L'attività di dottore commercialista ed esperto contabile è incompatibile con lo svolgimento di un'attività imprenditoriale, poiché tale limitazione garantisce l'indipendenza e l'imparzialità professionale.
Tuttavia, vi sono eccezioni, come l’attività di gestione immobiliare o attività di centro servizi contabili.
Il 23 luglio 2024, il Presidente del Consiglio Nazionale, Elbano De Nuccio, ha inviato ai Presidenti degli Ordini territoriali una bozza di Riforma del decreto legislativo 139/2005, che recepisce proposte dagli Ordini territoriali e dalle Associazioni sindacali. Sono state trasmesse anche la sintesi di tutte le osservazioni trasmesse dagli Ordini, dalle Associazioni sindacali e da alcuni Iscritti[1].
In generale, è raro, anche se non impossibile, che un professionista svolga un'attività d'impresa come persona fisica oltre alla propria attività professionale. Tuttavia, è necessario un esame della questione per comprendere meglio i casi più frequenti di coinvolgimento nelle società. La normativa su questo tema è limitata, ma il Consiglio nazionale ha emesso note interpretative il 1° marzo 2012 e una raccolta di "Pronto ordine", simile alle risposte agli interpelli dell'Agenzia, che trattano anche la questione dell'incompatibilità, pur non essendo riferite a casi specifici.
Il libro, La società semplice – II edizione, esamina la bozza del nuovo articolo 4 relativo alla incompatibilità professionale.
Analizziamo in questo momento la disciplina attualmente in vigore.
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Una casistica insidiosa è sicuramente rappresentata dall’attività imprenditoriale occasionale, come, ad esempio, il compenso ricevuto per una intermediazione.
Le note interpretative sottolineano che, ai sensi dell’art. 4 dell’ordinamento professionale, devono ritenersi incompatibili anche i c.d. atti isolati di commercio, i quali, diversamente, non darebbero luogo alla qualifica di imprenditore per mancanza del requisito dell’abitualità.
Si deve, tuttavia, prestare attenzione al fatto che una cosa è la provvigione, che non è ammessa, altra cosa è prevedere che il compenso per una effettiva prestazione professionale possa essere parametrato ai risultati del cliente. Sul punto si segnala che l’art. 9 D.L. 24 gennaio 2012, n. 1 stabilisce espressamente al co. 1 che “Sono abrogate le tariffe delle professioni regolamentate nel sistema ordinistico”.
Il co. 4, così modificato dall’art. 1, comma 150, L. 4 agosto 2017, n. 124, riprendendo il precedente co. 3, inoltre, prevede espressamente che “Il compenso per le prestazioni professionali è pattuito, nelle forme previste dall’ordinamento, al momento del conferimento dell’incarico professionale. Il professionista deve rendere noto obbligatoriamente, in forma scritta o digitale, al cliente il grado di complessità dell’incarico, fornendo tutte le informazioni utili circa gli oneri ipotizzabili dal momento del conferimento fino alla conclusione dell’incarico e deve altresì indicare i dati della polizza assicurativa per i danni provocati nell’esercizio dell’attività professionale. In ogni caso la misura del compenso è previamente resa nota al cliente obbligatoriamente, in forma scritta o digitale, con un preventivo di massima, deve essere adeguata all’importanza dell’opera e va pattuita indicando per le singole prestazioni tutte le voci di costo, comprensive di spese, oneri e contributi. (...).”
Sul punto, come precisato nel pronto ordini n. 292/2017 del 5 febbraio 2018, si ricorda come si debba considerare anche il più stringente contenuto dell’art. 25 del codice deontologico adottato dal Consiglio nazionale 17 dicembre 2015.
La norma deontologica, infatti, impone all’iscritto nell’albo dei dottori commercialisti e degli esperti contabili di stabilire per iscritto nell’accordo con il cliente la misura del compenso e di accompagnare l’accordo con un preventivo di massima comprensivo di spese, oneri e contributi.
Il citato pronto ordini ricorda, in particolare, che il mancato rispetto del citato art. 25 relativo alla stipula per iscritto del mandato professionale rileva solamente sotto il profilo disciplinare, mentre la mancata redazione del preventivo in forma scritta costituisce anche violazione di legge in quanto espressamente prevista dal citato art. 9, co. 4 D.L. 1/2012.
L’art. 21, co. 5 del codice delle sanzioni disciplinari prescrive che la mancata forma scritta del contratto e del preventivo di massima, in fase del conferimento dell’incarico, costituisce una violazione dell’art. 25 con conseguente sanzione disciplinare della censura come previsto dall’art. 21 del codice delle sanzioni disciplinari. Questo preambolo appare utile a tratteggiare le norme che regolano il rapporto tra cliente e professionista.
Per il resto, l’abolizione delle tariffe professionali porta a ritenere che il professionista e il cliente possano accordarsi nel modo che ritengono più opportuno per determinare le modalità di computo della tariffa professionale che ben potrebbe essere parametrata a dei risultati conseguiti dal cliente.
L’approfondimento è un estratto dal libro La società semplice – II edizione
Si deve ad ogni buon conto segnalare che l’incompatibilità non è legata all’assunzione della qualifica di imprenditore, quanto piuttosto all’effettivo svolgimento di un’attività.
Se il commercialista ha assunto la qualifica imprenditoriale, potrà dimostrare l’inattività con le seguenti prove che vengono riconosciute a titolo meramente esplicativo:
Si tratta di elementi che non devono ricorrere necessariamente congiuntamente. In sede di verifica, gli ordini professionali potranno chiedere di esibire la dichiarazione dei redditi e la dichiarazione IVA.
L’approfondimento è un estratto dal libro La società semplice – II edizione