La dottrina concorda ormai che la Sostenibilità e la Responsabilità Sociale d'Impresa siano centrali nel diritto dell'impresa e societario. Questi temi non possono essere esclusi dal diritto della crisi e dell'insolvenza, soprattutto considerando che la normativa nazionale in materia di crisi è stata aggiornata in linea con le direttive europee. Questo rappresenta un caso unico, supportato dai principi presenti nel Codice della Crisi dell'Impresa, dove emergono con chiarezza concetti già consolidati nel quadro normativo sulla sostenibilità, come anche nella CSRD (Corporate Sustainability Reporting Directive).
Di seguito un estratto dall’ebook Profili giuridici della direttiva sulla sostenibilità aziendale dell’avv. Michela Roi
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La dottrina non ha più dubbio sul fatto che la Sostenibilità e la Responsabilità Sociale d’Impresa siano oramai al centro del diritto dell’impresa e del diritto societario[1], per questo i due temi non possono rimanere estranei financo al diritto della crisi e dell’insolvenza, considerato altresì che la crisi e l’insolvenza dell’impresa sono state regolamentate dal novello Legislatore nazionale, in funzione delle scelte euro-unitarie pure in questo caso.
Siamo, anche qui, dinanzi ad un unicum, confortato dagli stessi contenuti che si rinvengono nel corpus del Codice della Crisi dell’Impresa, poiché ivi si stagliano con nettezza concetti e principi stratificati già indicati nel complessivo set normativo in materia di Sostenibilità, come pure nella stessa CSRD, e non può essere diversamente.
L’entrata in vigore del menzionato Codice della Crisi dell’Impresa è ascrivibile ad un intervento euro-unitario, riconducibile al vasto set normativo che qui ci occupa, ovvero alla Direttiva 2019/1023/UE, meglio nota come Direttiva Insolvency[2], il cui messaggio può così enuclearsi: «(..) l’impresa esprime un coacervo di interessi e la sua continuità costituisce un valore per il quale tutti devono concorrere accettando un bilanciamento degli interessi quale è implicito nel requisito della sostenibilità (..)»[3]
Di più, in coerenza con i principi fin qui enucleati, la Direttiva Insolvency promuove e pone al centro la ristrutturazione preventiva[4], con l’obiettivo di garantire la continuità dell’impresa, sulla base di un’idea di sostenibilità e su una visione sociale dell’impresa: i.e. una ristrutturazione preventiva sostenibile all’interno ed all’esterno dal punto di vista economico e sociale.
Infatti, l’istituto della ristrutturazione:
E tutto questo soprattutto per la salvaguardia del c.d. capitale umano, in linea con l’attuale stagione nella quale «(..) diventano sempre più forti le istanze di un ripensamento dell’impresa secondo canoni comunitari, innervati su una ricomposizione dei rapporti con tutti gli stakeholders; tra questi è evidente il ruolo di inevitabile protagonista ricoperto dal fattore lavoro, da un lato principale destinatario dei tristemente noti effetti della crisi, e dall’altro prioritario riferimento per uscirne il prima possibile (..)»[5].
Estratto dall’ebook Profili giuridici della direttiva sulla sostenibilità aziendale
È, quindi, prioritario e necessario preservare, conservare e continuare l’attività meritevole al fine di evitare una dispersione di risorse, tanto affine al concetto di Sostenibilità.
A tal fine è necessario che l’impresa sia viable e soprattutto sia dotata di una organizzazione efficace, poiché «(..) sostenibilità implica la gestione dei rischi (..)»[6].
E se la «(..) sostenibilità implica la gestione dei rischi (..)»[7] (c.d. risk management) allora, parrebbero rinvenirsi, nel corpo del Codice della Crisi dell’Impresa, come pure nella Direttiva Insolvency, elementi del diritto dell’Impresa Sostenibile nonché un favore nei confronti di tale figura giuridica.
D’altra parte, non può negarsi che «(..) La continuità aziendale, nella sua accezione di dovere improntare la gestione dell’impresa ad un equilibrio economico-finanziario di lungo termine, implica la necessità di approntare sistemi di rilevazione periodica dell’andamento della gestione e della profilatura dei rischi. Il “business sostenibile” comporta, allora, un dovere organizzativo e di pianificazione: la gestione diligente dell’azienda è quella organizzata in modo tale da prevenire l’emersione della crisi mediante l’implementazione di procedure da adottare in determinate situazioni che possono avere impatto negativo sull’andamento economico-finanziario fino a minare la continuità (..)»[8]
Per l’effetto, in assonanza con il complessivo framework normativo che ci occupa, il Codice della Crisi dell’Impresa ha compiuto una rivoluzione nell’ambito del diritto della crisi, «(..) imponendo la creazione di una governance razionalmente e funzionalmente strutturata, idonea non solo al conseguimento di risultati ottimali di gestione ma anche a sventare la penetrazione e degenerazione di squilibri di varia natura rendendo possibile, se del caso, l’immediata assunzione delle necessarie contromisure (..)»[9].
In questa maniera, il Legislatore italiano, precorrendo il novello Legislatore europeo, ha posto alla base dell’organizzazione aziendale (n.d.r. «imprenditore collettivo») gli «(..) assetti adeguati»[10], alla tipologia e dimensione dell’impresa, assegnando questo compito (i.e. questa responsabilità) all’Organo Gestorio, mentre sui sindaci, come organo di controllo, ricade il compito della verifica, ai sensi dell’art. 2403 c.c.
Ne discende che gli assetti organizzativi, amministrativi e contabili, adeguati alla gestione aziendale e idonei alla prevenzione della crisi, nonché orientati alla Sostenibilità, costituiscono il fulcro della disciplina dell’impresa e della crisi dell’impresa, alla luce del fil rouge che va dall’art. 2086 c.c. all’art. 3 del Codice della Crisi dell’Impresa e così fino alla CSRD, sulla scorta di un assunto incontrovertibile: «(..) Sostenibilità e responsabilità sociale sono temi che attengono all’attività dell’impresa tout court, non solo dell’impresa societaria, e quindi, coinvolgono anche l’impresa in crisi o insolvente (..)»[11]
E non può essere altrimenti, considerato che la crisi e l’insolvenza sono “fasi”, delicate sì, ma comunque “fasi” della “vita” dell’impresa, per cui è impossibile “alterare” il quadro di principi e valori nel quale opera l’impresa, in condizioni di normale esercizio (n.d.r. quando è solvibile), allorquando essa impresa entra in fase di crisi.
Estratto dall’ebook Profili giuridici della direttiva sulla sostenibilità aziendale
Anche la fase di crisi deve essere, cioè, gestita all’insegna di una maggiore responsabilità sociale dell’impresa, orientata alla tutela dei creditori, ma nello stesso tempo bilanciata in relazione agli ulteriori e diversi interessi coinvolti nelle procedure di gestione della crisi, soprattutto quelle giudiziarie.
Infatti, la dottrina conforme ha affermato sul punto la rilevanza, in particolare nelle procedure concorsuali, di interessi diversi rispetto a quelli dei creditori, come per esempi gli interessi dei lavoratori, quelli in ordine all’integrità del complesso aziendale-produttivo o ancora gli interessi alla stabilità del mercato ecc[12]
Di più, in ordine alla fase della liquidazione dell’attivo, da più parti si è messa in dubbio l’assolutezza dell’interesse dei creditori, poiché alla luce del framework qui complessivamente rappresentato, detto interesse è sicuramente il fine della procedura di liquidazione giudiziale e financo il criterio che deve orientare gli organi della procedura, ma tutto ciò «(..) non giustifica sempre e comunque la compromissione di altri interessi ritenuti meritevoli di tutela dal legislatore. Vi sono plurimi esempi normativi (..) nei quali l’obiettivo della massimizzazione dell’attivo e, quindi, della massima soddisfazione dei creditori incontra un limite e soccombe, o deve contemperarsi, in ragione della tutela di altri interessi tutelati. È questo il caso del diritto all’abitazione principale ed al luogo di esercizio dell’attività produttiva, (..) dei diritti dei lavoratori (..) Queste previsioni normative, viste in modo unitario, possono assumere un rilievo sistematico, concorrendo a definire un principio generale (..) inespresso, costruito in via interpretativa attraverso un procedimento di generalizzazione da norme di dettaglio (..) I principio generale si concreta nel riconoscimento che l’interesse dei creditori (..) deve contemperarsi con altri interessi di pari rilevanza costituzionale (..) La concomitante presenza di plurimi interessi rilevanti impone (..) la ricerca del punto di equilibrio (..) nella doverosa ponderazione, attuata secondo criteri di ragionevolezza e proporzionalità (..)»[13] elaborati dalla Corte Costituzionale[14]
Ed allora, può concludersi con le seguenti riflessioni:
Estratto dall’ebook Profili giuridici della direttiva sulla sostenibilità aziendale
[1] Fra tutti Castellaneta M e Vessia F. (a cura di), La responsabilità sociale d’impresa tra diritto societario e diritto internazionale, Napoli, 2019
[2] v. https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/AL/?uri=CELEX%3A32019L1023
[3] così Pacchi S., Sostenibilità, Fattori ESG e crisi d’impresa, in Ristrutturazioni Aziendali, 2023, p. 16, IlCaso.it
[4] v. il Considerando 16 della Direttiva Insolvency
[5] così Vella F., Introduzione, La partecipazione dei lavoratori nelle imprese, Fondazione Unipolis, 2017, Bologna, 9
[6] così Ricciardiello E., Sustainability and going concern, in Ristrutturazioni aziendali, IlCaso.it, 2021
[7] così Ricciardiello E. op. cit.
[8] così Pacchi S. op. cit
[9] così Pacchi S. op. cit
[10] Ex plurimis v. art. 3 del Codice della Crisi dell’Impresa e dell’Insolvenza
[11] così D’Attorre G., Sostenibilità e responsabilità sociale della crisi d’impresa, in Diritto della Crisi, www.dirittodellacrisi.it, 2021, p. 2
[12] sul punto Jorio A., Introduzione, in Trattato nelle procedure concorsuali, diretto da Jorio A. e Sassani I., Milano, 2014, p. 30 s.s.
[13] così D’Attore G, op. cit., p. 4 e 5
[14] v. Corte Cost. sentenza 28.11.2012 n. 264; Corte Cost. sentenza 9.05.2013 n. 85