1) vizio di motivazione, in relazione alla mancanza di una rielaborazione critica delle prove, ed al richiamo del verbale di constatazione; lamenta che la quantità di IVA evasa sia stata calcolata sulla base di un volume di affari presunto e non effettivo, non essendo stato stabilito se i bonifici bancari fossero al netto o al lordo dell'IVA, e sulla base di un modello di dichiarazione rinvenuto, ma non presentato; nessuna verifica o valutazione è stata operata in ordine all'ammontare dell'imposta evasa, ed ai costi sostenuti dalla società;
2) violazione di legge in ordine alla sussistenza del dolo specifico di evasione: la successiva regolarizzazione dimostra che l'omessa presentazione era dovuta solo alla difficile crisi economica della società, che ha costretto l'imputato a ritardare l'adempimento per evitare il fallimento.
La Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso, precisando che ai fini della configurabilità del reato di omessa dichiarazione ai fini di evasione dell’imposta sui redditi, spetta esclusivamente al giudice penale il compito di accertare e determinare l’ammontare dell’imposta evasa, sulla base della contrapposizione tra ricavi e costi d’esercizio detraibili, attraverso una verifica.
Il risultato della verifica può sovrapporsi o anche entrare in contraddizione con quella eventualmente effettuata dinanzi al giudice tributario in quanto c'è l’autonomia dei due processi.
Il giudice penale, quindi, può determinare l’ammontare dell’imposta evasa facendo ricorso alle risultanze delle indagini bancarie svolte nella fase dell’accertamento tributario, ma deve comunque procedere ad autonoma verifica di tali dati indiziari e di ulteriori elementi di riscontro.
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