L'Agenzia delle Entrate ha chiarito che il compenso percepito a seguito di rinuncia alla servitù costituita su un'abitazione e consistente nel divieto di costruire a distanza minore di ottanta metri, genera una plusvalenza ai sensi dell'articolo 67 del Tuir, di conseguenza soggetta a tassazione.
OGGETTO: Istanza di interpello - ART.11, legge 27 luglio 2000, n. 212. IRPEF – rinuncia servitù - art. 67 DPR 22 dicembre 1986 n. 917
Con l’interpello specificato in oggetto, concernente l’interpretazione dell’art. 67 del DPR 22 dicembre 1986 n. 917 (T.U.I.R), è stato esposto il seguente.
QUESITO
L’istante ha fatto presente di aver acquistato nel 1991 la proprietà di una abitazione a favore della quale insiste una servitù non aedificandi, gravante su un confinante terreno di proprietà di terzi, consistente nel divieto di costruire a distanza minore di 80 metri lineari. Avendo intenzione di rinunciare alla servitù in questione ha chiesto di conoscere il trattamento fiscale ai fini delle imposte dirette applicabile al corrispettivo che dovrebbe ricevere a fronte della rinuncia in questione.
SOLUZIONE INTERPRETATIVA PROSPETTATA DAL CONTRIBUENTE
L’istante ritiene che la cessione non sia soggetta a tassazione, in quanto non rientra in nessuna delle fattispecie elencate dall’art. 67 del TUIR. In particolare non si realizza una plusvalenza tassabile dato che il corrispettivo della rinunzia non costituisce un utile ma la monetizzazione di un diritto esistente che viene meno.
Manca dunque l’intento speculativo che caratterizza le ipotesi elencate dalla disposizione citata.
PARERE DELL'AGENZIA DELLE ENTRATE
Nell'ambito della categoria dei diritti reali si distinguono i diritti reali su cosa altrui, i quali, presupponendo una scissione delle facoltà attinenti al diritto di proprietà, comportano che talune di esse vengano compresse in modo che un terzo possa esercitare un diritto che ha come contenuto dette facoltà.
Il diritto di proprietà riacquista la sua ampiezza quando il diritto reale su cosa altrui viene meno (consolidazione).
Nell'ambito dei diritti reali la servitù prediale consiste, ai sensi dell'art. 1027 c.c., nel peso imposto sopra un fondo per l'utilità di un altro fondo appartenente a diverso proprietario. Il vantaggio e il corrispondente onere ineriscono direttamente ai suoli, limitando i poteri di godimento e di utilizzazione del fondo servente e attribuendo corrispondenti vantaggi al contiguo fondo dominante. I diritti reali di godimento si perdono anche per effetto della rinunzia.
La rinuncia alla servitù è prevista dall'art. 1350, n. 5), del c.c. per quanto concerne la forma del contratto, e dall'art. 2643 n. 5, del c.c., concernente la trascrizione degli atti relativi ai beni immobili. Nel caso di specie l'istante intende rinunciare ad una servitù che si concreta nel diritto di pretendere che altri non costruiscano ad una distanza minore di 80 metri dal confine del proprio fondo.
La rinuncia fa venir meno il vincolo di natura reale sul fondo dominante con effetti erga omnes, nel senso che il proprietario di detto suolo e i suoi aventi causa non potranno più far valere i diritti nascenti dalla servitù.
Trova applicazione pertanto l'art. 9, comma 5, T.U.I.R., il quale stabilisce che "ai fini delle imposte sui redditi le disposizioni relative alle cessioni a titolo oneroso valgono anche per gli atti a titolo oneroso che importano costituzione o trasferimento di diritti reali di godimento". In particolare sulla base della disposizione citata il corrispettivo della rinuncia va ricondotto all'art. 67 lettera b) del TUIR, concernente le plusvalenze realizzate a seguito di cessioni a titolo oneroso di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria secondo gli strumenti urbanistici vigenti al momento della cessione.
Si ritiene infatti che la vicenda in esame sia assimilabile alla cessione, sulla base delle argomentazioni già svolte nella Risoluzione del 16/02/2007, n. 25, la quale, pur trattando un tema diverso, ha, sostanzialmente, espresso tale criterio ermeneutico di carattere generale.
Una volta stabilito che la fattispecie è riconducibile al richiamato articolo 67, co. 1, lett. b), si pone il problema di individuare le modalità di determinazione della plusvalenza. In linea generale, in base all'art. 68 del T.U.I.R., la plusvalenza sarà costituita dalla differenza tra:
1) il "corrispettivo" percepito nel periodo di imposta;
2) il prezzo di acquisto originario.
Nel caso di specie, mentre non si pongono problemi in ordine alla determinazione del corrispettivo, contrattualmente determinato, è indubbio che il prezzo di acquisto originario, ove non autonomamente individuato al momento di acquisto del diritto con riferimento particolare alla "servitus non edificandi", debba essere estrapolato dal prezzo complessivo di acquisizione dell'immobile e di costituzione della servitù a suo tempo pagato da colui che, adesso, rinuncia alla servitù.
Al riguardo può essere utilizzato un criterio di tipo proporzionale, fondato sul rapporto tra il valore complessivo attuale dell'immobile e della rinuncia alla servitù e il corrispettivo percepito per la rinuncia alla servitù.
Le Direzioni Regionali vigileranno affinché i principi enunciati nella presente risoluzione vengano applicati con uniformità.