Il dipendente che, durante i giorni di congedo parentale, svolge un lavoro per conto terzi invece di prendersi cura del proprio figlio, abusa del diritto concessogli dall'ordinamento. Pertanto, il licenziamento attuato dal datore di lavoro che scopre tale comportamento tramite una agenzia investigativa è giustificato.
Questo è il principio affermato dal Tribunale di Torre Annunziata nella sentenza del 17 aprile 2024 che riprende un orientamento già sancito dalla Corte di Cassazione.
Vediamo di seguito maggiori dettagli sul caso e sulle decisioni dei giudici in materia.
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Sull'attività di secondo lavoro vedi Licenziamento per seconda attività in malattia e Licenziamento malattia e comportamento imprudente del lavoratore
Il caso riguardava il licenziamento di un lavoratore dipendente di uno stabilimento balneare che aveva richiesto alcuni giorni di congedo parentale previsto dall'art. 32 del D.Lgs. n. 151/2001 al fine di soddisfare i bisogni affettivi e relazionali del figlio minore . Il datore di lavoro aveva scoperto tramite una agenzia investigativa che il dipendente in congedo utilizzava le giornate di permesso per lavorare come parcheggiatore e non risultava essersi preso cura in maniera prevalente del bambino Ritenendo interrotto il rapporto fiduciario il datore di lavoro ha quindi proceduto con il licenziamento del dipendente l'impugnazione del licenziamento è stata respinta.
Il secondo giudizio nel quale il ricorrente contesta il rapporto investigativo utilizzato dal datore di lavoro il giudice ricorda che la Cassazione in varie occasioni (Cass. nn. 25287/2022, 15094/2018) ha delimitato, a tutela della libertà e dignità del lavoratore, in coerenza con disposizioni e principi costituzionali, la sfera di intervento di persone preposte dal datore di lavoro a difesa dei propri interessi, e cioè per scopi di tutela del patrimonio aziendale (art. 2) e di vigilanza dell'attività lavorativa (art. 3); tali disposizioni non precludono però il potere dell'imprenditore di ricorrere alla collaborazione di soggetti, esterni anche se il controllo non deve sconfinare nella vigilanza dell'attività lavorativa vera e propria, riservata, dall'art. 3 dello Statuto, direttamente al datore di lavoro e ai suoi collaboratori.
Nel caso specifico il giudice ha ritenuto che " tenuto conto dell'ambito in cui è stata conferito l'incarico e di come lo stesso è stato svolto dall'agenzia di investigazioni, (...) i limiti di intervento sono stati evidentemente rispettati"
Il Tribunale ha dunque convalidato il licenziamento, affermando che il congedo parentale è un diritto potestativo che permette al suo titolare di perseguire uno specifico interesse senza che il datore di lavoro possa opporsi. Cio non esclude comunque per il datore di lavoro la possibilità di verificare come il diritto viene esercitato, sia da terzi che dal giudice.
E' stata giudicata duqneu contraria alla buona fede, nei confronti del datore di lavoro, la condotta del lavoratore in quanto per l'abuso del diritto di congedo l'azienda è stata ingiustamente della prestazione lavorativa
Inoltre è rilevante anche l'indebita percezione dell'indennità e lo sviamento dell'intervento assistenziale dell'ente di previdenza erogatore dell'indennità economica del congedo In questa ottica, la sentenza chiarisce tale comportamento giustifica il licenziamento per giusta casa essendo venuta meno per questa condotta la fiducia nel dipendente.
Il principio generale espresso richiama il precedente di Cassazione n. 16207 che ha affermato che si verifica un abuso del diritto potestativo di congedo parentale quando il diritto è esercitato non per la cura diretta del bambino, ma per altre attività lavorative o di altro tipo.
Il caso affrontato dalla Cassazione nel 2008 riguardava il licenziamento per giusta causa di un dipendente di una spa , motivato dall'uso improprio del congedo parentale (L. n. 53 del 2000).
Il Tribunale avevaa accertato che il lavoratore aveva utilizzato il periodo di astensione per gestire una pizzeria con asporto acquistata dalla moglie, anziché prendersi cura della figlia. Questo uso improprio ha configurato una giusta causa di licenziamento, poiché la legge tutela l'astensione dal lavoro solo se utilizzata per le finalità previste. M. G. ha impugnato la decisione, contestando la valutazione delle prove e sostenendo che non vi era alcun divieto di svolgere attività lavorativa durante il congedo. In subordine, ha argomentato che la sanzione del licenziamento era sproporzionata rispetto al fatto contestato.
La Corte d'Appello di Milano, con sentenza del 30 agosto 2004, ha annullato il licenziamento e ordinato la reintegrazione di M. G., con il pagamento delle retribuzioni arretrate. La Corte ha ritenuto che il congedo parentale possa essere utilizzato per esigenze organizzative della famiglia, a differenza del caso del lavoratore assente per malattia che presta attività lavorativa per terzi. Ha considerato irrilevante verificare se M. G. si fosse occupato anche della figlia, poiché l'attività nella pizzeria della moglie soddisfaceva comunque un'esigenza familiare, legittimando l'uso del congedo.
La società ha presentato ricorso in Cassazione, articolato in sei motivi.
La Corte di Cassazione ha accolto il primo e il terzo motivo del ricorso, ritenendo che la Corte d'Appello abbia fornito un’interpretazione errata della normativa sul congedo parentale. Ha stabilito che il congedo parentale deve essere utilizzato per la cura diretta del bambino e non per svolgere altre attività lavorative, anche se queste possono migliorare l'organizzazione familiare.
La sentenza della Corte d'Appello è stata quindi cassata, con rinvio ad altro giudice per un nuovo esame della controversia, attenendosi al principio di diritto secondo cui l’utilizzo del congedo parentale per attività lavorative costituisce abuso del diritto e può giustificare la giusta causa di licenziamento