Le buste paga sottoscritte dal lavoratore con la formula "per ricevuta" costituiscono prova solo della avvenuta consegna dello specifico documento e non anche dell'effettivo pagamento, che deve essere provato diversamente dal datore di lavoro. Questo il principio riaffermato dalla Cassazione nella sentenza n. 21699 -2018, con numerosi precedenti conformi
Il caso in particolare riguardava un lavoratore che vantava verso l'azienda differenze retributive e per t.f.r. per complessivi 26.831,41 euro. All'esito della prova testimoniale, il giudice del lavoro rigettava la domanda del lavoratore mentre la Corte d'Appello accoglieva il suo ricorso.
I giudici della Cassazione hanno rigettato il ricorso dell’azienda, basandosi sull’orientamento giurisprudenziale maggioritario secondo cui l’obbligo, previsto a carico del datore di lavoro dall'art. 1 della legge 5 gennaio 1953 n. 4, di consegnare ai lavoratori dipendenti all'atto della corresponsione della retribuzione un prospetto contenente l'indicazione di tutti gli elementi costitutivi della retribuzione, non fornisce la prova dell'avvenuto pagamento: infatti non sono sufficienti le annotazioni contenute nel prospetto stesso, e se il lavoratore contesta che il pagamento sia avvenuto spetta al datore di lavoro la prova rigorosa dei pagamenti in effetti eseguiti.
Di conseguenza, non esiste una presunzione assoluta di corrispondenza della retribuzione percepita dal lavoratore rispetto a quella risultante dai prospetti di paga ed è sempre possibile l'accertamento della insussistenza del carattere di quietanza anche delle sottoscrizioni eventualmente apposte dal lavoratore sulle busta paga.
Il principio è stato recentemente esplicitamente ribadito anche nella norma che vieta l'erogazione in contanti della retribuzione, contenuta nella legge di bilancio 2018 L.208-2017.
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