Con ordinanza n. 18817 del 12 luglio 2019, la Cassazione ha affermato che, a fronte di una richiesta del lavoratore finalizzata ad avere meno carichi di lavoro ed a seguito di una redistribuzione dei suoi compiti, effettuata al rientro di una lunga assenza, non sussiste alcun demansionamento per cui nessun danno risulta risarcibile .
Il caso riguardava un ingegnere categoria D in forza presso un ente locale, che aveva fatto ricorso presso i giudice del lavoro per un preteso demansionamento ovvero "svuotamento pressoche totale dei propri compiti" effettuato dall'azienda al suo rientro da una malattia . Per questo chiedeva il risarcimento dei danni patrimoniali e non.
Il tribunale del lavoro ha accolto il ricorso ma in appello è stata invece rilevata l'inesistenza del demansionamento. La Corte d’appello ha dimostrato come prima dell'assenza il dipendente avesse richiesto di essere sollevato da alcuni incarichi troppo complessi e articolati per essere svolti con la necessaria cura, oppure di essere affiancato da altro personale.
La cassazione ha confermato la sentenza di appello che non risulta viziata da alcun difetto di illogicità o errata applicazione della normativa, come affermato dal ricorso del dipendente, e ribadisce che non risulta nel caso alcun demansionamento bensi una riorganizzazione dovuta per un migliore servizio pubblico, proprio sulla base dei rilievi mossi dal dipendente che chiedeva a questo fine una riduzione dei propri incarichi.
In assenza di demansionamento quindi non è dovuto alcun risarcimento del danno e il ricorrente è condannato alla copertura delle spese di giudizio e al contributo unificato (comma 1 bis art. 13. dl115 2002).