La Corte di Cassazione, Sezioni unite, nella sentenza n. 5078 depositata ieri 15 marzo 2016, ha scritto la parola fine sulla questione dell’applicabilità dell’Iva alla Tia 1, ritenendo che la questione non debba andare alla Corte di Giustizia Ue. La Tia 1, si ricorda, è la tariffa di igiene ambientale prevista dall'articolo 49 del D.Lgs. n. 22/1997 (il cosiddetto "decreto Ronchi") ed è suddivisa in due quote: una fissa e una variabile. La quota fissa è dovuta a fronte della copertura dei costi generali di gestione (è il caso, per esempio, di ammortamenti, spese amministrative, eccetera); la seconda, cioè la quota variabile, si riferisce, invece, alle spese per la gestione dei rifiuti prodotti dalle utenze (è il caso, per esempio, della raccolta e del trasporto rifiuti, eccetera).
Un'eventuale applicazione dell'IVA sulla Tia 1 sarebbe incompatibile sia con le norme nazionali sia con quelle comunitarie. La giurisprudenza Ue stessa conferma, da un lato, che il servizio di raccolta e smaltimento rifiuti è connesso all’esercizio di attività di pubblica autorità e, dall’altro, che l’applicazione dell’Iva presuppone un rapporto sinallagmatico del tutto assente nel caso della Tia: non c’è nesso diretto tra prestazione e corrispettivo e il compenso ricevuto dal prestatore del servizi non è il «controvalore effettivo del servizio prestato al destinatario».
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