L'art. 1102 c.c. (applicabile al condominio in virtù del richiamo operato dall'art. 1139 c.c.), stabilisce che ciascun partecipante può servirsi della cosa comune purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. La ratio della norma citata è quella di garantire, a ciascun condomino, il godimento della cosa comune, onde evitare che un bene, il quale, proprio per la sua particolare natura comune è destinato a soddisfare le esigenze di una pluralità di soggetti, possa essere goduto esclusivamente da taluni a discapito di altri (Trib. Santa Maria Capua Vetere 24 maggio 2024, n. 2165). La nozione di uso della cosa comune cui fa riferimento l'articolo 1102 c.c., non va intesa nel senso di uso identico contemporaneo, dovendo ritenersi conferita dalla legge a ciascun partecipante alla comunione la facoltà di trarre dalla cosa comune la più intensa utilizzazione, a condizione che questo sia compatibile con i diritti degli altri. Le aperture realizzate sulla facciata a servizio di un bene di proprietà esclusiva sono lecite nella misura in cui esse rispettino il disposto di cui all'art. 1102 c.c.
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In ambito condominiale l’assetto architettonico dello stabile costituisce un valore di interesse “sovraindividuale” al cui rispetto ciascun condomino deve ritenersi tenuto nell’esercizio delle proprie facoltà inerenti sia l’unità immobiliare in proprietà esclusiva, sia le forme di godimento delle parti comuni (come espressamente previsto dagli artt. 1102, 1120 e 1121 c.c.). Le nozioni di ‘estetica’ e di ‘decoro’, rilevanti a tali fini, devono riferirsi all’assetto fisionomico dell’edificio, ossia all’insieme delle linee e delle strutture che connotano lo stabile stesso e gli imprimono una determinata, armonica fisionomia ed una specifica identità, che sussiste anche in mancanza di un particolare assetto architettonico, dovendosi ritenere sufficiente una “linea armonica”, sia pure estremamente semplice (così Cass. civ., sez. II, 04/04/2008, n. 8830).
Il divieto di alterare il decoro architettonico del fabbricato, anche se previsto espressamente, in materia di innovazioni, dall’art. 1120 c.c., quarto comma, trova applicazione anche in riferimento alle modificazioni consentite al condomino ex art. 1102 c.c., dovendosi estendere in via analogica a tutte le modificazioni apportate al bene comune, essendo identica la ratio legis diretta a tutelare l’integrità dei beni appartenenti ai condomini in comunione (Cass. civ., sez. II, 22/08/2003, n. 12343).
Se il divieto di ledere il decorso architettonico del fabbricato – previsto esplicitamente per le nuove opere, deliberate dall’assemblea – non riguardasse anche le modificazioni, apportate a vantaggio proprio dal singolo condomino, questi operando da solo subirebbe, nell’uso delle parti comuni, restrizioni minori di quante ne incontri come partecipante all’assemblea.
In altre parole, alla maggioranza dei partecipanti riuniti in assemblea sarebbero attribuiti poteri ben più circoscritti di quelli riconosciuti al singolo. Alla luce di quanto sopra si può affermare in linea generale che l'apertura di una finestra sul muro comune, l'ingrandimento o spostamento di veduta e la trasformazione di finestra in balcone sono consentiti al singolo condomino. L'apertura di una finestra non deve alterare l'entità materiale del muro comune, né modificare la destinazione. In ogni caso l'apertura sulla parete esterna del condominio non deve alterare le linee e simmetrie dell'edificio.
Non è raro che nel regolamento si trovino clausole che vietino qualsiasi opera esterna che modifichi l’architettura e l’estetica del fabbricato e delle parti comuni o vietino tutte le opere che, anche senza arrecare danno o pregiudizio, siano tali da modificare (in qualsiasi senso, anche migliorativo) le originarie linee architettoniche dell’edificio o la sua estetica e simmetria.
Del resto è del tutto legittimo che le norme del regolamento di condominio – ove di natura contrattuale, cioè predisposte dall’unico originario proprietario dell’edificio ed accettate con i singoli atti d’acquisto dai subentrati condomini ovvero adottate con il consenso unanime di questi ultimi in sede assembleare – possano derogare od integrare la disciplina legale e, in particolare, possano dare del concetto di decoro architettonico una definizione più rigorosa di quella accolta dall’art. 1120 c.c., estendendo il divieto d’immutazione sino alla conservazione degli elementi attinenti alla simmetria, all’estetica, all’aspetto generale dell’edificio quali risultanti nel momento della sua costruzione od esistenti in quello della manifestazione della volontà negoziale.
La vigenza di un divieto convenzionale di modificare l'assetto estetico dell'edificio agevola senz'altro la dimostrazione dell'illecita alterazione del decoro architettonico, in quanto rende superfluo l'accertamento in concreto dell'impatto sulla conformazione del complesso immobiliare.