La revoca degli incentivi contenuta nell’articolo 6 del decreto legge “dignità” (87/2018) non vale per i licenziamenti economici. L' applicazione non è ancora ben delineata e rimanda a specificazioni da parte degli enti erogatori , ma questo è uno dei pochi punti chiari e certi del decreto.
Vediamo meglio cosa prevede la normativa appena entrata in vigore, e quali sono gli aspetti da approfondire, secondo l'analisi degli esperti del Sole.
ART. 6 DECRETO DIGNITA': "Tutela dell’occupazione nelle imprese beneficiarie di aiuti" stabilisce la revoca degli aiuti fruiti dalle aziende.
LA RESTITUZIONE DEL BENEFICIO
Il beneficio da restituire consiste nel capitale ricevuto, cui vanno aggiunti gli interessi calcolati come tasso di interesse ufficiale di riferimento vigente alla data di erogazione dell’aiuto, maggiorato di cinque punti percentuali.
Gli importi avranno la precedenza su ogni altro titolo di prelazione da qualsiasi causa ad eccezione di spese di giustizia ,crediti per retribuzioni e provvigioni, crediti dei coltivatori diretti, cooperative e imprese artigiane (art.2751-bis c.c.) e fatti salvi i diritti preesistenti dei terzi.
I DUBBI
Gli incentivi sono definiti «misure di aiuto di Stato che prevedono la valutazione dell’impatto occupazionale ma non è chiaro se ci si riferisce solo a
quelli di origine comunitaria o anche quelli erogati da Stato, Regioni ed Enti locali. Inoltre andrebbe chiarito se in questa definizione rientrino le integrazioni salariali (CIGO, CIGS).
Altro dubbio è come definire il quinquennio entro il quale si applica l'obbligo di restituzione nel caso di incentivi legati all’occupazione che vengono fruiti mensilmente (vedi il caso dell'esonero contributivo biennale per i giovani della legge di stabilità 2018)
Anche sulle modalità di applicazione potrebbe emergere un problema: la norma non rinvia a un decreto attuativo e la relazione illustrativa affida il compito a ciascun ente concedente l'aiuto. Questa modalità rischia di generare difformità di applicazione con possibile conseguente contenzioso che crea costi aggiuntivi e mina la credibilità dello stato nei mercati esteri.
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