In una recente sentenza (n. 15391 del 3 giugno e 2024), la Corte di Cassazione ha stabilito che i dati acquisiti tramite dispositivi Telepass non possono essere utilizzati per giustificare licenziamenti disciplinari se l'azienda non ha rispettato gli obblighi informativi verso i lavoratori previsti dall'art. 4 della L. n. 300/1970 (Statuto dei Lavoratori). Il caso evidenzia l'importanza della trasparenza nei controlli aziendali e della tutela dei diritti dei lavoratori in materia di privacy.
Vediamo i dettagli del caso e della sentenza con il principio generale affermato dalla Suprema Corte.
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ll caso ha avuto inizio con la decisione del Tribunale di Fermo (sentenza n. 62/2020), che aveva giudicato legittimo un primo licenziamento disciplinare irrogato da una SPA ad un dipendente il 1 marzo 2019.per presunte mancanze commesse durante le giornate lavorative del 4 e 5 febbraio 2019, rilevate attraverso il sistema Telepass e altri strumenti informatici.
Il Tribunale aveva ritenuto superfluo esaminare il secondo licenziamento, avvenuto il 18 aprile 2019, come misura preventiva nel caso in cui il primo licenziamento fosse stato annullato. in quanto considerava il primo licenziamento valido sia dal punto di vista formale che sostanziale.
Il lavoratore ha impugnato la sentenza del Tribunale di Fermo presso la Corte d'Appello di Ancona (sentenza n. 121/2021), che ha accolto il ricorso annullando il licenziamento disciplinare del 1 marzo 2019 e dichiarando l'estinzione del rapporto di lavoro a partire da tale data.
La Corte ha condannato la Spa al pagamento di un'indennità risarcitoria pari a otto mensilità dell'ultima retribuzione utile per il calcolo del TFR , rilevando che i dati acquisiti tramite il sistema Telepass non potevano essere utilizzati a fini disciplinari poiché l'azienda non aveva rispettato gli adempimenti informativi previsti dall'art. 4 della L. n. 300/1970.
La Spa ha presentato ricorso per Cassazione, affidato a quattro motivi principali:
La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso della Spa, confermando la decisione della Corte d'Appello.
Ha stabilito che i dati acquisiti tramite il sistema Telepass non potevano essere utilizzati a fini disciplinari in mancanza di adeguata informazione al lavoratore, come previsto dall'art. 4 della L. n. 300/1970, sulle " modalità d'uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli e nel rispetto di quanto disposto dal decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196".
La Corte ha ritenuto che la motivazione della Corte d'Appello fosse chiara e comprensibile, non apparente, e che i controlli difensivi richiedono un "fondato sospetto" di comportamenti illeciti, che nel caso specifico non era stato dimostrato.
Piu nello specifico , la cassazione ricorda che il comma 1 dell'art. 4 L. n. 300/1970, come novellato nel 2015, si riferisce ora agli "impianti audiovisivi" e agli "altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori". Afferma inoltre che il telepass è da considerare strumento direttamente funzionale all'efficienza della singola prestazione, e rientrante nell'ambito applicativo del comma 2 dell'art. 4 L. n. 300/1970 .
Nel merito dei motivi di ricorso afferma anche che
La sentenza della Cassazione ribadisce dunque 'importanza del rispetto degli obblighi informativi verso i lavoratori in materia di controllo a distanza e privacy. Solo attraverso una chiara e adeguata informazione, i dati acquisiti tramite strumenti come il Telepass possono essere utilizzati a fini disciplinari.