Secondo l’art. 16 della l. 11.2.1992, n. 157, le regioni possono autorizzare la gestione dell’attività faunistica-venatoria regolamentata da parte di:
L'articolo continua dopo la pubblicità
Con la risposta di consulenza giuridica 8.10.2024, n. 6, è stata affrontata la problematica dell’aliquota IVA applicabile sulle cessioni di fauna selvatica fatte nei confronti di aziende agricole che esercitano tale “attività connessa”.
Il perimetro del problema è rappresentato dal fatto che:
La problematica è arricchita dal contenuto dell’art. 12 della legge secondi cui:
Il n. 7) della Tabella A, parte III, del d.p.r. 26.10.1972, n. 633, prevede l’applicazione dell’aliquota IVA del 10% sulle cessioni di “conigli domestici, piccioni, lepri, pernici, fagiani, rane e alti animali vivi destinati all’alimentazione umana; loro carni, parti e frattaglie, fresche, refrigerate, salate o in salamoia, secche o affumicate; api e bachi da seta; pesci freschi (vivi o morti), refrigerati, congelati o surgelati, destinati all’alimentazione”.
Tuttavia, se viene meno tale destinazione, come nel caso specifico di ripopolamento ambientale, al momento dell’acquisto va applicata l’aliquota ordinaria del 22%: l’azienda agricola cessionaria non può sapere se i capi avranno la destinazione all’alimentazione umana poiché ciò potrà essere verificato soltanto nel momento in cui il cacciatore preleverà gli animali che ha abbattuto. In altre parole, i capi acquistati possono essere destinati al ripopolamento e poi anche all’esercizio venatorio.
Va ricordato che l’art. 18-bis del d.l. 25.5.2021, n. 73, aveva affermato che l’aliquota del 10% si applicava anche alle cessioni di “animali vivi ceduti per l’attività venatoria” fino al 31.12.2021.
Con l’occasione, va ricordato che la risoluzione 27.9.2018, n. 73/E, che ha affrontato la problematica di cui all’art. 56-bis del d.p.r. 22.12.1986, n. 917, in materia di imposte sui redditi ha precisato che il requisito di “attività connessa” a quella agricola non può prescindere dal considerare:
Secondo la circolare 15.11.2004, n. 44/E, la valutazione del concetto di prevalenza può essere verificata effettuando il confronto tra il fatturato realizzato con l’impiego di attrezzature aziendali. La risposta è positiva se il fatturato che deriva “dall’impiego da attrezzature o risorse normalmente impiegate nell’attività agricola principale è superiore al fatturato ottenuto attraverso l’utilizzo delle altre attrezzature o risorse”. Se non sussiste il requisito di plusvalenza i redditi dell’imprenditore agricolo che derivano dalla prestazione di servizi concorrono a formare il reddito di base ai criteri ordinari. L’art. 56-bis del d.p.r. 22.12.1986, n. 917, è escluso per la forma giuridica di impresa individuale, società di persone e ente non commerciale.