Se ai fini del regime di esenzione dalle plusvalenze immobiliari, come visto di recente (a riguardo si veda l’articolo Ai fini fiscali anche gli uffici possono essere destinati ad abitazione principale), ciò che rileva per qualificazione di un immobile come abitazione principale è l’effettività dell’utilizzo, a prescindere dalla categoria catastale d’appartenenza dell’immobile, la stessa cosa non vale ai fini IMU.
Di tale questione si occupata la Corte di Cassazione con l’ordinanza numero 9496 del 9 aprile 2024. Ciò che differenzia le valutazioni ai fini IMU dalle medesime valutazioni ai fini delle plusvalenze imponibili è ovviamente la normativa di riferimento.
Per quanto riguarda l’IMU, infatti, l’articolo 13 comma 2 del DL 201/2011 fissa il presupposto dell’IMU al possesso di un immobile ma esime dall’imposta le abitazioni (diverse da quelle classificate nelle categorie catastali A1, A8 e A9) in cui il contribuente ha la dimora abituale e principale.
Il comma 4 della stessa norma stabilisce che il calcolo dell’IMU deve avvenire attraverso l’applicazione di specifici moltiplicatori, diversificati a seconda della categoria catastale dell’immobile, da applicarsi alle rispettive rendite catastali.
Come nota la Corte di Cassazione, ciò che caratterizza la normativa IMU, a differenza di altre situazioni fiscali similari, è il fatto che questa faccia esplicito riferimento alle categorie catastali, prevendo specifici moltiplicatori differenziati; per cui, per l’applicazione della disciplina, non si può prescindere dall’inquadrare catastalmente l’immobile.
Non è infatti un caso che le norme del TUIR che disciplinano le plusvalenze immobiliari, a differenza della normativa IMU, non nominano affatto le categorie catastali, e che, per tale motivo, la rilevanza di queste ultime, ai fini dell’applicazione della disciplina, non è la medesima.
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Nel caso preso in esame dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza 9496/2024 il contribuente aveva stabilito la propria dimora abituale e principale in un immobile con categoria catastale A10, un ufficio.
Come rileva la Corte, il punto centrale della questione è se per l’IMU, fermo restando l’effettivo utilizzo dell’immobile come abitazione principale, ai fini del riconoscimento dell’agevolazione di esenzione prevista per l’abitazione principale, rilevi o meno la categoria catastale dell’immobile.
Secondo la Corte “rileva l’oggettiva classificazione catastale dell’immobile”, con la conseguenza “che è onere del contribuente, che richieda l’esenzione dall’imposta, impugnare l’atto di classamento”.
Con maggiore profondità, la Corte di Cassazione rileva anche che “non è conforme al dato normativo il principio per il quale l’oggettiva destinazione del bene ad abitazione principale è sufficiente per il riconoscimento dell’agevolazione, non essendo quest’ultima in alcun modo correlata al classamento catastale”, in quanto “la detrazione d’imposta per l’abitazione principale presuppone il classamento nella corrispondente categoria catastale, dalla quale e solo da essa, si desumono i valori per la determinazione dell’imposta”, “non è un caso, infatti, […] che il metodo di determinazione della base imponibile è differente per gli immobili iscritti alla categoria A10, proprio in virtù della peculiare destinazione ”, “né si ritiene possa avere rilevanza che l’immobile sia comunque classificato all’interno della categoria A”.
In definitiva quindi, secondo la Corte di Cassazione, ai fini IMU, un ufficio, come tale appartenente alla categoria catasta A10, non può usufruire dell’esonero dall’imposta previsto per l’abitazione principale del contribuente, previsto dalla normativa di riferimento solo per gli immobili catastalmente considerati ad uso abitativo.