Speciale Pubblicato il 30/05/2024

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Ravvedimento operoso e rimborso delle imposte: normativa e prassi

di Mogorovich Dott. Sergio

Ammissibilità della richiesta di rimborso delle somme dovute per ravvedimento operoso



Il ravvedimento operoso, disciplinato dall’art. 13 del d.lgs. 18.12.1997 n. 472, permette ai contribuenti di correggere autonomamente dichiarazioni fiscali irregolari pagando imposte, interessi legali e sanzioni ridotte, a condizione che le violazioni non siano state già accertate. 

Tuttavia, non è previsto il rimborso delle sanzioni versate tramite ravvedimento, salvo in caso di errore essenziale riconoscibile ai sensi dell’art. 1428 c.c. 

Vediamo di seguito cosa stabilisce anche la prassi dell’Agenzia delle Entrate in merito al recupero di imposte versate in eccesso.

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Ravvedimento operoso: cornice normativa

L’art. 13 del d.lgs. 18.12.1997, n. 472, consente di operare la rettifica di una dichiarazione regolarmente presentata, ma solo a condizione che la violazione non sia stata già constatata e comunque prima che siano stati iniziati accessi, ispezioni, verifiche o altre attività amministrative di accertamento delle quali l’autore o i soggetti solidalmente obbligati abbiano avuto formale conoscenza. 

Il contribuente può sanare l’irregolarità con il pagamento dell’imposta o della differenza della maggiore imposta, degli interessi legali maturati giorno per giorno e della sanzione ridotta calcolata sul minimo previsto nella misura rapportata al ritardo della regolarizzazione.

La procedura è negata, inoltre, qualora siano stati notificati avvisi di accertamento e atti di accertamento, comprese le comunicazioni con le quali sono dovute le somme ai sensi degli artt. 36-bis e 36-ter del d.p.r. 29.9.1973, n. 600, ai fini delle imposte sui redditi e dell’art. 54-bis del d.p.r. 26.10.1972, n. 633, ai fini dell’IVA. 

Tuttavia, l’operazione è riconosciuta, in deroga, nei seguenti casi:

Secondo il successivo art. 13-bis, è consentito procedere anche alla regolarizzazione in maniera frazionata, ma sempre in assenza delle suddette condizioni preclusive. 

Ma è da tenere presente che:

  1. se l’imposta dovuta è versata in ritardo e il ravvedimento, con relativo pagamento degli interessi e delle sanzioni  avviene successivamente, la sanzione applicabile è quella dovuta in relazione all’integrale dovuto versamento; gli interessi sono dovuti per l’intero periodo di ritardo; la riduzione delle sanzioni è riferita all’effettivo momento del perfezionamento;
  2. se il versamento delle somme dovute è frazionato in momenti differenti, è possibile operare il ravvedimento in funzione di ciascun versamento, ovvero effettuare il pagamento complessivo applicando la riduzione delle sanzioni e gli interessi complessivi maturati al momento del perfezionamento.

In questa cornice normativa, la regolarizzazione delle violazioni commesse richiede sempre il pagamento delle tre componenti, cioè imposta, interessi e sanzioni, in unica soluzione poiché non è previsto il pagamento in forma rateale.

La possibilità offerta dall’art. 13-bis è sempre condizionata all’assenza delle condizioni ostative previste dal comma 1 dell’art. 13: se interviene la notifica dell’avviso di accertamento o sono iniziate le attività ispettive anche nei confronti dei soggetti coobbligati, la sanatoria dell’irregolarità segnalata mediante la procedura di ravvedimento operoso è considerata a favore del contribuente soltanto entro i limiti dell’avvenuto perfezionamento per cui, ad esempio, se il reddito è stato dichiarato per € 20.000 ma è stato rettificato in € 35.000 e se è stata versata la maggiore imposta, unitamente agli interessi e alla sanzione ridotta, riferita al reddito di € 30.000, l’Agenzia delle entrate liquida le sanzioni nella misura intera corrispondente al reddito di € 5.000 che non è stato sanato con la procedura di ravvedimento operoso.

L’ammissibilità della richiesta di rimborso delle somme dovute per ravvedimento operoso

Mediante l’istituto del ravvedimento operoso il contribuente pone un rimedio spontaneo all’irregolarità commessa. Si tratta di una libera scelta del contribuente, di carattere negoziale e, quindi, è una manifestazione di volontà rispetto alla dichiarazione che è un atto di scienza, per cui può essere oggetto di annullamento in presenza di un errore determinante che va individuato ai sensi dell’art. 1428 del codice civile: “l’errore è causa di annullamento del contratto quando è essenziale ed è riconoscibile dall’altro contraente”.

L’art. 13 ha come presupposto la volontà di rettificare la dichiarazione che è stata  presentata (ovvero la sanatoria di un omesso versamento) nel rispetto delle condizioni previste cioè la rimozione della violazione (cioè la presentazione di una dichiarazione rettificativa o di un omesso versamento), con il versamento spontaneo della sanzione ridotta e degli interessi legali

Ma la norma non opera alcuna distinzione delle violazioni commesse, cioè se sono sostanziali, formali o meramente formali, condizione che potrebbe legittimare la presentazione di un’istanza di rimborso.

Il quadro normativo evidenzia come l’adempimento del “contribuente pentito” ha per oggetto l’aspetto sostanziale della violazione che egli ha commesso, mentre l’eventuale istanza di rimborso delle somme a suo tempo versate non è conforme all’istituto del ravvedimento operoso.

Con l’ordinanza 15.3.2023, n. 11993,  la Corte di cassazione ha affermato il seguente principio: “la scelta del ravvedimento operoso in materia fiscale di cui all’art. 13, d.lgs. 18.12.1997, n. 472, è di carattere negoziale, costituendo una dichiarazione di volontà – rispetto alla quale risulta irrilevante che l’atto dovuto costituisse invece una mera dichiarazione di scienza – per cui essa non può che essere oggetto di annullamento per errore determinante. Ai fini dell’istanza di rimborso delle somme così versate, risulta irrilevante la natura, formale o sostanziale, della violazione per la quale si presta il “ravvedimento” stesso, né la stessa può essere ancorata alla mancanza ab origine dei presupposti sanzionatori, risultando ciò palesemente contrastante con lo stesso sistema del ravvedimento in parola, che consiste in una libera scelta del contribuente con la quale – ricorrendo le condizioni di legge – si provvede a soddisfare la pretesa tributaria senza porla in discussione, beneficiando peraltro di un trattamento sanzionatorio ridotto, risultando, quindi, esclusivamente rilevante l’errore determinante ai sensi dell’art. 1428 c.c., in cui sia caduto il contribuente nel momento in cui ha operato il ravvedimento stesso. Una volta che il contribuente abbia dunque optato per il ravvedimento operoso, le sanzioni così corrisposte dipendono da una scelta di natura negoziale e consapevole, che giustifica appunto il rimborso solo ove lo stesso nel formularla sia caduto in un errore qualificato a mente della disciplina generale contenuta nel codice civile”.

Del tutto diverso, è il caso trattato dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza 16.12.2020, n. 28844, secondo cui la richiesta di rimborso è legittima se l’assoggettamento all’imposta è carente nel presupposto. “In assenza dei presupposti per il versamento del tributo e delle sanzioni (circostanze accertate con la sentenza impugnata), e stante la natura meramente formale della violazione commessa dal contribuente, non è ostativo al rimborso dei relativi importi il versamento degli stessi in sede di ravvedimento operoso, non essendo dovute sanzioni in assenza di debito d’imposta per violazioni formali, ove non arrechino pregiudizio alle azioni di controllo e, al contempo, non incidano sulla determinazione della base imponibile dell’imposta e sul versamento del tributo”.

Ravvedimento operoso: la prassi dell’Agenzia delle entrate

Con la risoluzione 2.12.2008, n. 459, l’Agenzia delle entrate ha precisato che “al contribuente non è consentito presentare una dichiarazione correttiva con esito a sé favorevole oltre il limite previsto dall’art. 2, comma 8-bis, del d.p.r. n. 322 del 1998, ma lo stesso può, invece, recuperare l’eventuale imposta versata in eccesso, attraverso un’istanza di rimborso presentata ai sensi dell’art. 38 del d.p.r. n. 602 del 1973”.

La condizione – presupposto per procedere con la presentazione dell’istanza di rimborso è sostanziale: il rimborso è effettuato d’ufficio a seguito dell’attività di liquidazione della dichiarazione per effetto dell’art. 41 del d.p.r. 29.9.1973, n. 602, mentre quello previsto dal precedente art. 38 presuppone la presentazione dell’apposita istanza di rimborso che deve essere presentata entro il preciso termine di decadenza di 48 mesi dalla data in cui è stato effettuato il versamento nei casi di errore materiale, duplicazione e inesistenza totale o parziale dell’obbligo di versamento. Pertanto, l’inoltro dell’istanza richiede la produzione di prove che legittimano la ripetizione dell’eccesso che è stato versato (Corte di cassazione, sentenza 20.12.2002, n. 18163). Va tenuto presente che, come regola generale, il termine decadenziale inizia a decorrere dal momento in cui è avvenuto il pagamento della somma dovuta “a saldo” e non dell’acconto che, invece, ha un carattere di provvisorietà (Corte di cassazione, sentenza 20.12.2007, n. 26863). 

Tuttavia, se il pagamento “è stato effettuato in totale assenza del presupposto, il termine inizia a decorrere dalla data del pagamento stesso, mentre, nel caso in cui la richiesta di restituzione riguardi eccedenze di versamento in acconto o di pagamenti aventi carattere di provvisorietà, cui non corrisponda successivamente la determinazione di quello stesso obbligo in via definitiva, il termine decorre dal pagamento del saldo” (risoluzione citata). 



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