Speciale Pubblicato il 01/08/2024

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Locazione e risoluzione per modifiche innovative da parte dell’inquilino

di Redazione Fisco e Tasse

Le innovazioni dell’inquilino nell’immobile locato: diritti, limiti e conseguenze legali



Il conduttore ha il diritto di godere dell'immobile locato con la diligenza del buon padre di famiglia e può apportare miglioramenti e addizioni, purché non danneggino il locatore. Le innovazioni sono vietate se violano questa diligenza e causano danni, portando potenzialmente alla risoluzione del contratto. Le pattuizioni contrattuali possono vietare tali innovazioni. La legge prevede sanzioni per mutamenti d'uso non pattuiti. Recenti sentenze confermano che lavori significativi senza consenso possono causare la risoluzione del contratto.

Approfondiamo con un estratto dal libro Manuale delle locazioni commerciali e abitative

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Risoluzione del contratto di locazione per modifiche innovative da parte dell’inquilino

Nel corso della locazione, il conduttore ha il godimento della cosa locata per l’uso convenuto, con l’osservanza della diligenza del buon padre di famiglia (art. 1587, n. 1, c.c.).

Il diritto di godimento del conduttore è quindi molto ampio, avendo egli in esclusiva il contatto fisico con la cosa locata, durante la locazione, sicché il locatore è sostanzialmente in balia del conduttore, che sarà tenuto solo a non superare il confine della diligenza del buon padre di famiglia, secondo il noto paradigma civilistico.

Ciò è tanto vero che la stessa disciplina legislativa sancisce espressamente, agli artt. 1592 e 1593 c.c., il diritto del conduttore di apportare miglioramenti alla cosa locata e di eseguire addizioni sulla stessa, tali da costituire vere e proprie innovazioni della cosa locata. È in effetti di tutta evidenza che un’addizione o una miglioria ai locali può costituire mutamento innovativo rispetto allo stato dei locali, così come consegnati dal locatore al momento della stipula del contratto. E questo è un dato peculiare, se si tiene conto che l’art. 1582 c.c. impone invece al locatore un vero e proprio divieto di innovazione, che diminuisca il godimento del conduttore e spiega chiaramente la diversa disciplina dettata dagli artt. 1592 e 1593 c.c. in materia di migliorie e addizioni, anzi probabilmente ne è il logico corollario.

Naturalmente, nelle innovazioni della cosa locata, non rientrano le riparazioni, non solo perché così dispongono gli artt. 1576 e 1577 c.c., ma anche perché le riparazioni sono concettualmente finalizzate a mantenere i locali in stato tale da servire all’uso convenuto, scopo incompatibile con la comune nozione di innovazione.

Estratto dal libro Manuale delle locazioni commerciali e abitative

Innovazioni da parte del conduttore: quando diventano abusive o illegittime?

Se dunque, in linea di massima, sono consentite le innovazioni da parte del conduttore, ci si domanda: quand’è che queste ultime diventano abusive o illegittime?

Alla stregua della disciplina codicistica, sembra fuori discussione che la linea di discrimine tra innovazione consentita e innovazione vietata non possa che essere quella dettata dall’art. 1587, n. 1, c.c. secondo cui il conduttore deve osservare la diligenza del padre di famiglia nel servirsi della cosa locata, per l’uso determinato nel contratto o per l’uso che può altrimenti desumersi dalle circostanze.

Il limite è abbastanza generico e deve interpretarsi nel senso che è violata la diligenza del buon padre di famiglia ogni volta che l’innovazione produce un danno per il locatore, sì da costituire vero e proprio inadempimento contrattuale, indipendentemente dall’obbligo del conduttore di restituire la cosa, al termine del rapporto, nello stato in cui l’ha ricevuta.

Si richiama in tal senso la sentenza della Cass. 15 maggio 1971, n. 1428, per la quale: «Nel valutare ai fini dell’art. 1455 c.c. l’importanza dell’inadempimento del conduttore, avuto riguardo all’interesse del locatore, si deve tener conto dell’essenziale criterio di misura, desumibile dall’uso della cosa locata. L’obbligo del conduttore di osservare la diligenza del buon padre di famiglia nel servirsi della cosa locatagli per l’uso determinato nel contratto o altrimenti desumibile dalle circostanze, a norma dell’art. 1587, n. 1, c.c., è sempre operante nel corso del rapporto di locazione, indipendentemente dall’altro obbligo del conduttore di restituire la cosa, al termine del rapporto, nello stesso stato in cui l’ha ricevuta».

L’inadempimento potrà pertanto portare alla risoluzione del contratto solo ove sia di non scarsa importanza, avuto riguardo all’interesse del locatore, ai sensi dell’art. 1455 c.c.

Sul punto è bene evidenziare che, secondo un orientamento giurisprudenziale costante, l’interesse del creditore non è astratto e soggettivo, ma deve essere valutato obiettivamente e in concreto (Cass. 14 giugno 1978, n. 2945). Né in materia può avere rilievo la distinzione tra obbligazioni principali e obbligazioni accessorie, posto che l’art. 1587, n. 1, c.c. definisce espressamente, come obbligazioni principali del conduttore, quelle della diligenza del buon padre di famiglia nell’uso e nel pagamento del canone. A questo proposito si evidenzia che il regime delle migliorie e addizioni è regime palesemente derogatorio a quanto disposto dall’art. 1587, n. 1, c.c., che è norma derogabile dalle pattuizioni delle parti.

Così ben può il locatore, nel contratto di locazione, vietare qualsiasi innovazione, sia essa additiva o migliorativa, in deroga al regime stabilito dagli artt. 1592-1593 c.c. Anche se la natura dispositiva di queste ultime norme non è espressamente dichiarata – l’art. 1592 c.c. fa salve solo le disposizioni particolari della legge o degli usi – la natura dispositiva della disciplina delle migliorie e addizioni si ricava dal confronto con gli artt. 1632 e 1633 c.c. (sulle migliorie nell’affitto dei fondi rustici, che sono dichiarate espressamente inderogabili dall’art. 1634 c.c.). E, dunque, le pattuizioni contrattuali derogative della disciplina legale delle addizioni e migliorie possono imporre divieti, costituenti vere e proprie obbligazioni, al cui inadempimento sono connesse le conseguenze della risoluzione e del risarcimento danni. Vale la pena di rimarcare che, nella disciplina vincolistica, l’art. 80 della legge 392/1978 prevede una sorta di innovazione vietata legislativamente, la cui sanzione è quella della risoluzione del contratto: si tratta dell’ipotesi in cui il conduttore adibisca l’immobile ad un uso diverso da quello pattuito.

È vero che il fondamento della norma è da individuare nell’intento del legislatore di evitare che contratti di locazione di immobili ad uso di abitazione vengano stipulati nella forma dei contratti ad uso diverso, ma è anche vero che l’area di applicazione della norma deve essere definita in termini obiettivi e concreti, sì da ricomprendere qualsiasi mutamento d’uso dell’immobile diverso da quello pattuito.

In tema e tra le pronunce più recenti, si veda Cassazione 8 febbraio 2012, n. 1761, secondo cui l’esecuzione da parte del conduttore di lavori di notevole entità, senza il consenso del locatore, comporta la risoluzione del contratto di locazione per grave inadempimento.

Tale inadempimento ha ora una valenza specifica in relazione all’art. 19 del d.l. 78/2010, convertito nella legge 122/2010 che ha introdotto, a pena di incommerciabilità, l’obbligo di denunciare i dati catastali dell’immobile. Ed infatti, alla stregua del d.l. 78/2010, occorre tener conto che i lavori sull’immobile locato, da parte dell’inquilino, non devono alterare la corrispondenza dello stato dei luoghi alle risultanze catastali.

Il proprietario – in caso di violazione dell’obbligo in questione – non deve limitarsi alla pura e semplice domanda di risoluzione del contratto per inadempimento grave e di condanna al rilascio, ma deve anche chiedere il ripristino dello stato dei luoghi a carico del conduttore, continuando a percepire il corrispettivo pattuito – fino al completamento dei lavori di ripristino – e a evitare l’accollo degli oneri economici necessari per rendere trasferibile l’immobile, con le variazioni catastali rese necessarie in sede di stipula del contratto di locazione. Infatti, come già evidenziato, a norma dell’art. 19, comma 14, del d.l. 78/2010, «gli atti pubblici e le scritture private autenticate tra vivi aventi ad oggetto il trasferimento, la costituzione o lo scioglimento di comunione di diritti reali sui fabbricati già esistenti (...) a pena di nullità, oltre all’identificazione catastale, [devono contenere] il riferimento alle planimetrie depositate in catasto e la dichiarazione, resa in atti dagli intestatari, della conformità allo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie, sulla base delle disposizioni vigenti in materia catastale (...)».

Estratto dal libro Manuale delle locazioni commerciali e abitative



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