peraltro nel caso di specie riconducibili al medesimo gruppo familiare, può quindi assumere natura seriale, laddove si accerti, da un lato, la pretestuosità delle operazioni, formalmente lecite, ma sostanzialmente elusive degli obblighi tributari e, dall'altro, la riproducibilità in futuro degli schemi negoziali già predisposti in maniera ripetuta, in esecuzione di una precisa "strategia" riconducibile al concorrente qualificato.
Per questi motivi la Cassazione ha accolto il ricorso e rimandato in secondo grado la disputa, così da avere un nuovo riesame dell'aggravante per il commercialista.
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