Con la sentenza 12132/2023 la Cassazione ha ampliato l'ambito di applicabilità dell'obbligo di repechage da rispettare prima del licenziamento di un lavoratore per giustificato motivo oggettivo, anche a possibili posizioni lavorative libere "nel futuro prossimo" .
Prima di analizzare la sentenza rivediamo in generale in cosa consiste il repechage.
Secondo quanto detto dalla giurisprudenza di legittimità il licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo, (art. 3 della L. 604/1966) ovvero per motivo economico e di organizzazione produttiva , è determinato dalla necessità di procedere alla soppressione del posto o del reparto cui è addetto il singolo lavoratore, ma per essere considerato legittimo deve essere provato il datore ha l'onere di provare che il lavoratore non poteva essere utilizzato in altre mansioni compatibili con la qualifica rivestita, in relazione al concreto contenuto professionale dell'attività cui il lavoratore stesso era precedentemente adibito (ex plurimis, Cass., n. 10554/2003).
Inoltre in relazione al concreto contenuto professionale dell'attività cui il lavoratore era precedentemente adibito, la giurisprudenza della Corte ha precisato che il datore di lavoro ha l'onere di provare, con riferimento alla organizzazione aziendale esistente all'epoca del licenziamento e anche attraverso fatti positivi, la impossibilità di adibire utilmente il lavoratore in mansioni diverse ma equivalenti da quelle che prima svolgeva (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 5893/1999; 12367/2003).
Possono considerarsi equivalenti a quelle espletate le mansioni oggettivamente comprese nella stessa area professionale e salariale e che si armonizzano con la professionalità già acquisita dai lavoratore nei corso del rapporto, sì da impedirne la dequalificazione (cfr, ex plurimis, Cass., n. 7370/1990).
La Cass. civ., n. 6441 del 1988, aveva ritenuto che, ai sensi dell’art. 2103 c.c., la modifica in peius delle mansioni de lavoratore è illegittima, salvo che sia stata disposta
con il consenso del dipendente e per evitare il licenziamento o la messa in cassa integrazione del lavoratore stesso, la cui diversa utilizzazione non contrasta, in tal caso, con l'esigenza di dignità e libertà della persona. Da rilevare anche che è stato ritenuto che non costituisce violazione dell’art. 2103 c.c., un accordo sindacale che, in alternativa al licenziamento per ristrutturazione aziendale, preveda l'attribuzione di mansioni diverse e di una diversa categoria con conseguente orario di lavoro più
lungo (Cass., n. 9386/1993).
Nella sentenza n. 13379 del 26 maggio 2017 la Cassazione ha ribadito che nell'ipotesi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo conseguente a soppressione del posto di lavoro a seguito di riorganizzazione aziendale; "il datore di lavoro ha l'onere di verificare la presenza di mansioni anche inferiori da assegnare al dipendente in esubero . In particolare nel caso sia presumibile una sua disponibilità al loro svolgimento".
Nel caso di specie un lavoratore accanto alle mansioni prevalenti, aveva negli anni svolto una volta la settimana mansioni promiscue inferiori.
La recente Cassazione riprende e amplia un orientamento molto risalente affermando che sulla base del principio di correttezza e buona fede obbligatori nel rapporto di lavoro la situazione aziendale al momento del licenziamento non non è il solo ambito in cui valutare le disponibilità di mansioni affidabili al dipendente ma vanno considerati anche posti che si renderanno disponibili in un arco temporale del tutto prossimo»
Era già stato affermato che " se nel breve periodo successivo si addivenga a nuove assunzioni, per ritenere raggiunta la prova della inutilizzabilità aliunde del lavoratore licenziato, il cui onere grava sul datore di lavoro, è necessario che questi indichi le mansioni affidate ai nuovi assunti, specificando le ragioni per cui esse non siano da ritenersi equivalenti a quelle svolte dal lavoratore licenziato " (cfr, ex plurimis, Cass., nn.12548/1997; 12367/2003)
Nel caso analizzato dalla cassazione al momento del licenziamento del ricorrente erano infatti state rassegnate le dimissioni da due lavoratori che erano nel periodo di preavviso. Questo depone quindi per un possibile ricollocamento del lavoratore e per la conseguente illegittimità del licenziamento.
L'applicazione risulta molto estensiva anche sulla base del fatto che la Corte non ha preso in considerazione il fatto che non sono state registrate in realta assunzioni successive al licenziamento del lavoratore, elemento su cui si erano basate le decisioni avverse delle corti di merito.
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