Nel ben più ampio panorama di direttive e di provvedimenti che negli ultimi anni l’Europa sta adottando sulla rendicontazione in tema di sostenibilità (si veda la direttiva CSRD, i nuovi standard ESRS, il regolamento SFDR sull'informativa di sostenibilità dei servizi finanziari) si inserisce anche la proposta di direttiva, nota come Corporate Sustainability Due Diligence Directive (CSDDD o CS3D), che il 23 febbraio 2022 la Commissione europea ha presentato e che riguarderà la governance e la rendicontazione sul rispetto dei diritti umani e dell’ambiente andando ad integrare alcune prassi nella gestione delle imprese.
Il 1° giugno 2023, il Parlamento europeo ha adottato, con modifiche, il testo finale sulla proposta di Direttiva e il 14 dicembre 2023 il testo finale è stato approvato grazie all’accordo raggiunto tra il Consiglio Europeo e il Parlamento Europeo.
L’accordo in questione dovrebbe estendere gli obblighi alle società di maggiori dimensioni ovvero quelle con più di 500 dipendenti e un fatturato netto che risulti superiore al valore di 150 milioni di euro. Saranno comprese nell’obbligo anche le società non europee che hanno un fatturato creato dalla loro attività svolta in UE che chiaramente supera tale soglia.
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La Commissione individua sostanzialmente due gruppi di imprese a cui si rivolgerà la direttiva:
Le imprese extra UE saranno ricomprese nei due gruppi sopra riportati se producono ricavi e svolgono attività con le caratteristiche e nei valori sopra indicati.
Le microimprese e le PMI non sono interessate dalle norme proposte. Tuttavia, la proposta di direttiva prevede misure di sostegno per le PMI, che potrebbero essere indirettamente colpite in quanto facenti parti della catena di fornitura di grandi imprese soggette agli obblighi in questione.
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Lo scopo della direttiva è quello di promuovere un comportamento aziendale sostenibile e responsabile e ancorare le considerazioni relative ai diritti umani e all'ambiente nelle operazioni e nel governo societario delle aziende. Le nuove norme garantiranno che le imprese affrontino gli impatti negativi delle loro azioni, anche nelle loro catene del valore all’interno e all’esterno dell’Europa.
Il collegamento dell’economia dell’UE a milioni di lavoratori in tutto il mondo attraverso catene del valore globali comporta la responsabilità di affrontare gli impatti negativi sui diritti di questi lavoratori. Al legislatore europeo è apparsa chiara la richiesta da parte dei cittadini dell’Unione, in particolare nel quadro della Conferenza sul futuro dell’Europa, affinché l’economia dell’UE contribuisca ad affrontare questi e altri impatti negativi, anche quelli ambientali, attraverso una legislazione esistente o futura sui diritti umani e sul rispetto di criteri di sostenibilità ambientale.
In particolare, la presente direttiva potrebbe migliorare le pratiche di governance aziendale per integrare una più puntuale gestione del rischio e processi di mitigazione dei rischi e degli impatti relativi ai diritti umani e all’ambiente, compresi quelli derivanti dalle catene del valore, nelle strategie aziendali. E allo stesso tempo evitare la frammentazione degli obblighi di diligenza nel mercato unico e creare certezza giuridica per le imprese e le parti interessate per quanto riguarda il comportamento previsto e la responsabilità di imprese e manager.
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Secondo la Commissione i vantaggi sono diversi e riguardano sia le imprese che i paesi in via di sviluppo. Per le imprese si profilano i seguenti punti di forza:
Mentre per i paesi in via di sviluppo si ipotizzano i seguenti:
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La direttiva istituisce un obbligo di diligenza da parte delle imprese. Gli elementi centrali di questo dovere sono identificare, porre fine, prevenire, mitigare e contabilizzare gli impatti negativi sui diritti umani e sull'ambiente nelle attività dell'azienda, nelle sue filiali e nelle sue catene del valore. Inoltre, le grandi aziende dovranno disporre di un piano per garantire che la loro strategia aziendale sia compatibile con la limitazione del riscaldamento globale a 1,5°C in linea con l’Accordo di Parigi. Gli amministratori sono incentivati a contribuire agli obiettivi di sostenibilità e mitigazione del cambiamento climatico.
La Direttiva introduce anche obblighi per gli amministratori delle società dell'UE interessate. Tali compiti includono l'impostazione e la supervisione dell'implementazione dei processi di due diligence e l'integrazione della due diligence nella strategia aziendale. Inoltre, nell’adempiere al proprio dovere di agire nel migliore interesse della società, gli amministratori devono tenere conto dei diritti umani, del cambiamento climatico e delle conseguenze ambientali delle loro decisioni.
Di seguito si riepilogano gli obblighi già esplicitati che la normativa imporrà alle imprese:
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In sede di recepimento della Direttiva, i singoli Stati Membri potranno prevedere sanzioni da parte delle autorità di vigilanza nazionali. Le misure potranno includere:
Per impatti ambientali si devono intendere gli impatti che possono generare: degrado; cambiamenti dannosi del suolo; inquinamento dell’acqua o dell’aria; emissioni nocive o consumo eccessivo di acqua; altri impatti sulle risorse naturali.
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Da quello che si comprende dalla direttiva le grandi imprese dell’UE si dovranno preparare ad elaborare e adottare dei piani di transizione che consentano di mappare le azioni per limitare le emissioni e il consumo di energie, suolo, acqua e in genere di risorse ambientali. I piani dovranno essere rivisti con periodicità annuale. La Commissione emanerà apposite linee guida per disciplinare le modalità di rendicontazione del piano climatico.
La questione rilevante è che la direttiva riguarda le grandi imprese ma essendo rivolta anche alle catene del valore avrà riflessi sui fornitori vicini e lontani. Il reperimento delle informazioni sarà un compito non facile ma essenziale anche per allontanare cattive pratiche di greenwashing e ridurre il rischio reputazionale. Le imprese in qualche modo dovranno verificare la correttezza dei rapporti delle proprie catene a valle e monte, quindi andando a vedere le pratiche e i contratti e le prassi dei propri partner commerciali sia nella fase di acquisizione dei fattori della produzione che in quella di distribuzione dei beni e servizi.
La versione finale dovrà essere pubblicata con eventuali modifiche e recepita dagli stati membri nel periodo di due anni, quindi, i primi effetti si vedranno probabilmente dal 2027. Ma per mappare le proprie catene di fornitura e di sbocco e avere una completa conoscenza e un valido e puntuale controllo dei rapporti dl lavoro e delle prassi ambientali bisognerà partire subito.
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