Lo Statuto dei diritti del contribuente (Legge n. 212 del 27/07/2000, entrata in vigore l' 01/08/2000), in attuazione degli articoli 3, 23, 53 e 97 della Costituzione, detta i principi generali dell'ordinamento tributario.
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Anche se è la legge più disapplicata della Repubblica, lo Statuto è un ottimo punto di partenza per la corretta applicazione dei principi di tutela del contribuente, che devono sempre essere rispettati sia dal legislatore sia dalla pubblica amministrazione. Certo, in futuro, è necessario che lo Statuto sia corretto in alcune parti (come, per esempio, per il potenziamento della figura del Garante), integrato (dopo l'approvazione delle Leggi n. 15/2005 e n. 80/2005), modificato (soprattutto, secondo me, con l'inserimento degli artt. 24 e 111 della Costituzione, per il processo tributario) ed, in particolare, costituzionalizzato.
Infatti, è da accogliere con entusiasmo la proposta di legge costituzionale n. 1925, presentata il 10/11/2006 alla Camera dei Deputati, di aggiungere all'art. 53 della Costituzione i seguenti commi:
"L'adozione di norme interpretative in materia tributaria può essere disposta soltanto in casi eccezionali e con legge ordinaria, qualificando come tali le disposizioni di interpretazione autentica.
Tranne che nel caso previsto dal terzo comma, le disposizioni tributarie non hanno effetto retroattivo. Relativamente ai tributi periodici, le modifiche introdotte si applicano solo a decorrere dal periodo d'imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore delle disposizioni che le prevedono.
Le disposizioni tributarie non possono prevedere adempimenti a carico dei contribuenti la cui scadenza sia fissata anteriormente al sessantesimo giorno dalla data della loro entrata in vigore o dell'adozione dei provvedimenti di attuazione in esse espressamente previsti.
I termini di prescrizione e di decadenza per gli accertamenti dei tributi non possono essere prorogati".
In ogni caso, in attesa delle necessarie modifiche di cui sopra, è importante, oggi, conoscere quale efficacia pratica e diretta hanno le disposizioni dello Statuto, soprattutto alla luce dei numerosi interventi della Corte di Cassazione (circa quaranta sentenze) e dell'ordinanza n. 216 del 06/07/2004 della Corte Costituzionale.
La Corte di Cassazione , in particolare con le due importanti sentenze n. 17576 del 10/12/2002 e n. 7080 del 14/04/2004 , ha precisato che il tratto comune dei principi generali dell'ordinamento tributario contenuti nello Statuto "è costituito, quantomeno, dalla "superiorità assiologica" dei principi espressi o desumibili dalle disposizioni dello Statuto e, quindi, dalla loro funzione di orientamento ermeneutico , vincolante per l'interprete; in altri termini, il dubbio interpretativo o applicativo sul significato e sulla portata di qualsiasi disposizione tributaria, che attenga ad ambiti materiali disciplinati dalla Legge n. 212 del 2000, deve essere risolto dall'interprete nel senso più conforme ai principi statutari" .
Oltretutto, sempre secondo la Corte di Cassazione, il predetto valore ermeneutico dei principi statuari si fonda su un duplice rilievo.
In primo luogo, su quello secondo cui l\'interpretazione conforme a Statuto si risolve, in definitiva, nell'interpretazione conforme alle norme costituzionali richiamate, che lo Statuto stesso dichiara esplicitamente di attuare nell'ordinamento tributario.
In secondo luogo, e conseguentemente, su quello secondo cui alcuni dei principi dello Statuto, proprio in quanto esplicitazioni generali, nella materia tributaria, delle richiamate norme costituzionali, devono ritenersi "immanenti" nell'ordinamento stesso già prima dell'entrata in vigore dello Statuto e, quindi, vincolanti l'interprete in forza del canone ermeneutico dell'interpretazione adeguatrice a Costituzione; cioè, del dovere dell'interprete di preferire, nel dubbio, il significato e la portata della disposizione interpretata conformi a Costituzione.
Tra i principi " immanenti" la Corte di Cassazione, con esemplificazione non certo tassativa, fa rientrare quelli del primo periodo del comma 1 dell'art. 6 (conoscenza degli atti), alcune delle norme poste dai primi tre commi dell'art. 7 , in materia di chiarezza e motivazione degli atti, ed i primi due commi dell'art. 10 , in tema di tutela dell'affidamento e della buona fede del contribuente.
Ed infine, la Corte Costituzionale , con l'ordinanza n. 216 del 06 luglio 2004, ha ribadito che le disposizioni dello Statuto rappresentato criteri di interpretazione adeguatrice della legislazione tributaria, anche antecedente, e che, pertanto, i giudici tributari devono fare diretta applicazione della citata Legge n. 212/2000 , valutando sempre la possibilità di una interpretazione adeguatrice della norma censurata, in senso conforme ai principi espressi dallo Statuto.
In definitiva, secondo me, i giudici tributari , alla luce degli insegnamenti della Corte di Cassazione e della Corte Costituzionale, nell'interpretare le leggi tributarie e nell'analizzare il comportamento degli uffici fiscali, devono tenere sempre in considerazione le disposizioni dello Statuto, come unica chiave di lettura, nel senso che, in caso di dubbi interpretativi, devono risolvere i dubbi stessi nel senso più conforme alle norme statutarie, applicando direttamente le norme dello Statuto, che è fonte autonoma di una posizione soggettiva che il legislatore ha inteso riconoscere e tutelare in via diretta; se non è possibile l'interpretazione adeguatrice, soltanto allora i giudici tributari, anche d'ufficio, possono rimettere gli atti alla Corte Costituzionale per risolvere il contrasto tra le norme tributarie e quelle costituzionali, attuate con le disposizioni dello Statuto.
Infatti, ciò che protegge lo Statuto è il dettato costituzionale e non l'articolo contenente la clausola di autorafforzamento.
Quindi, se intervengono norme successive contrastanti con lo Statuto, esso, in quanto attuativo della Costituzione, tendenzialmente porterà, più che alla disapplicazione delle stesse, alla diretta applicazione delle norme statutarie.
Lecce, 11 dicembre 2006