Con la sentenza n. 34419 depositata l'11 dicembre 2023 (udienza del 12 settembre 2023) le Sezioni Unite della Corte di Cassazione si sono pronunciate in tema di crediti inesistenti e crediti non spettanti, ponendo fine al contrasto giurisprudenziale in ordine alla vexata quaestio relativa all’esistenza o meno, nell’ordinamento tributario italiano, della distinzione tra i due tipi di crediti d’imposta.
In particolare, la qualificazione del credito indebitamente compensato produce conseguenze in tema di termini di decadenza per l’Erario, in quanto l’art. 27, comma 16, del decreto legge 29 novembre 2008 n. 185 convertito con legge 28 gennaio 2009 n. 2[1] se da un lato lascia immutati anche in subjecta materia i termini ordinari dell’azione accertatrice, dall’altro prevede per i “crediti inesistenti” utilizzati in compensazione che l’atto di recupero possa essere notificato, dall’Agenzia delle Entrate, entro il più ampio termine del 31 dicembre dell'ottavo anno successivo a quello del relativo utilizzo nel modello di pagamento unificato (F24)[2].
La problematica, oggetto della pronuncia, presenta rilevante interesse pratico, ove si consideri che, come si vedrà più avanti, l’art. 5 del decreto legge 18 ottobre 2023 n. 145, convertito con legge 15 dicembre 2023 n. 191, ha prorogato al 30 luglio 2024 il termine per la regolarizzazione degli indebiti utilizzi in compensazione del credito d’imposta per investimenti in attività di ricerca e sviluppo.
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L’art. 1, comma 421, della legge 30 dicembre 2004 n. 311[3] ha introdotto la possibilità, per l’Agenzia delle Entrate, di procedere al recupero dei crediti indebitamente utilizzati, anche in compensazione, in modello F24 mediante la notifica di apposito atto di recupero motivato. La disposizione non contiene alcuna distinzione dei crediti in questione tra non spettanti e inesistenti; tale distinzione compare invece per la prima volta, seppure senza conseguenze ai fini della determinazione della pena, in un decreto legge del 2006[4], che inserisce un’ulteriore norma penale nel decreto legislativo del 10/03/2000 n. 74 (disciplina dei reati tributari), l’articolo 10-quater (Indebita compensazione) dal seguente tenore: “La disposizione di cui all'articolo 10-bis (omesso versamento di ritenute dovute o certificate, che commina la reclusione da 6 mesi a 2 anni, n.d.r.) si applica, nei limiti ivi previsti, anche a chiunque non versa le somme dovute, utilizzando in compensazione, ai sensi dell'articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, crediti non spettanti o inesistenti."
Con il citato art. 27 del decreto legge n. 185 del 2008 il legislatore ha introdotto una differenziazione di regime giuridico tra le due fattispecie, prevedendo al comma 16 che il predetto atto di recupero dei “crediti inesistenti” possa essere notificato, dall’Agenzia delle Entrate, entro il 31 dicembre dell'ottavo anno successivo a quello del relativo utilizzo e al comma 18, sempre con riferimento ai “crediti inesistenti”, che la violazione sia punita con la sanzione dal 100 al 200% della misura dei crediti stessi.
E’ con la riforma del sistema sanzionatorio, apportata dal decreto legislativo del 24 settembre 2015 n. 158[5], che la distinzione tra crediti inesistenti e non spettanti è stata confermata e rafforzata, anche attraverso il coordinamento tra la disciplina penale e quella tributaria: il decreto, lasciando immodificati i commi 16 e 17 del menzionato art. 27, ne ha abrogato il comma 18 e ha introdotto i nuovi commi 4 e 5 dell’art. 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997 n. 417[6], avente appunto ad oggetto la disciplina delle sanzioni tributarie non penali. In particolare le nuove disposizioni hanno stabilito:
- per l’utilizzo di crediti non spettanti la sanzione pari al 30% del credito utilizzato e
- per l’utilizzo di crediti inesistenti la sanzione dal 100 al 200% dei crediti stessi. La novella ha poi finalmente precisato la definizione di credito inesistente: trattasi del “credito in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo e la cui inesistenza non sia riscontrabile mediante i controlli” automatizzati delle dichiarazioni fiscali. Analoga innovazione veniva arrecata, sempre tramite il detto decreto legislativo n. 158 del 2015, in ambito penale riformulando il testo dell’art. 10 quater di cui sopra[7] e così prevedendo:
- per l’utilizzo di crediti non spettanti superiori ad € 50.000, la reclusione da 6 mesi a 2 anni e
- per l’utilizzo di crediti inesistenti superiori alla stessa cifra, la reclusione da 1 anno e 6 mesi a 6 anni .
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La società, nei cui confronti è stata resa la pronuncia delle Sezioni Unite, aveva ricevuto un avviso di accertamento dell’Agenzia delle Entrate relativo agli anni 2006 e 2007 e avente ad oggetto il recupero di un'agevolazione, riconosciuta per l'acquisto di beni strumentali e posta indebitamente in compensazione[8].
Alla base della ripresa fiscale vi era la constatazione dell'acquisto di due macchine per la stampa in rotativa da utilizzarsi, secondo la disciplina del credito d'imposta, esclusivamente per prodotti editoriali in lingua italiana; in realtà le apparecchiature erano state adibite anche a prodotti editoriali in lingua non italiana.
La società ha proposto ricorso innanzi alla competente Commissione Tributaria Provinciale, ottenendo una sentenza sfavorevole che è stata confermata in appello. La ricorrente contestava la violazione delle disposizioni sulla decadenza della potestà accertativa, rilevando altresì l'illegittimità della sanzione irrogata.
Alla base della decisione della Commissione Tributaria Regionale veniva posto il disconoscimento dell'agevolazione, da parte del Ministero dello Sviluppo Economico, fondato sull'utilizzo delle rotative acquistate anche per la produzione editoriale in lingua non italiana. La società impugnava pertanto la pronuncia di secondo grado con ricorso per cassazione. Con particolare riferimento al disconoscimento del credito, ritenuto dai giudici tributari indebitamente compensato, la ricorrente rilevava appunto come, nel caso di specie, esso fosse da inquadrare nella categoria dei crediti non spettanti, avendo perciò errato la Commissione Tributaria Regionale nel ritenere applicabile la disciplina dell'inesistenza.
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L’ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite, emessa dalla Sezione Tributaria adita della Corte di Cassazione, nel delineare lo specifico oggetto della questione rilevava l’esistenza di un persistente contrasto interno: «in particolare, secondo un primo più risalente e maggioritario orientamento, tra le nozioni di <credito inesistente> e <credito non spettante> non vi sarebbe alcuna differenza»; secondo tale orientamento «l’art. 27, comma 16, D.L. 185/2008, conv. L. 2/2009, non intende elevare <l'inesistenza> del credito a categoria distinta dalla <non spettanza> (distinzione a ben vedere priva di fondamento logico giuridico), ma intende solo garantire un margine di tempo adeguato per le verifiche talora complesse riguardanti l'investimento generatore del credito d'imposta, margine di tempo perciò indistintamente fissato in otto anni, senza che possa trovare applicazione il termine più breve stabilito dall'art. 43 d.P.R. 600/1973 per il comune avviso di accertamento; … dunque, ogniqualvolta il credito derivante dall'operato investimento non sussiste, per ciò solo deve ritenersi inesistente nel senso precisato dalla norma». [9]
In dissenso da questa interpretazione si sono poste le sentenze nn. 34443, 34444 e 34445 del 16 novembre 2021, secondo le quali la «novella del 2015 si innesta nella riscrittura della norma già contenuta nel contestualmente abrogato art. 27, comma 18, d.l. cit. … e mira quindi a specificare il contenuto del precetto originario, così ancorando la nozione di <credito inesistente> ad una dimensione <non reale> o <non vera>, ossia priva di elementi giustificativi fenomenicamente apprezzabili, se non anche con connotazioni di fraudolenza».
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Le Sezioni Unite rilevano innanzitutto che, come sopra accennato, con la riformulazione del citato art. 13 del d.lgs. n. 471 del 1997 la novella del 2015 ha introdotto per la prima volta due esplicite definizioni positive
si tratta pertanto in primis di verificare se, e in quale misura, tali definizioni corrispondano a nozioni già esistenti e ricavabili dai principi generali dell’ordinamento tributario. In altri termini occorre capire quale sia il rapporto di tale novella con la disposizione di cui al citato art. 27 introdotto nel 2008, che ha stabilito il termine di decadenza di 8 anni per il recupero dei “crediti inesistenti”.
In via generale, ai fini della determinazione dell’inesistenza del credito, da una ricognizione della normativa emerge, come prima ipotesi, quella in cui «la fattispecie che fonda l’agevolazione o il credito d’imposta non è mai venuta ad esistenza ma, semplicemente, è stato solo realizzato un simulacro dei presupposti su cui si fonda la pretesa»; in altri termini la condotta è stata mirata «a fornire solo un’ingannevole rappresentazione dei presupposti di fatto e normativi». E’ questo il caso in cui l’attività svolta è fittizia, perché le attività richieste non sono mai state effettuate: ad esempio, con riguardo al credito d’imposta per le spese sostenute per l’attività di ricerca e sviluppo[10], se gli studi non sono mai avvenuti.
Una seconda ipotesi riscontrabile nell’ordinamento tributario è quella, invece, in cui il credito è inesistente perché, tenuto conto dei principi regolatori della specifica imposta, il contribuente ne ha usufruito in assenza di un elemento costitutivo, specificamente richiesto dalle norme che istituiscono l’agevolazione. Le Sezioni Unite individuano quali possano essere, in tema di crediti d’imposta, gli elementi idonei ad assumere tale natura costitutiva:
In buona sostanza come risposta al primo problema che ci si era posti, vale a dire - lo si ripete - se la distinzione tra credito inesistente e credito non spettante trae o meno il suo fondamento logico giuridico nel complessivo sistema tributario, si può affermare che essa ha innanzitutto un “carattere strutturale”, nel senso che in tale sistema è un principio positivamente e costantemente reperibile: l’inesistenza corrisponde ad una falsa rappresentazione documentale, mentre la non spettanza è piuttosto legata alla carenza di uno o più presupposti costitutivi richiesti dalla norma.
Secondo problema posto dalle Sezioni Unite: è ravvisabile, e in quali termini, un regime giuridico differente tra l’indebito utilizzo in compensazione di un credito inesistente ovvero non spettante e in quale misura incide sulla stessa nozione di crediti inesistenti?
Come sopra richiamato, difatti, l’introduzione nel 2006 della norma penale di cui all’art. 10 quater nel citato d.lgs. n. 74 del 2000, pur affermando positivamente la distinzione tra i due tipi di credito, «non comportava diversità di disciplina poiché entrambe le condotte restavano soggette al medesimo regime sanzionatorio penale (ossia, alla pena da 6 mesi a 2 anni)».
Come già specificato nel precedente § 2 , «è solamente con il d.l. n. 185 del 2008, art. 27 commi da 16 a 18, che l’attenzione del legislatore si concentra, limitatamente all’ambito tributario, su una differenziazione di regime giuridico»: venivano stabilite infatti la notifica dell’atto di recupero per la riscossione dei crediti inesistenti entro l’ottavo anno successivo a quello del relativo utilizzo (commi 16 e 17) e l’applicazione a tale fattispecie della sanzione dal 100 al 200% (comma 18).
La successiva riforma del sistema sanzionatorio di cui al menzionato d.lgs. n. 158 del 2015 (vedi ancora il precedente § 2) non solo innova ma, più congruamente, fornisce chiarezza, anche formale, al dato normativo rispetto ai contenuti già esistenti: abroga così il comma 18 dell’art. 27, introduce i nuovi commi 4 e 5 dell’art. 13 del d.lgs. n. 471 del 1997 e muta il testo del detto art. 10 quater, prevedendo sia in ambito tributario che in ambito penale sanzioni differenziate per i due tipi di credito.
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Orbene, dal complessivo quadro normativo su evidenziato emerge in primo luogo che, «recepita positivamente la distinzione tra crediti inesistenti e crediti non spettanti (art. 10 quater), ai fini tributari sin dall’origine (art. 27, commi 16 e ss) l’intervento del legislatore è stato mirato a fornire una disciplina specifica in caso di compensazioni con crediti inesistenti».
Inoltre in quest’ultimo caso il regime giuridico previsto dall’art. 27, commi 16-20 è apparso sin dall’inizio più severo, in quanto al comma 16 si è riferito al «controllo degli importi a credito indicati nei modelli di pagamento», vale a dire alle ipotesi in cui il credito viene creato direttamente con il modello F24, pur in assenza di riscontro documentale o di esposizione nella dichiarazione, ovvero in cui il credito , ancorché riportato nella dichiarazione, viene costituito fittiziamente in forza di attività artificiose.
In altri termini il detto regime giuridico riguarda «solo la compensazione di crediti connotati da una condizione di inesistenza qualificata dalla non verificabilità in sede di controllo formale», rilevabile cioè esclusivamente attraverso riscontri di coerenza contabile del modello di pagamento e non meramente cartolari , poiché non emergenti dalle dichiarazioni presentate (o da esse falsamente emergenti) o dal mero raffronto con i relativi modelli di pagamento.
In altri termini la novella di cui al d.lgs. n. 158 del 2015, pur in concreto volta a definire la fattispecie sanzionatoria, non rappresenta, con riguardo ai crediti inesistenti, una "soluzione di continuità" tra la vecchia (2008) e la nuova (2015) disciplina, ma è piuttosto volta a precisare i requisiti per l’applicazione del regime più rigoroso (comprendente in particolare il più lungo termine di otto anni di cui all’art. 27, comma 16), in quanto per tale applicazione debbono ricorrere, cumulativamente, le seguenti condizioni: a) il credito deve essere inesistente, ossia di esso deve mancare (in tutto o in parte) il “presupposto costitutivo”; b) tale mancanza (“l’inesistenza”) non è riscontrabile in sede di controllo ex artt. 36 bis e 36 ter d.P.R. n. 600 del 1973 e 54 bis d.P.R. n. 633 del 1972 (come tali inclusivi anche degli elementi rilevabili in sede di anagrafe tributaria). |
Va a questo punto ricordata la qualificazione di “controllo automatizzato” fornita dalla Corte Costituzionale con ordinanza del 7 aprile 1988 n. 430. I giudici della Consulta, chiamati a prendere posizione sulla legittimità costituzionale dell’art. 36 bis d.P.R. n. 600 del 1973, hanno infatti ricordato che la procedura del controllo automatizzato dei dati «é operata sulla base delle dichiarazioni presentate mediante un mero riscontro cartolare, nei casi eccezionali e tassativamente indicati dalla legge, vertenti su errori materiali e di calcolo immediatamente rilevabili (senza la necessità quindi di alcuna istruttoria), che l'Amministrazione finanziaria ha il potere- dovere di correggere anche a vantaggio del contribuente stesso». Da tale tipo di controllo esula quindi qualsiasi valutazione giuridica; ove quest’ultima si rendesse necessaria, la procedura ex art. 36 bis non sarebbe percorribile, dovendosi ricorrere in tal caso ad un vero e proprio avviso di accertamento.
Il principio di diritto enunciato dalle Sezioni unite è pertanto il seguente:
«In tema di compensazione di crediti o eccedenze d’imposta da parte del contribuente, all’azione di accertamento dell’erario si applica il più lungo termine di otto anni, di cui all’art. 27, comma 16, d.l. n. 185 del 2008, quando il credito utilizzato è inesistente, condizione che si realizza - alla luce anche dell’art. 13, comma 5, terzo periodo, d.lgs. n. 471 del 1997, come modificato dal d.lgs. n. 158 del 2015 – allorché ricorrano congiuntamente i seguenti requisiti: a) il credito, in tutto o in parte, è il risultato di una artificiosa rappresentazione ovvero è carente dei presupposti costitutivi previsti dalla legge ovvero, pur sorto, è già estinto al momento del suo utilizzo; b) l’inesistenza non è riscontrabile mediante i controlli di cui agli artt. 36-bis e 36-ter d.P.R. n. 600 del 1973 e all’art. 54-bis d.P.R. n. 633 del 1972; ove sussista il primo requisito ma l’inesistenza sia riscontrabile in sede di controllo formale o automatizzato, la compensazione indebita riguarda crediti non spettanti e si applicano i termini ordinari per l’attività di accertamento.» |
«L’uso della congiunzione «e» nel testo dell’art. 13, comma 5, d.lgs. n. 471 del 1997 rivela la necessaria contitolarità dei due requisiti - quello strutturale interno correlato ai singoli crediti e quello strutturale esterno di portata generale - per la costruzione della nozione e l’applicazione del regime più severo, che resta circoscritto alle fattispecie di maggiore gravità e offensività.»
Secondo il massimo consesso, dunque, all’assenza di uno dei due requisiti il credito non è valutabile come inesistente e deve essere ricondotto sul piano formale ai crediti esistenti: la sua indebita compensazione rileva come quella di “credito non spettante”, escluso dal più lungo termine di accertamento, nonché, sul piano sanzionatorio, disciplinato dal comma 4, non dal comma 5, dell’art. 13.
Inoltre, considerata la simultanea riforma operata dal legislatore sia al d.lgs. n. 471/1997 che al d.lgs. n. 74/2000, il criterio distintivo così formulato deve essere applicato anche in ambito penale[13].
E’ importante precisare che, secondo la suprema Corte, la condizione del mancato riscontro formale ha valore oggettivo: non assume rilievo che, materialmente, l’inesistenza del credito sia rilevata a seguito di accertamento sostanziale; quello che conta è solo che, in astratto, tramite il controllo formale non sarebbe possibile riscontrarne la mancanza, ancorché, in concreto, tale verifica non sia operata. |
Si segnala infine che la legge delega per la riforma fiscale voluta dal Governo (legge 9 agosto 2023 n. 111) all’art. 20 («Principi e criteri direttivi per la revisione del sistema sanzionatorio tributario, amministrativo e penale») così dispone:
«1. Nell'esercizio della delega di cui all'articolo 1 il Governo osserva altresì i seguenti principi e criteri direttivi specifici per la revisione del sistema sanzionatorio tributario, amministrativo e penale, con riferimento alle imposte sui redditi, all'IVA e agli altri tributi indiretti nonché' ai tributi degli enti territoriali: a) per gli aspetti comuni alle sanzioni amministrative e penali: … 5) introdurre, in conformità agli orientamenti giurisprudenziali, una più rigorosa distinzione normativa anche sanzionatoria tra le fattispecie di compensazione indebita di crediti di imposta non spettanti e inesistenti; …».
Il decreto legislativo, attuativo della legge delega, dovrebbe (o dovrà) dunque introdurre una più rigorosa distinzione normativa, anche sotto il profilo sanzionatorio, tra le due fattispecie, proprio in conformità all’orientamento giurisprudenziale della suprema Corte.
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Tra gli elementi strutturali idonei ad assumere natura costitutiva del credito, supra esaminati al § 5, assume una particolare rilevanza l’esistenza di un obbligo di facere o di non facere. L’adempimento di tale obbligo si traduce nel compimento di una attività da parte del contribuente che, più di altre, non è suscettibile di rilevazione in sede di controllo formale. La natura dell’obbligo in capo al contribuente presuppone il compimento di attività materiali, il cui accertamento è possibile solo in sede di verifica, sicché l’inesistenza del credito non è neppure rilevabile mediante le procedure automatizzate. Rientra pertanto tra i crediti inesistenti la fattispecie su cui è stata investita la suprema Corte nella causa in disamina (acquisto di beni strumentali nuovi destinati esclusivamente alla produzione di prodotti editoriali in lingua italiana – cfr. precedente § 3 con estremi di legge in nota).
Inquadrabile tra i crediti inesistenti, in caso di violazione dell’obbligo di facere, è pure il credito d’imposta scaturente dalle spese sostenute per l’attività di ricerca e sviluppo (cfr. precedente § 5 con estremi di legge in nota), ove il riscontro dell’effettivo svolgimento dell’attività da parte del contribuente necessita ovviamente di un accertamento sostanziale. In proposito val la pena sottolineare che ai sensi dell’art. 5 del decreto-legge 18 ottobre 2023, n. 145, convertito con legge 15 dicembre 2023 n. 191, è prorogato al 31 luglio 2024 il termine per l’istanza finalizzata alla procedura di riversamento spontaneo del credito di imposta in questione. Tale procedura consente la regolarizzazione dell’indebita compensazione senza l’irrogazione delle sanzioni e l’applicazione degli interessi. La facoltà del riversamento spontaneo è riservata ai soggetti che intendono rinunciare al credito maturato in uno o più periodi di imposta (a decorrere da quello successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014 e fino a quello in corso al 31 dicembre 2019) e utilizzato indebitamente in compensazione alla data di entrata in vigore del decreto legge, vale a dire al 22 ottobre 2021[14].
Il differimento del termine al 30 luglio 2024 consente alle imprese di valutare la convenienza del riversamento spontaneo del credito d’imposta per le attività di ricerca e sviluppo in attesa di acquisire nel frattempo la certificazione di qualità, che è prevista dal decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 15 settembre 2023 e che preclude gli accertamenti del fisco. L’acquisizione di tale certificazione, convalidata dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy, è ovviamente facoltativa, ma possiede un’efficacia vincolante per l’Agenzia delle Entrate quanto alla «qualificazione delle attività inerenti a progetti o sottoprogetti di ricerca e sviluppo», attività appunto richiesta per il riconoscimento del credito d’imposta. |
Il parere così rilasciato dal Ministero è di tipo qualificatorio, nel senso che la tutela è limitata alla qualificazione tecnica dei progetti e non si estende agli altri requisiti giuridici, contabili e fiscali di fruibilità dei crediti. Il citato D.P.C.M., infatti, fa salvi i poteri di controllo dell’Amministrazione finanziaria incidenti sui detti diversi profili (cfr. l’art. 4, comma 2, del decreto). E’ da segnalare che la procedura di conseguimento della certificazione di qualità ha carattere preventivo; ciò vale a dire che non è più accessibile in presenza di lite pendente, né dopo la notifica di un atto impositivo o di un processo verbale di constatazione emessi per le violazioni in argomento (cfr. l’art. 3, comma 1, del decreto).
Ancora inesistente è da ritenere il credito esposto dal sostituto d’imposta a titolo di imposte erariali rimborsate ai dipendenti a seguito di assistenza fiscale - vale a dire sulla base dei prospetti di liquidazione delle dichiarazioni dei redditi trasmessi dai CAF e dai professionisti (abilitati alla trasmissione telematica delle dichiarazioni stesse)[15] - qualora il sostituto stesso non sia in grado di dimostrare l’effettiva esecuzione dei rimborsi sulla base della documentazione contabile (schede contabili della cassa e/o della banca, estratti di conto corrente, buste paga, ecc.).
Anche le somme erogate ai dipendenti a titolo di credito per riduzione del cuneo fiscale (credito riconosciuto ai dipendenti quando l'imposta lorda sia superiore alla detrazione per reddito di lavoro dipendente)[16] devono essere idoneamente documentate tramite la contabilità; in mancanza, il credito utilizzato in compensazione è da ritenere inesistente in quanto, come nel caso precedente, la concreta effettuazione del rimborso ai dipendenti (obbligo di facere) non è suscettibile di riscontro mediante controllo automatizzato.
E’ invece da considerare non spettante il credito compensato con il codice tributo 1627 («eccedenze di versamenti di ritenute da lavoro dipendente e assimilati» [17]) se l’importo non viene indicato (o viene indicato in misura inferiore) nel mod. 770 al rigo SX1 colonna 3 [cfr. le istruzioni per la compilazione di quest’ultimo modello: «Nel rigo SX1, colonna 3, deve essere indicato l’ammontare complessivo dei versamenti in eccesso … già utilizzato mediante modello F24 (cod. trib. 1627, ecc.)»]. La liquidazione automatizzata della dichiarazione mod. 770 è infatti in grado di incrociare l’importo, indicato nel mod. F24 e riferito al detto codice tributo, con il citato rigo della dichiarazione stessa.
Analogamente riscontrabile in sede di controllo automatizzato, pertanto produttivo di un credito non spettante, è l’utilizzo in modello F24 di un credito IVA asseritamente evidenziato a riporto dalla dichiarazione relativa all’anno d’imposta precedente, ma che in realtà in quest’ultima dichiarazione non figura affatto (o figura in misura inferiore).
Si ponga infine attenzione al seguente caso pratico:
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[1] Si riporta l’art. 27 nelle parti che interessano la trattazione: “16. Salvi i più ampi termini previsti dalla legge in caso di violazione che comporta l'obbligo di denuncia ai sensi dell'articolo 331 del codice di procedura penale per il reato previsto dall'articolo 10-quater, del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, l'atto di cui all'articolo 1, comma 421, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, emesso a seguito del controllo degli importi a credito indicati nei modelli di pagamento unificato per la riscossione di crediti inesistenti utilizzati in compensazione ai sensi dell'articolo 17, del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, deve essere notificato, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre dell'ottavo anno successivo a quello del relativo utilizzo. 17. La disposizione di cui al comma 16 si applica a decorrere dalla data di presentazione del modello di pagamento unificato nel quale sono indicati crediti inesistenti utilizzati in compensazione in anni con riferimento ai quali alla data di entrata in vigore della presente legge siano ancora pendenti i termini di cui al primo comma dell'articolo 43 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e dell'articolo 57 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633. 18. L'utilizzo in compensazione di crediti inesistenti per il pagamento delle somme dovute e' punito con la sanzione dal cento al duecento per cento della misura dei crediti stessi.”
[2] Si precisa che per il recupero delle somme relative agli aiuti di Stato e agli aiuti de minimis questo termine è prorogato di un anno; per i dettagli vedasi l’art. 3, comma 6, del decreto legge 30 dicembre 2023 n. 215 non ancora convertito in legge.
[3] Si riporta il testo dell’art. 1, comma 421: “421. Ferme restando le attribuzioni e i poteri previsti dagli articoli 31 e seguenti del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e successive modificazioni, nonché' quelli previsti dagli articoli 51 e seguenti del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e successive modificazioni, per la riscossione dei crediti indebitamente utilizzati in tutto o in parte, anche in compensazione ai sensi dell'articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, e successive modificazioni, l'Agenzia delle entrate può emanare apposito atto di recupero motivato da notificare al contribuente con le modalità previste dall'articolo 60 del citato decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973. La disposizione del primo periodo non si applica alle attività di recupero delle somme di cui all'articolo 1, comma 3, del decreto-legge 20 marzo 2002, n. 36, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 maggio 2002, n. 96, e all'articolo 1,comma 2, del decreto-legge 24 dicembre 2002, n. 282, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2003, n. 27.”
[4] Trattasi dell’art. 35 del decreto legge 4 luglio 2006 n. 223 convertito con legge 4 agosto 2006 n. 248.
[5] Vedi in particolare gli artt. 9 e 15 del citato decreto legislativo.
[6] Si riporta l’art. 13: “… 4. Nel caso di utilizzo di un'eccedenza o di un credito d'imposta esistenti in misura superiore a quella spettante o in violazione delle modalità di utilizzo previste dalle leggi vigenti si applica, salva l'applicazione di disposizioni speciali, la sanzione pari al trenta per cento del credito utilizzato. 5. Nel caso di utilizzo in compensazione di crediti inesistenti per il pagamento delle somme dovute e' applicata la sanzione dal cento al duecento per cento della misura dei crediti stessi. Per le sanzioni previste nel presente comma, in nessun caso si applica la definizione agevolata prevista dagli articoli 16, comma 3, e 17, comma 2, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472. Si intende inesistente il credito in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo e la cui inesistenza non sia riscontrabile mediante controlli di cui agli articoli 36-bis e 36-ter del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e all'articolo 54-bis del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633.”
[7] Si riporta il testo aggiornato dell’art. 10 quater del decreto legislativo 10 marzo 2000 n. 74: “1. E' punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa le somme dovute, utilizzando in compensazione, ai sensi dell'articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, crediti non spettanti, per un importo annuo superiore a cinquantamila euro. 2. E' punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque non versa le somme dovute, utilizzando in compensazione, ai sensi dell'articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, crediti inesistenti per un importo annuo superiore ai cinquantamila euro.”
[8] Trattasi del credito d’imposta previsto dall’art. 8, comma 2 lett. a, della legge 7 marzo 2001 n. 62.
[9] Sentenze che hanno seguito tale orientamento: Cass. n. 10112 del 21/04/2017 e Cass. n. 19237 del 02/08/2017, seguite poi da Cass. N. 24093 del 30/10/2020, Cass. n. 354 del 13/01/2021 e Cass. n. 31859 del 05/11/2021.
[10] La Corte di Cassazione fa riferimento al credito d’imposta previsto dall’art. 1, commi 280 e ss., della legge 27 dicembre 2006 n. 296 (legge finanziaria 2007); l’agevolazione de qua attualmente in vigore è tuttavia regolamentata dall’art. 3 del decreto legge 23 dicembre 2013 n. 145 convertito con legge 21 febbraio 2014 n. 9.
[11] L’agevolazione è prevista dall’art. 33, comma 3, della legge 23 dicembre 2000 n. 388.
[12] Vedasi l’art. 34, comma 1, della citata legge n. 388 del 2000.
[13] Le Sezioni Unite citano in proposito la sentenza del 3 marzo 2022 n. 7915 della 3^ Sezione Penale della Corte.
[14] La procedura di riversamento spontaneo è stata introdotta dall’articolo 5, commi da 7 a 12, del decreto-legge 21 ottobre 2021, n. 146, convertito dalla legge 17 dicembre 2021, n. 215.
[15] La possibilità di effettuare la compensazione è prevista art. 15, comma 1 lett. a), del decreto legislativo 21 novembre 2014 n. 175.
[16] Il credito è stato istituito dall'art. 1 del decreto legge 24 aprile 2014 n. 66 convertito dalla legge 23 giugno 2014 n. 89.
[17] L’eccedenza di versamento in parola è regolata dall’art. 15, comma 1 lett. b), del menzionato d.lgs. n. 175 del 2014.
[18] Cfr. al riguardo il combinato disposto degli articoli 17, comma 1, del decreto legislativo 9 luglio 1997 n. 241 e 1, comma 574, della legge 27 dicembre 2013 n. 147 .
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