L'apprendista che si dimette anticipatamente può essere obbligato a risarcire l'azienda per la formazione ricevuta.
Lo ha stabilito il tribunale di Roma che con la sentenza 09 febbraio 2024 n. 1646 ha riconosciuto la validità di una clausola contrattuale che prevedeva la trattenuta di una somma pari alla retribuzione per ogni giornata di formazione impartita in caso di recesso anticipato del lavoratore.
Il tribunale ha qualificato questa clausola come un 'patto di stabilità' e ha stabilito che la sua inosservanza comporta conseguenze risarcitorie per il lavoratore.
Vediamo nei paragrafi seguenti maggiori dettagli e i riferimenti normativi.
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Nella pronuncia citata il tribunale ha respinto l'argomento del lavoratore secondo cui la clausola era illegittima perché introduceva condizioni vessatorie, sostenendo invece che l'ordinamento non pone limiti alla previsione di clausole di durata minima (anche dette patti di stabilita) correlate alla formazione prevista nel contratto di apprendistato.
La previsione di un meccanismo risarcitorio, che prevede la restituzione delle retribuzioni percepite nei giorni dedicati alla formazione in caso di recesso anticipato, non costituisce una condizione vessatoria. La validità del patto di stabilità è invece giustificata dal dispendio economico sostenuto dal datore di lavoro per la formazione del lavoratore.
La richiesta di risarcimento da parte dell'apprendista che recede anticipatamente è dunque possibile sempre che la specifica clausola sia presente nel contratto di assunzione.
Si definisce vessatoria la clausola che “restringe l’ambito di responsabilità del soggetto che l’ha predi-sposta apportando limitazioni al dettato normativo oppure ai precetti generali di contratto” (Cass. sent. 22891/15), determinando una sproporzione sostanziale tra prestazione e controprestazione.
La disciplina delle clausole vessatorie è statuita sia nel codice civile sia in quello del consumo (d.lgs. 206/05) e presupposto comune è la sussistenza di un effettivo squilibrio tra le parti, che puo causare l'imposizione del contratto da parte della parte forte a quella debole.
Per questo motivo il codice civile, all’art. 1341 c. 2, stabilisce che le clausole c.d. vessatorie debbano essere firmate in modo autonomo e distinto rispetto alla firma del contratto in generale per dimostrare che il contraente debole ha effettivamente accettato le clausole con cognizione di causa.
In assenza della sottoscrizione separata le clausole sono inefficaci.
Il patto di stabilità, noto anche come clausola di durata minima garantita, è un accordo che delimita la libertà contrattuale nel lavoro dipendente.
Viene solitamente adottato per fidelizzare il personale, per esempio :
Il patto di stabilità può essere stipulato a favore di:
Il patto di stabilità non è compatibile con i contratti a tempo determinato, poiché questi ultimi hanno già una limitazione temporale intrinseca.
Essendo una significativa limitazione dell’autonomia contrattuale, per il patto di stabilità è consigliabile la forma scritta ed è possibile prevedere un adeguato corrispettivo in favore del lavoratore che accetta la clausola.
Il patto di stabilità non è disciplinato da una normativa specifica in Italia . Tuttavia, essendo una clausola contrattuale, è soggetta alle regole generali del diritto del lavoro e del codice civile. I riferimenti normativi e giurisprudenziali piu rilevanti sono i seguenti:
Art. 1372: Stabilisce che il contratto ha forza di legge tra le parti e può essere sciolto solo per mutuo consenso o per cause ammesse dalla legge.
Art. 1322: Riguarda l’autonomia contrattuale, permettendo alle parti di determinare liberamente il contenuto del contratto, nei limiti imposti dalla legge.
Legge 20 maggio 1970, n. 300 (Statuto dei Lavoratori): Fornisce il quadro normativo di base per la protezione dei diritti dei lavoratori e stabilisce le condizioni per i contratti di lavoro.
Cassazione Civile, sez. lav., sentenza n. 21481 del 14 ottobre 2011 sulla la validità del patto di stabilità, a condizione che esso rispetti i principi generali del diritto del lavoro e del codice civile, come l'autonomia contrattuale e la proporzionalità del corrispettivo.
Sul tema delle clausole vessatorie la Cassazione si è espressa con sentenza 20606/16.