La Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 17036/2024, si occupa del tema del repechage dopo licenziamento per giustificato motivo oggettivo affermando che il datore di lavoro non è tenuto ad erogare al dipendente ricollocato una formazione idonea allo svolgimento delle diverse mansioni affidate.
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Il tema centrale della sentenza è il licenziamento per giustificato motivo oggettivo e l'obbligo del datore di lavoro di tentare il "repéchage", ossia la ricollocazione del lavoratore in altre mansioni disponibili, anche se inferiori, prima di procedere con il licenziamento.
Questo obbligo, regolato dagli articoli 3 della legge n. 604/1966 e 2103 del codice civile, rappresenta una misura di tutela per i lavoratori, volta a garantire che il licenziamento sia veramente l'ultima risorsa possibile.
La questione diventa particolarmente rilevante in contesti di riorganizzazione aziendale dove le mansioni originarie del lavoratore possono non essere più necessarie, ma potrebbero esserci altre posizioni aperte che il lavoratore può occupare.
Il caso in giudizio riguarda un gruppo di lavoratori licenziati da una società per giustificato motivo oggettivo.
I lavoratori hanno contestato il licenziamento, sostenendo che la società non aveva adeguatamente adempiuto all'obbligo di repéchage, ovvero non aveva esplorato tutte le possibilità di ricollocazione interna prima di procedere con i licenziamenti. Specificamente, i ricorrenti hanno argomentato che avrebbero potuto essere riassegnati a mansioni di livello inferiore, come assistenti del servizio mensa, per le quali ritenevano di avere la capacità professionale necessaria.
La società, dal canto suo, ha resistito sostenendo che i lavoratori non possedevano le competenze professionali adeguate per tali mansioni alternative, e che qualsiasi riqualificazione sarebbe stata impraticabile senza un percorso di formazione specifica.
La questione centrale è quindi se la società abbia realmente adempiuto all'obbligo di repéchage, considerando le capacità professionali dei lavoratori al momento del licenziamento e la possibilità di formarli per nuove mansioni
Le corti di merito, ovvero il Tribunale e la Corte d'Appello, hanno emesso giudizi contrastanti riguardo alla questione.
Il Tribunale ha inizialmente riconosciuto che la società avrebbe dovuto considerare la possibilità di ricollocare i lavoratori in mansioni inferiori e ha riscontrato un obbligo di formazione professionale a carico del datore di lavoro come parte del corretto esercizio del repéchage.
Tuttavia, la Corte d'Appello ha ribaltato questa decisione, sostenendo che la società non era tenuta a provare la possibilità di ricollocazione in mansioni inferiori in assenza di specifica evidenza della capacità professionale dei lavoratori per tali mansioni. La Corte d'Appello ha quindi ritenuto valido il licenziamento, affermando che la società aveva dimostrato l'impossibilità di un reimpiego alternativo.
Decisione della Cassazione
La Corte di Cassazione è stata chiamata a decidere sulla correttezza della decisione della Corte d'Appello. I ricorrenti hanno invocato una violazione e falsa applicazione degli articoli 3 della legge n. 604/1966 e 2103 c.c., sostenendo che la Corte d'Appello aveva erroneamente escluso l'obbligo di repéchage anche per mansioni inferiori, in assenza di prove sulla loro incapacità professionale.
La Cassazione ha confermato la decisione della Corte d'Appello, ritenendo infondato il ricorso dei lavoratori.
La Suprema Corte ha ribadito che, in tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, il datore di lavoro è tenuto a dimostrare che il lavoratore non ha la capacità professionale per occupare le diverse posizioni disponibili in azienda. Questo deve essere basato su circostanze oggettive e verificabili, evitando che il rispetto dell'obbligo di repéchage sia lasciato alla mera discrezione dell'imprenditore.
La Cassazione ha sottolineato che l’obbligo di repéchage riguarda le attitudini e la formazione di cui il lavoratore è dotato al momento del licenziamento e non implica necessariamente un percorso di formazione ulteriore da parte del datore di lavoro.
La Corte di Cassazione ha quindi rigettato il ricorso e confermato la legittimità del licenziamento, stabilendo che le spese del giudizio devono essere regolate secondo il regime di soccombenza e ha disposto il raddoppio del contributo unificato, ove spettante.
La sentenza della Corte di Cassazione ha rafforzato il principio secondo cui l'obbligo di repéchage deve essere adempiuto sulla base delle competenze effettivamente possedute dal lavoratore al momento del licenziamento.
Non è richiesto dunque al datore di lavoro di offrire un percorso di riqualificazione per nuove mansioni, se queste non possono essere immediatamente svolte dal lavoratore
Questo orientamento si pone in equilibrio tra la tutela del posto di lavoro e la necessità per il datore di mantenere un'organizzazione aziendale efficiente.
La decisione conferma la licenziabilità dei lavoratori se non esistono posizioni alternative per cui siano già qualificati, sottolineando la necessità di una prova rigorosa da parte del datore di lavoro sulle reali capacità professionali del dipendente