Con l’Ordinanza 8907 dell’11 aprile 2018, la Cassazione ha chiarito il principio per cui anche le imprese minori in contabilità semplificata devono indicare il valore delle rimanenze, con valutazione distinta per categorie omogenee.
La controversia è partita da un avviso di accertamento scaturito da un p.v.c. con cui l’Agenzia delle entrate contestava ad un imprenditore in contabilità semplificata la discordanza tra il valore delle rimanenze di magazzino e quello delle giacenze contabili: la differenza veniva valorizzata in quanto ritenuta afferente a vendite “in nero”.
Infatti, l’articolo 39, comma 2 del DPR 600/1973 consente all’Amministrazione Finanziaria di procedere alla rettifica induttiva del reddito di impresa: presupposto di tale tipologia di accertamento è il disconoscimento dell’intero impianto contabile per la presenza di irregolarità formali così numerose da rendere la contabilità inattendibile nonché carente dal punto di vista della sistematicità. In questi casi l’Ufficio può anche prescindere, nella ricostruzione del reddito, dalle risultanze delle scritture contabili, procedendo in base a dati e notizie comunque raccolti o venuti a conoscenza, avvalendosi cioè anche di presunzioni cc.dd. “supersemplici”, prive dei caratteri di gravità, precisione e concordanza. n particolare, il DPR. 570/96 (recante il regolamento per la determinazione dei criteri in base ai quali la contabilità ordinaria è considerata inattendibile) fissa dei casi al verificarsi dei quali scatta l’inattendibilità delle scritture contabili, tra cui vi è anche la mancata annotazione, nel libro degli inventari o nella nota integrativa, dei criteri di valutazione delle rimanenze.
La Ctp di Bari accoglieva parzialmente il ricorso dichiarando dovuta solo la sanzione per l’omessa compilazione del prospetto delle rimanenze.
La Ctr rigettava sia l’appello principale del contribuente che quello incidentale dell’Agenzia delle entrate che chiedeva la conferma dell’accertamento.
Ricorrendo in Cassazione il contribuente denunciava la violazione, falsa applicazione ed erronea interpretazione del combinato disposto degli articoli 18, comma 2, d.p.r. 600/1973, 62 comma 1, d.p.r. 597/1973 e 9 comma 1 d.lgs. 471/1997, in quanto in un precedente di legittimità le "imprese" minori sono state esentate dall'obbligo di predisporre il prospetto analitico per categorie omogenee delle rimanenze. I giudici di Cassazione hanno rigettato la doglianza attraverso un’interpretazione sistematica della normativa: infatti l'art. 18 comma 2 del DPR 600/73 che disciplina le modalità di tenuta della contabilità semplificata per le "imprese minori" prevede che "i soggetti che fruiscono dell'esonero, entro il termine stabilito per la presentazione della dichiarazione annuale, indicano nel registro degli acquisti tenuto ai fini dell'imposta sul valore aggiunto il valore delle rimanenze". Tale norma, però, disciplina solo l'aspetto formale della condotta che deve essere tenuta dalle imprese minori sul punto (indicazione delle rimanenze), mentre il contenuto sostanziale della stessa è disciplinato dall'art. 62 comma 1 del d.p.r. 29-9-1973, n. 597, il quale dispone che "le rimanenze dei beni indicati nel primo comma dell'art. 53 si valutano distintamente per categorie omogenee, formate da tutti i beni del medesimo tipo e della medesima qualità".
Solo in un isolato precedente (cfr. Cass. 4307/1992) si è sostenuto che per le imprese minori non fosse necessario indicare le rimanenze in base a categorie omogenee essendo sufficiente l’indicazione del valore globale nel registro Iva acquisti. Tutte le pronunce successive cui la Cassazione ha ritenuto di adeguarsi, hanno stabilito che anche le imprese minori devono indicare nel registro degli acquisti tenuto ai fini Iva il valore delle rimanenze, la cui valutazione deve essere fatta distintamente per categoria omogenee, formate da tutti i beni del medesimo tipo e delle medesima quantità. In altri termini,
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