Avv.Nicola Soldati, ricercatore, docente di diritto commerciale e di diritto fallimentare Alma Mater Studiorum Università di Bologna.
Nell'ambito delle liti di natura societaria, arbitrati e conciliazioni rivestono un ruolo fondamentale come strumenti alternativi di risoluzione delle controversie.
Tale ruolo è stato ulteriormente magnificato a seguito della pubblicazione in Gazzetta ufficiale del decreto legislativo n. 5 del 17 gennaio 2003, recante -Definizione dei procedimenti in materia di diritto societario e di intermediazione finanziaria, nonché in materia bancaria e creditizia, in attuazione dell'articolo 12 della legge 3 ottobre 2001, n. 366 -, elaborato dalla Commissione Vietti e rubricato "Nuove forme di procedura", che ha introdotto nel nostro ordinamento nuove disposizioni in tema di arbitrato e conciliazione.
Con particolare riferimento all'arbitrato, il terzo comma dell'articolo 12 aveva delegato il Governo a - prevedere la possibilità che gli statuti delle società commerciali contengano clausole compromissorie, anche in deroga agli articoli 806 e 808 del codice di procedura civile, per tutte o alcune tra le controversie societarie di cui al comma 1 -.
Per contro, con riferimento alla conciliazione, in base al quarto comma dell'art. 12, il Governo era chiamato a - prevedere forme di conciliazione delle controversie civili in materia societaria anche dinnanzi ad organismi istituiti da enti privati, che diano garanzie di serietà ed efficienza e che siano iscritti in un apposito registro tenuto presso il Ministero della giustizia -.
Sulla base della delega ricevuta, l'Esecutivo ha, quindi, predisposto apposite norme applicabili alla materia societaria, bancaria, creditizia e di intermediazione finanziaria per offrire alle parti la possibilità di risolvere le controversie mediante il ricorso a strumenti alternativi come l'arbitrato (artt. 34-37) e la conciliazione (artt. 38-40).
Per quanto attiene al primo di questi, le norme contenute nel decreto disciplinano una compiuta species arbitrale, che si sviluppa senza alcuna pretesa di sostituire il modello codicistico, il quale continua a mantenere, ove non specificamente derogato, la sua piena efficacia anche in materia societaria.
La diffusione in Italia dello strumento arbitrale si è avuta soprattutto nell'ambito commerciale e, più in particolare, in ambito societario, dove nonostante la presenza di forti limiti di arbitrabilità imposti dalla giurisprudenza, si è registrata una sempre maggiore diffusione delle clausole compromissorie nell'ambito degli statuti e dei patti parasociali, tanto da poterle quasi considerare, oggi, come clausole di rito.
Ciò risulta ulteriormente dimostrato dalla costante presenza della clausola compromissoria all'interno degli statuti societari, indipendentemente dal tipo giuridico prescelto o dall'oggetto sociale. (1)
Pertanto, alla luce della citata riforma, il ricorso all'arbitrato non potrà che risultare ulteriormente incrementato, anche se, per vero, ciò non rientrava a pieno nelle intenzioni del legislatore, il quale, molto più semplicemente, era interessato a deflazionare il contenzioso in sede giudiziale, come risulta ampiamente evidente nella relazione di accompagnamento al decreto. (2)
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Note:
(1) SOLDATI, Le clausole compromissorie negli statuti delle società commerciali, Milano, 2005; SILINGARDI, Il compromesso in arbitri nelle società di capitali, Milano, 1979.
(2) AMADEI, SOLDATI, Il processo societario, II ed . agg., Milano, 2004, pp. 255-256.
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L'ambito di applicazione della riforma
Alla luce delle nuove disposizioni, gli atti costitutivi delle società, ad eccezione di quelle che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio a norma dell'articolo 2325-bis c.c., vale a dire quelle emittenti azioni quotate in mercati regolamentati o diffuse tra il pubblico in misura rilevante, potranno, mediante clausole compromissorie, prevedere la devoluzione ad arbitri di alcune, ovvero di tutte le controversie insorgenti tra i soci, ovvero tra i soci e la società e gli organi sociali che abbiano ad oggetto diritti disponibili relativi al rapporto sociale.
Questa esclusione delle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, ha suscitato alcune critiche poiché non si comprende la ragione per la quale la natura del capitale possa avere una qualche influenza sulle modalità di composizione della lite tra soci e tra soci e società, non potendo certo l'eventuale estrema diffusione del capitale societario rendere più difficilmente praticabile l'opzione arbitrale.
A livello comparatistico si può evidenziare la grandissima diffusione dell'arbitrato in ambito societario anche laddove il capitale sia ampiamente diffuso tra il pubblico.
Inoltre, tale limitazione, sembrerebbe, ad una prima lettura, in contrasto con la legge n. 366/2001, la quale all'art. 12, comma 3, conferiva delega al Governo di disciplinare le clausole compromissorie - per tutte o alcune tra le controversie societarie di cui al comma 1- il cui rinvio, in verità, non sembra certo legittimare una esclusione di alcuni tipi di società in relazione alla partecipazione al capitale.
Al contempo, nemmeno la previsione contenuta, sempre all'interno della legge delega all'art. 4, in base alla quale le società - saranno soggette a regole caratterizzate da un maggiore grado di imperatività in considerazione del ricorso al mercato del capitale di rischio -, sembra idonea a legittimare siffatta esclusione, infatti la presenza di regole imperative avrebbe potuto essere ampiamente soddisfatta dalla previsione obbligatoria in tale ambito di un giudizio secondo diritto.
L'arbitrabilità in materia societaria
In ambito societario, l'arbitrabilità delle controversie, alla luce dei principi generali, è ammessa in tutte quelle materie che possono formare oggetto di transazione, e cioè per quelle materie dove si ha la disponibilità dei diritti oggetto della controversia .(3)
Vi è, dunque, una distinzione tra diritti disponibili e diritti indisponibili, ovvero tra diritti che sono protetti dall'ordinamento giuridico con norme dispositive in vista della tutela del potere di autodeterminazione e di disposizione del privato, e norme imperative in vista della tutela di un interesse superiore, quello pubblico(4).
In base a tale distinzione, la giurisprudenza ha posto il principio in base al quale, per stabilire se le controversie, potenzialmente insorgenti tra soci e tra soci e società, possano formare oggetto di compromesso, occorre esaminare se gli interessi coinvolti riguardano i soci come singoli, oppure si riferiscono unicamente alla società tutelata dalla legge in quanto tale; nella prima ipotesi, la controversia è liberamente arbitrabile, sulla base del presupposto che ogni socio può disporre liberamente dei diritti oggetto della disputa, mentre nella seconda ipotesi l'arbitrabilità è fermamente negata a causa dell'indisponibilità del diritto coinvolto.
L'interesse sociale deve essere inteso come la somma degli interessi individuali di tutti i soci, collegati tra di loro da un elemento comune, nascente dal vincolo sociale, identificabile nella unicità dello scopo dal quale trae origine la compagine sociale stessa.
Si tratta di un interesse collettivo, indisponibile per i singoli, in quanto interesse riferito ad un gruppo unitariamente considerato che subisce una sorta di individualizzazione, tale da renderlo distinto da quello del singolo socio, inteso come persona fisica, al contrario disponibile esclusivamente per il suo titolare, la società.
Pertanto, l'interesse collettivo della società, ciò l'interesse al conseguimento dell'oggetto sociale ed all'attuazione del contratto sociale, può trovare tutela piena, siccome indisponibile, esclusivamente nell'alveo della giustizia togata, essendo preclusa in tale ambito ogni arbitrabilità.
In altri termini, la natura dell'interesse coinvolto, viene utilizzata come strumento principale nell'individuazione della sfera di operatività dell'istituto arbitrale in materia societaria. Questi principi hanno fornito e forniscono ancora oggi, dopo la riforma, il parametro dell'arbitrabilità delle controversie, utilizzato dalle corti di merito e dai giudici di legittimità per valutare empiricamente, caso per caso, la compromettibilità in arbitri delle controversie portate alla loro cognizione . (5)
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Note:
(3) Cass. 6 luglio 2000, n. 9022, in Foro pad., 2000, I, 313.
(4) SCHIZZEROTTO, Dell'arbitrato, Milano, 3 ed., 1988, 75; distinzione ripresa anche in motivazione da Trib. Catania, 28 marzo 1998, in Giur. comm., 2000, II, 507.
(5) In dottrina: SOLDATI, Le clausole compromissorie negli statuti delle società commerciali, cit.; STESURI, Gli arbitrati societari, Torino, 2005; BIANCHI, L'arbitrato nelle controversie societarie, Padova, 2001; BORIO, L'arbitrato nel diritto societario, Milano, 1994; SILINGARDI, Il compromesso in arbitri nelle società di capitali, cit.
I disposti del decreto
Il decreto legislativo 5/2003 ha precisato che non possono formare oggetto di compromesso in arbitri le controversie per le quali la legge preveda l'intervento obbligatorio del Pubblico Ministero.
In questo modo, l'art. 34, comma 5, è venuto a disciplinare una fattispecie su cui la giurisprudenza aveva avuto modo più volte di pronunciarsi con particolare riferimento alle gravi irregolarità amministrative ex art. 2409 c.c. (il nuovo art. 2409 c.c. prevede l'intervento del PM solo nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio), nonché la fattispecie relativa alle controversie nascenti dalla nomina e dalle revoca dei liquidatori ex art. 2450 c.c. (nuovo art. 2487 c.c. ultimo comma) (6) . Con riferimento alla denuncia al tribunale, si ritiene decisivo il rilievo per cui, essendo attribuita la legittimazione alla proposizione del ricorso anche al Pubblico Ministero (art. 2409, ultimo comma, c.c.), il procedimento deve ritenersi previsto non solo a tutela degli azionisti di minoranza, ma anche dell'interesse generale connesso alla regolare amministrazione della società .(7)
In ogni caso, ad una prima interpretazione delle norme del decreto, appare evidente, pur senza eccessi di entusiasmo, l'intenzione di superare in determinati settori gli ostacoli, fino ad oggi, imposti dalla disponibilità del diritto controverso ai fini della arbitrabilità della questione sottoposta al giudizio degli arbitri, che, come ricordato in precedenza, ha costituito e costituisce il principale ostacolo della diffusione dell'arbitrato in materia societaria . (8)
Sempre in quest'ottica, l'art. 34, comma 1, anche in considerazione dei vincoli imposti dalla legge delega, pone come presupposto che l'oggetto principale della controversia debba essere disponibile, allo scopo di ampliare il novero delle controversie arbitrabili ex clausola compromissoria.
Nondimeno, come si legge nella relazione al decreto, ed in base alla previsione contenuta all'art. 35, comma 1, gli arbitri potranno conoscere nel corso del procedimento incidenter tantum questioni non compromettibili, perciò in deroga a quanto disposto dal vigente art. 819, comma 1, c.p.c., - ma in armonia con scelte altrove compiute in sede di revisione organica della disciplina del codice processuale -, vale a dire, in armonia con i lavori della Commissione Vaccarella.
Il legislatore ha previsto all'art. 35, comma 3, al fine di evitare effetti potenzialmente pregiudizievoli nei confronti di soggetti terzi rispetto alla società, ovvero rispetto a soci che non costituiscono parte sostanziale della controversia insorta, che, qualora gli arbitri nella loro decisione abbiano conosciuto questioni non compromettibili, ovvero l'oggetto del giudizio sia costituito dalla validità di delibere assembleari, la decisione, anche in deroga a quanto previsto per l'arbitrato internazionale, dovrà essere resa dagli arbitri secondo diritto ed il loro sarà impugnabile anche per violazione di legge ai sensi dell'art. 829, comma 2, c.p.c.
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Note:
(6) Trib. Modena, 12 maggio 2004, in Società, 2004, 1270, con nota di SOLDATI, Clausola arbitrale societaria e nomina del liquidatore.
(7) App. Ancona, 14 febbraio 1998, in Società, 1998, 941; Trib. Taranto, 17 maggio 1996, in Gius, 1996, 418; Cass. Sez. un., 23 ottobre 1961, n. 2347, in Foro pad., 1961, I, 1225.
(8) CRISCUOLO, L'opzione arbitrale nella delega per la riforma delle società, in Riv. arb., 2002, 46 ss.; FAZZALARI, L'arbitrato nella riforma del diritto societario, in Riv. arb., 2002, 443.
La clausola compromissoria
La circostanza che il legislatore abbia espressamente previsto l'applicabilità dell'art. 34 alle sole clausole compromissorie, porta a ritenere che, con riferimento al compromesso arbitrale in materia societaria, continuino ad applicarsi le norme di diritto comune previste dal codice di rito.
Per contro, con riferimento ai successivi artt. 35 e 36, si ritiene che questi possano trovare applicazione analogica al compromesso, per quanto compatibili, alla luce della evidente sussistenza della medesima ratio. A titolo di esempio, nella pratica, sarebbe esclusa la possibilità di intervento di terzi nel procedimento ai sensi dell'art. 35, comma 1, poiché prevista esclusivamente per la clausola compromissoria, mentre resterebbe applicabile l'intervento in base alle norme processuali previste dal codice di rito.
Nelle controversie societarie possono sovente sorgere problemi circa la terzietà del collegio arbitrale rispetto alle parti. Infatti, come è noto, gli arbitri per la funzione super partes che sono chiamati a svolgere, funzione del tutto analoga a quella dei giudici togati, devono essere necessariamente neutrali, imparziali ed indipendenti rispetto alle parti in lite, a prescindere dal tipo di arbitrato prescelto. In quest'ottica, al fine di rafforzare la posizione di neutralità, imparzialità e di indipendenza del collegio arbitrale, il decreto, all'art. 34, comma 2, sancisce che la clausola deve prevedere il numero e le modalità di nomina degli arbitri, conferendo in ogni caso, a pena di nullità, il potere di nomina di tutti gli arbitri a soggetto estraneo alla società. Ove il soggetto designato non provveda, la nomina è richiesta al Presidente del Tribunale del luogo in cui la società ha la sede legale.
Tale sistema, tuttavia si differenzia nettamente, creando una vera e propria species di clausola arbitrale in ambito societario e, per certi aspetti, si pone in contrasto con le previsioni contenute all'interno del codice di procedura civile dettate in tema di arbitrato.
Infatti, il codice di rito prevede che le modalità di nomina degli arbitri ed il loro numero debbano essere contenute nella clausola compromissoria, ovvero nel compromesso nel quale può essere presente anche l'effettiva nomina degli arbitri. Altresì, la nomina dell'arbitro può essere contenuta nella domanda di arbitrato redatta dalla parte che vuole dare inizio alla procedura.
In particolare modo, l'art. 810 c.p.c. prevede le modalità di nomina degli arbitri, stabilendo uno schema base assai efficace, ma, al contempo, liberamente derogabile ad opera delle parti (9) in base al quale ogni parte procede alla nomina di un arbitri ed i due così designati provvedono a quella del terzo arbitro con funzioni di presidente.
Solitamente, nell'arbitrato amministrato le parti recepiscono le modalità di nomina degli arbitri contenute nel regolamento prescelto. (10)
Inoltre, il disposto dell'art. 809, comma 3, c.p.c., permette di ovviare alle patologie dell'accordo arbitrale riscontrabili nell'indicazione di un numero pari di arbitri, ovvero nella mancata indicazione di un qualsivoglia numero di essi (11) che, prima della riforma del 1994, costituivano motivo di nullità dell'accordo medesimo.
Secondo la normativa italiana, il numero degli arbitri deve essere dispari, tuttavia, nel caso in cui nell'accordo arbitrale le parti nominino un numero pari di arbitri, il terzo arbitro dovrà essere nominato nei modi previsti dall'art. 810 c.p.c., e cioè, mediante ricorso al presidente del tribunale.(12)
Qualora, invece, le parti non compiano alcuna indicazione sul numero degli arbitri, questo sarà di tre, i quali, in caso di diverso accordo delle parti o di mancata nomina, verranno designati facendo ancora una volta ricorso alla previsione dell'art. 810 c.p.c.
L'art. 34, comma 2, del decreto, sancendo la nullità dell'accordo che preveda la designazione degli arbitri ad opera del parti dovrebbe, comunque, riuscire a superare una problematica assai rilevante, costituita dalla potenziale presenza di una pluralità di parti in causa, e, indirettamente, quella relativa alla terzietà dei membri del collegio arbitrale. (13)
Infatti, con riferimento all'arbitrabilità soggettiva, l'attuale giurisprudenza ha più volte evidenziato come il collegio arbitrale venga spesso a coincidere con un organo della società quale il collegio sindacale, ovvero il collegio dei probiviri, oppure risulti essere di espressione assembleare.
Dottrina e giurisprudenza si sono spesso interrogate sulla validità di una tale scelta. Il collegio sindacale, benché nominato dalla maggioranza assembleare, si mantiene in una posizione nettamente autonoma rispetto alla maggioranza assembleare che lo ha eletto, tanto da essere soggetto solamente alla legge.
Quindi, non sembrerebbero, prima facie, esservi problemi in ordine al compimento delle funzioni arbitrali da parte di questo organo societario.
Tuttavia, dottrina e giurisprudenza sono unanimi nell'affermare la nullità della clausola compromissoria che riservi ai sindaci il potere di dirimere le controversie sorte in qualità di arbitri. Infatti, essendo l'organo sindacale parte integrante della struttura societaria, con poteri di iniziativa suoi propri, verrebbe meno l'imprescindibile requisito della imparzialità del collegio arbitrale. (14) Nemmeno la nomina all'unanimità del collegio sindacale sarebbe sufficiente a salvare dalla nullità la clausola compromissoria.
Nelle società cooperative è differente la posizione del collegio dei probiviri il quale, secondo una parte della dottrina, (15) avrebbe il precipuo scopo di dirimere le controversie tra soci e tra soci e società come un vero e proprio collegio arbitrale, con pronunce aventi valore di lodo arbitrale, mentre, secondo altra parte della dottrina (16), avrebbe solamente un ruolo di organo societario a tutti gli effetti e che, in quanto tale, esprimerebbe la volontà della società, attraverso decisioni aventi valore endosocietario tali da rendere definitive le decisione degli altri organi societari.
Al pari del collegio sindacale, il collegio dei probiviri, aderendo al primo orientamento, può presentare seri problemi di terzietà rispetto agli amministratori ed alla società, essendo espressione della maggioranza assembleare, benché nelle società cooperative non si risenta del principio plutocratico come nelle società per azioni, anche alla luce dell'opposto principio "una testa un voto" ed alla luce delle limitazioni di deleghe in assemblea.
Ciò ha comportato necessariamente un ridimensionamento delle funzione di tale organo, tanto da delimitarne notevolmente l'operatività nell'ambito precipuo della risoluzione delle controversie, imponendo, di sovente, il ricorso allo stesso come una questione di procedibilità rispetto ad ogni azione avanti gli arbitri, ovvero l'autorità giudiziaria ordinaria.
Ne consegue che il collegio dei probiviri, secondo un'autorevole giurisprudenza, seppure isolata, ricoprirebbe un ruolo endosocietario di composizione dei conflitti, compiendo la delicata funzione di riesame delle decisioni degli altri organi sociali (amministratori e sindaci), rendendole di fatto impugnabili solamente dopo tale atto. (17)
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Note:
(9) SOLDATI, Arbitrato e risoluzione alternativa delle controversie commerciali, Milano, 2005, 51; VERDE, Diritto dell'arbitrato rituale, Torino, 2000, 86; DIMUNDO, Il mandato ad arbitrare, la capacità, la responsabilità, in Alpa (a cura di), L'arbitrato. Profili sostanziali, Torino, 1999, 466.
(10) VERDE, Diritto dell'arbitrato rituale, cit., 87; CARPI, ZUCCONI GALLI FONSECA, Numero e nomina degli arbitri, in Carpi (a cura di), Arbitrato, Bologna, 2001, 135.
(11) F. CARPI, E. ZUCCONI GALLI FONSECA, Numero e nomina degli arbitri, cit., p. 127.
(12) Il provvedimento di nomina dell'arbitro dal parte del presidente del tribunale deve considerarsi di volontaria giurisdizione: BERNARDINI, Il diritto dell'arbitrato, Bari, 1998, 58; BRIBUGLIO, in BRIGUGLIO, FAZZALARI, MARENGO, La nuova disciplina dell'arbitrato, Milano, 1994, 61; FURNO, Alcune questioni in materia di arbitrato, in Giur. it., 1951, I, 2, 617; ALLORIO, A proposito di non impugnabilità di provvedimento presidenziale di nomina di arbitro, in Giur. it., 1956, I, 2, 1082.
(13) Tale impostazione è stata seguita anche dalla giurisprudenza maggioritaria formatasi dopo l'entrata in vigore del nuovo processo societario: Trib. Catania, 26 novembre 2005, in Corr. giur., 2005, 1131, con nota di SANGIOVANNI, Numero e modo di nomina degli arbitri tra arbitrato ordinario e arbitrato societario; Trib. Bari, 21 gennaio 2005, inedita; Trib. Udine, 4 novembre 2004, in Società, 2005, 777, con nota di SOLDATI, Clausole compromissorie statutarie e questioni di diritto transitorio; Trib. Torino, 27 settembre 2004, in Dir. e prat. soc., 2005, n. 10, 80 con nota di SOLDATI, Validità della clausola compromissoria statutaria nel periodo transitorio; Trib. Latina, 22 giugno 2004, in Dir. e prat. soc., 2005, n. 2, 73, con nota di SOLDATI, Nullità della clausola compromissoria statutaria a seguito di mancato adeguamento; Trib. Trento, 8 aprile 2004, in Giur. merito, 2004, 1699; Trib. Trento, 11 febbraio 2004 in Nuovo dir., 2005, n. 4, 275, con nota di SOLDATI, Ambito di applicazione dell'arbitrato societario ex art. 34 del D.Lgs n. 5/2003 e disciplina transitoria; contra: Trib. Genova, 7 marzo 2005, in Corr. merito, 2005, 759.
(14) GUIDOTTI, Le limitazione imposte agli organi sociali aventi funzioni di arbitri (anche con riferimento alla riforma delle società di capitali), in Contr. e impr., 2003, 13; SOLDATI, Collegio sindacale e nullità della clausola compromissoria, in Diritto e pratica delle società, n. 17, 2001, 64; SACCANI, Designazione degli arbitri per la risoluzione di controversie sociali, in Società, 1992, 324; MARCINKIEVICZ, Terzietà degli arbitri di controversie sociali, in Società, 1991, 1238; ROVELLI, Competenza degli arbitri nella risoluzione delle controversie sociali, in Società, 1991, 761; MARENGO, Società e sindaci-arbitri: validità della clausola compromissoria, in Giur. merito, 1987, I, 790; SILINGARDI, Clausola compromissoria, statuto di società cooperativa e sindaci arbitri, in Giust. civ., 1985, I, 126; Cass. 29 maggio 2001, n. 7350, in Diritto e pratica delle società, n. 17, 2001, pag. 62; Cass. 21 giugno 1996, n. 5778, in Notariato, 1997, 223; Trib. Milano, 21 aprile 1988, in Giur. comm., 1990, II, 66; Cass. 30 maggio 1997, n. 4831, in Società, 1997, 1283; Cass. 7 ottobre 1991, n. 10444, in Giur. it., 1992, I, 1, 1072.
(15) SOLDATI, Clausole per deferire le controversie ai probiviri nelle cooperative, in Diritto e pratica delle società, 2001, 50; PAOLUCCI, La compromettibilità delle controversie in materia di cooperative e di consorzi, in Società, 2000, 1427; ROSI, Ancora sulla validità della clausola compromissoria contenuta nello statuto di società cooperativa, in Riv. arb., 1992, 263; ROVELLI, Limiti di validità della clausola compromissoria per le controversie sociali, in Società, 1991, 1112; PROTETTÌ, Funzioni arbitrali del collegio dei probiviri nella cooperativa, in Società, 1990, 459; DONNINI, Devoluzione ai probiviri delle controversie tra soci, in Società, 1989, 473; SILINGARDI, Il compromesso in arbitri nelle società di capitali, cit., 143.
(16) FERRARA J., CORSI, Gli imprenditori e le società, VIII ed., Milano, 1992, 867; FERRI, Manuale di diritto commerciale, Torino, VIII ed., 1991, 491; STELLA RICHTER, Sulla clausola di riferimento delle controversie sociali al collegio dei probiviri, in Giust. civ., 1990, I, 19.
(17) App. Milano, 26 giugno 1990, in Società, 1990, 1502; App. Milano, 12 aprile 1988, in Giur. comm., 1990, II, 66; Cass. 21 ottobre 1980, n. 5635, in Giur. it., 1981, I, 1, 42.; in dottrina: DI SABATO, Manuale delle società, III ed., Torino, 1990, 665; FERRI, Le società, in Trattato di Diritto civile, III ed., Torino, 1987, 100.
L'ambito di applicazione
Un aspetto particolarmente importante della riforma del processo societario è data dal suo ambito di applicazione, che risulta essere notevolmente più ampio rispetto a quello della riforma c.d. "sostanziale" (d. lgs. 6/2003).
Infatti, il d. lgs. n. 5 del 2003, come previsto dall'art. 1, comma 1, lett. a), trova applicazione con riferimento a tutti i - rapporti societari, ivi compresi quelli concernenti le società di fatto, l'accertamento, la costituzione, la modificazione o l'estinzione di un rapporto societario, le azioni di responsabilità da chiunque promosse contro gli organi amministrativi e di controllo, i liquidatori e i direttori generali delle società, delle mutue assicuratrici e delle società cooperative -.
Ciò sta a significare che si applica anche alle società di persone e, quindi, non solamente ai modelli oggetto dell'intervento riformatore.(18)
Questa circostanza risulta ulteriormente confermata anche dai disposti della legge delega che, all'art. 12, comma 3, parla espressamente di "società commerciali". (19)
Anche se tutto ciò può apparire ovvio, alla luce della ricostruzione della volontà del legislatore, è assolutamente necessario sottolineare un aspetto di vitale importanza per la validità delle clausole compromissorie contenute all'interno degli statuti delle società, che fino ad oggi non è stato sufficientemente evidenziato.
Come ricordato in precedenza, queste, in base all'art. 34, comma 2, del decreto dovranno prevedere sotto pena di nullità che la nomina dell'arbitro o degli arbitri debba avvenire ad opera di un soggetto esterno rispetto alla società.
Dal punto di vista pratico, le società a responsabilità limitata, le società per azioni e le società cooperative, ciascuna secondo le tempistiche scandite dal legislatore delegato, dovranno procedere all'adeguamento degli statuti, e, quindi, alla modifica delle clausole compromissorie allo scopo di evitare, appunto, la loro nullità, ove prevedano un meccanismo di nomina degli arbitri in capo direttamente alle parti, sulla base del modello disegnato dal codice di rito all'art. 810.
Ma il fatto da sottolineare è che gli statuti delle società di persone non dovranno essere sottoposti per legge a modifiche, con la conseguenza che le clausole compromissorie ivi contenute potrebbero risultare nulle per le ragioni sopra esposte. Sarà quindi necessario procedere ad una modifica di tale clausole al fine di non frustrare la volontà delle parti di dirimere le controversie insorte mediante lo strumento arbitrale, così come originariamente previsto nel contratto sociale.
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Note:
(18) CRISI, Considerazioni sull'arbitrato in materia societaria tra ritualità e irritualità nel quadro della riforma del processo societario di cui al d. lgs., n. 5 del 17 gennaio 2003, in Riv. dir. comm., 2005, 146.
(19) Trib. Trento, 8 aprile 2004, cit.