L'ordinanza della Cassazione n. 27443/2024 ha esaminato il caso di una sanzione amministrativa emessa dall’Agenzia delle Entrate nei confronti della titolare di una ditta di ristorazione, in seguito a un'ispezione dell’INPS che aveva rilevato la presenza di lavoratori non registrati nei libri contabili.
In sintesi, la questione centrale era se la sanzione potesse essere calcolata secondo i criteri di una normativa più favorevole al trasgressore, come previsto dal "favor rei", o se fosse applicabile il principio del "tempus regit actum" per le sanzioni amministrative.
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La contestazione era stata avviata da una ditta individuale,contro una sanzione amministrativa irrogata dall’Agenzia delle Entrate, emessa in seguito a un’ispezione condotta da personale INPS presso l’esercizio commerciale della ricorrente, durante la quale erano stati trovati due lavoratori non registrati nei libri contabili obbligatori. Si tratta di una violazione della normativa sul lavoro irregolare, che impone obblighi di registrazione dei lavoratori per garantire il rispetto delle tutele lavorativa e previdenziali.
A seguito dell’accertamento, l’Agenzia delle Entrate aveva determinato la sanzione basandosi sui criteri di calcolo previsti dalla normativa antecedente, ovvero l’articolo 3, comma 3 del D.Lgs. 472/1997, considerandola più favorevole rispetto ai criteri successivi del D.L. 12/2002. La questione centrale riguardava l’interpretazione del "favor rei", principio che implica l’applicazione di una norma successiva se più favorevole al trasgressore, chiedendo se si potesse applicare il più recente articolo 36 bis, comma 7, lettera a) del D.L. 223/2006.
Questa normativa infatti modificava il D.L. 12/2002 stabilendo che, ai fini del calcolo della sanzione, si dovesse tener conto dei giorni effettivi di lavoro non dichiarato, piuttosto che di un periodo più ampio, che generalmente decorre dall’inizio dell’anno fino alla data di accertamento della violazione.
La Cassazione, richiamando il principio del "tempus regit actum", ha stabilito che non si applica il principio di retroattività favorevole ("favor rei") alle sanzioni amministrative, tranne nei casi in cui esse abbiano una natura sostanzialmente penale. Questo principio esclude la possibilità di applicare retroattivamente una legge più favorevole che non siano penalmente rilevanti. Pertanto, in assenza di una disposizione normativa specifica, non si può estendere alle sanzioni amministrative il criterio della retroattività favorevole.
Giova ricordare che la sanzione amministrativa è una penalità inflitta per la violazione di norme che non costituiscono reato penale, ma che ledono comunque un interesse pubblico.
Le sanzioni amministrative sono solitamente di carattere pecuniario e si applicano per violazioni di regolamenti e norme in settori come il lavoro, la finanza, la sanità, l’ambiente e altre aree della vita pubblica e civile. Le sanzioni amministrative rispondono ai principi generali di legalità e "tempus regit actum", il che significa che una violazione è punibile solo in base alla legge vigente al momento del fatto.
Le sanzioni amministrative differiscono dalle sanzioni penali, in quanto non comportano la limitazione della libertà personale (come il carcere), ma solo l’imposizione di una multa o di un’ammenda. Tuttavia, quando una sanzione amministrativa è particolarmente severa e punitiva, può acquisire una natura "sostanzialmente penale", il che la rende in parte soggetta a principi che tutelano i diritti fondamentali degli individui, come il divieto di retroattività in malam partem, ovvero l'impossibilità di applicare retroattivamente una norma per un fatto in precedenza non punibile.
In questo caso, la Cassazione ha ribadito che la sanzione irrogata per lavoro non regolare ha scopo repressivo e non punitivo in senso stretto, mantenendo così la natura amministrativa della sanzione. Pertanto, non è applicabile il principio del "favor rei", e l’Agenzia delle Entrate ha correttamente applicato la normativa vigente all’epoca dell’ispezione