Il caso trattato riguarda il licenziamento per giusta causa di una dipendente, A.A., da parte di un societa per azioni attiva come compagnia di assicurazioni Le motivazioni del licenziamento si basano principalmente sull'utilizzo da parte della lavoratrice, dell'assicurazione sanitaria aziendale per la figlia che non era fiscalmente a carico . Erano state evidenziate inoltre altre condotte scorrette.
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Nello specifico la dipendente aveva cercato di ottenere un'estensione della copertura sanitaria a favore della figlia B.B., che non ne aveva diritto .
La figlia infatti lavorava all'estero e percepiva un reddito superiore alla soglia che permette di essere considerata "a carico" della madre ai fini fiscali.
Inoltre in un altra occasione la dipendente avrebbe richiesto il rimborso di danni maggiori rispetto a quelli effettivamente subiti dalla sua autovettura, avvalendosi di una polizza assicurativa riservata ai dipendenti della società. Dalle verifiche, i danni accertati dal perito subito dopo l'incidente erano diversi e di minore entità rispetto a quelli riscontrati successivamente, suggerendo che ci fosse stato un altro incidente nel periodo intercorso tra le due ispezioni.
In prima istanza, il Tribunale ha rigettato le richieste della lavoratrice sia in fase sommaria che in sede di opposizione.
Corte d'Appello di Napoli: anche il giudizio di secondo grado ha confermato la sentenza del Tribunale, sostenendo che le azioni di A.A. costituivano una mancanza grave, tale da giustificare il licenziamento per giusta causa. In particolare, per quanto riguarda l'estensione della copertura sanitaria, la figlia non poteva essere considerata a carico in quanto percepiva redditi superiori al limite previsto. Per il danno all'autovettura, la Corte ha stabilito che vi era stato un secondo incidente non denunciato.
A.A. ha quindi presentato un ricorso in Cassazione basato su sei motivi, principalmente contestando la valutazione delle prove e l'errata applicazione delle norme sul licenziamento.
Tra i principali argomenti di difesa, ha sostenuto che non vi era stata un'appropriata considerazione delle sue prove e che la condotta non giustificava un licenziamento, ma eventualmente l'applicazione di una sanzione conservativa.
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 24508 del 2024, ha rigettato il ricorso, sostenendo che la valutazione delle prove e l'accertamento della gravità delle condotte della lavoratrice erano state correttamente svolte dai giudici di merito.
La Cassazione ha ribadito che la condotta della dipendente era gravemente in contrasto con i principi di buona fede e correttezza che devono caratterizzare il rapporto di lavoro, soprattutto per una dipendente che lavorava nell'Ispettorato Sinistri della compagnia e conosceva bene le procedure. Quindi ha sottolineato che la decisione di licenziamento era proporzionata alla gravità delle condotte contestate.
Il ricorso è stato rigettato e la lavoratrice è stata condannata al pagamento delle spese processuali. La Corte ha ritenuto che non vi fossero vizi di legittimità nella decisione dei giudici di merito e ha confermato la validità del licenziamento per giusta causa.