Secondo quanto stabilito dall’articolo 1 della Legge n. 324/1976 in materia di diritti d’imbarco per l’uso di aree aeroportuali, il movimento degli aeromobili privati e delle persone negli aeroporti nazionali aperti al traffico aereo civile è assoggettato al pagamento, in favore delle compagnie di gestione aeroportuale, di un “diritto d’imbarco per passeggeri”, il quale, a norma del successivo articolo 5, “...è dovuto direttamente dal vettore che se ne rivale nei confronti del passeggero”. Secondo quanto precisato dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 418/2015, il pagamento dei diritti d'imbarco da parte del vettore, poi oggetto di rivalsa nei confronti dei passeggeri attraverso la vendita dei biglietti aerei, integra un elemento di costo direttamente connesso alla prestazione del servizio di trasporto e, quindi, concorre a formare l'imponibile IVA. Tale affermazione trova fondamento nell'art. 78 della direttiva 2006/112/Ce del 28 novembre 2006 (di rifusione della VI direttiva Iva n. 388/1977 attuata dall’art. 13, comma 1, del D.P.R. n. 633/1972), secondo cui, in via generale, la base imponibile delle operazioni comprende anche “le imposte, i dazi, le tasse e i prelievi, ad eccezione della stessa imposta sul valore aggiunto”.