La dichiarazione si considera presentata “nel giorno in cui è consegnata dal contribuente alla banca o all’ufficio postale (n.d.r.: soltanto il modello 730) ovvero è trasmessa all’Agenzia delle entrate mediante procedure telematiche direttamente o tramite uno dei soggetti di cui ai commi 2-bis e 3”, come è disposto dall’art. 3, comma 8, del d.p.r. 27.7.1998, n. 322, cioè dai soggetti abilitati.
Il successivo comma 10, afferma che la prova dell’avvenuta presentazione della dichiarazione “è data dalla comunicazione dell’Agenzia delle entrate attestante l’avvenuto ricevimento della dichiarazione telematica presentata in via telematica direttamente o tramite i soggetti di cui ai commi 2-bis e 3, ovvero dalla ricevuta della banca, dell’ufficio postale o dalla ricevuta di invio della raccomandata di cui al comma 5”, cioè nel caso di spedizione effettuata dall’estero (facoltà esclusa per chi è obbligato alla presentazione telematica).
La circolare 25.1.2002, n. 6, afferma che “le dichiarazioni presentate in via telematica si considerano tempestive se trasmesse nei termini anche se successivamente scartate, purché siano correttamente ritrasmesse entro i cinque giorni successivi alla comunicazione telematica dell’avvenuto scarto da parte dell’Agenzia delle entrate”, regola che era stata già espressa nella C.M. 24.9.1999, n. 195.
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La dichiarazione che è stata presentata entro 90 giorni dalla scadenza del termine è considerata valida, pur se resta salva l’applicazione della sanzione per il ritardo nella misura da 250 a 1.000 euro (e da 250 a 2.000 euro in materia di IVA).
La sanzione irrogata con l’importo minimo di 250 euro (artt. 1, comma 1, e 5, comma 1, del d.lgs. 18.2.1997, n. 471) è ridotta a 1/10 cioè a 25 euro se l’infrazione è sanata mediante la procedura di ravvedimento operoso (art. 13, comma 1, lett. c) del d.lgs. 18.12..1997, n. 472), con la connessa regolarizzazione di eventuali irregolarità, omissioni di versamenti (circolare 12.10.2016, n. 42/E).
La Corte di Giustizia tributaria di secondo grado del Piemonte (sentenza 10.3.2023, n. 105) ha affermato che:
Le dichiarazioni presentate con ritardo superiore a 90 giorni si considerano omesse, ma costituiscono comunque, titolo per la riscossione delle imposte dovute in base agli imponibili che vi sono indicati e delle ritenute che sono indicate dai sostituti di imposta (art. 2, comma 7, secondo periodo del d.p.r. n. 322 citato).
Non trova applicazione l’art. 7, comma 4-bis del d.lgs. 18.12.1997, n. 472, secondo cui “salvo quanto diversamente disposto da singole leggi di riferimento, in caso di presentazione di una dichiarazione o di una denuncia entro 30 giorni dalla scadenza del relativo termine, la sanzione è ridotta della metà”.
Pertanto, l’unica possibilità è rappresentata dal pagamento della sanzione di 25 euro, cioè la misura ordinaria ridotta a 1/10.
La Corte di cassazione (ordinanza 22.4.2021, n. 10668) ha affermato che la dichiarazione presentata con un reddito inverosimile (nel caso specifico un euro nella dichiarazione IRAP) non può essere considerata una omessa dichiarazione, ma una dichiarazione infedele.
L’art. 1 del d.lgs. n. 471 citato prevede l’irrogazione della sanzione nella misura dal 120% al 240% dell’ammontare delle imposte dovute, con un minimo di 250 euro nel caso di omessa dichiarazione in materia di imposte dirette.
La stessa sanzione si applica anche all’IVA, ai sensi del successivo art. 5.
Tuttavia, attualmente, se la dichiarazione è presentata
la sanzione amministrativa si applica nella misura dal 60% al 120% dell’ammontare delle imposte dovute, con un minimo di 200 euro (artt. 1 e 5 del d.lgs. n. 471).
Tuttavia, ai soli fini delle imposte sui redditi, se non sono dovute le imposte, la sanzione varia da 150 a 500 euro. Tuttavia, quando non sono dovute imposte, le sanzioni possono essere aumentate fino al doppio nei confronti di chi è obbligato a tenere le scritture contabili.