Di seguito si riepiloga la normativa sulla rifusione delle spese processuali nel contenzioso tributario anche alla luce di ciò che prevede l’ultimo schema di decreto attuativo della delega fiscale in materia di contezioso tributario.
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L’art. 15 del d.lgs. 31.12.1992, n. 546, come regola generale, recita: “la parte soccombente è condannata a rimborsare le spese del giudizio che sono liquidate con la sentenza”.
Oltre al contributo unificato, le spese di giudizio comprendono gli onorari e i diritti del difensore, le spese generali e gli esborsi sostenuti, oltre il contributo previdenziali e l’IVA, se dovuti (comma 2-ter),
Il comma 2, prima parte, precisa che la compensazione può essere decisa “soltanto in caso di soccombenza reciproca o qualora sussistano gravi ed eccezionali ragioni che devono essere espressamente motivate”.
La normativa sulla rifusione delle spese processuali è oggetto di ulteriori previsioni restrittive quali:
Nel caso di estinzione del giudizio per rinuncia al ricorso (art. 44) solo il ricorrente “deve rimborsare le spese alle altre parti salvo diverso accordo tra di loro. La liquidazione è fatta dal presidente della sezione o dalla corte di giustizia tributaria con ordinanza non impugnabile”.
Nel caso di inattività delle parti (art. 45) “le spese del processo estinto .. restano a carico delle parti che le hanno anticipate”. La stessa regola si applica anche nel caso di cessazione della materia del contendere (art. 46).
Da ultimo, nel caso di giudizio di ottemperanza, la Corte di Giustizia in composizione monocratica decide per il pagamento a favore del contribuente di somme fino a 20.000 euro e comunque per il pagamento delle spese di giudizio (art. 70, comma 10-bis).
Inoltre per effetto dell’art. 96 c.p.c.:
Le spese devono essere effettivamente sostenute dalla parte vittoriosa per lo svolgimento delle proprie difese per cui la condanna non può essere disposta a favore della parte che è rimasta contumace.
La Corte di Cassazione è intervenuta sull’argomento precisando che:
“La valutazione delle proporzioni della soccombenza reciproca e la determinazione delle quote in cui le spese processuali debbono ripartirsi o compensarsi tra le parti, ai sensi dell’art. 92, comma 2 c.p.c. rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito, che resta sottratto al sindacato di legittimità, non essendo egli tenuto a rispettare un esatta proporzionalità fra la domanda accolta e la misura delle spese poste a carico del soccombente (Cassazione, sentenza 12.1.2021, n. 289).
Art. 92 c.p.c. |
Il giudice, nel pronunciare la condanna di cui all’articolo precedente, può escludere la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice, se le ritiene eccessive o superflue; e può, indipendentemente dalla soccombenza, condannare una parte al rimborso delle spese, anche non ripetibili, che, per trasgressione al dovere di cui all’art. 88 (ndr.:dovere di lealtà e di probità), essa ha causato all’altra parte. Se vi è soccombenza reciproca ovvero nel caso di assoluta novità della questione trattata o mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti, il giudice può compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero. Se le parti si sono conciliate, le spese si intendono compensate, salvo che le parti stesse abbiano diversamente convenuto nel processo verbale di conciliazione. |
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Il d.lgs. 30.12.2023, n. 220, ha ristretto il riconoscimento della rifusione delle spese di giudizio a favore del contribuente modificando il testo del comma 2 dell’art. 15 secondo cui le spese di giudizio sono compensate (e non più “possono essere compensate … soltanto”!) in caso, non solo, “di soccombenza reciproca” o quando ricorrono gravi ed eccezionali ragioni che devono essere espressamente motivate”, ma anche “quando la parte è risultata vittoriosa sulla base di documenti decisivi che la stessa ha prodotto solo nel corso del giudizio”.
Art. 15, comma 2
Testo in vigore fino al 3.1.2024 | Testo in vigore dal 4.1.2024 |
Le spese di giudizio possono essere compensate in tutto o in parte dalla corte di giustizia soltanto in caso di soccombenza reciproca o qualora sussistano gravi ed eccezionali ragioni che devono essere espressamente motivate. | Le spese del giudizio sono compensate, in tutto o in parte, in caso di soccombenza reciproca e quando ricorrono gravi ed eccezionali ragioni che devono essere espressamente motivate ovvero quando la parte è risultata vittoriosa sulla base di documenti decisivi che la stessa ha prodotto solo nel corso del giudizio |
La finalità delle due disposizioni è duplice: da un lato anticipare i tempi del contenzioso e dall’altro scoraggiare la proposizione di ricorsi con la possibilità della negazione della rifusione delle spese di giudizio ovvero con la compensazione nel caso di soccombenza reciproca o da ultimo, se la causa è stata avviata senza produrre i documenti a supporto delle ragioni del contribuente prima dell’impugnazione dell’atto impositivo. Ma per la cartella di pagamento non è prevista l’applicazione dell’art. 6-bis della l. 27.7.2000, n. 212, per cui il contraddittorio non è stato avviato. Nè il contribuente ha potuto chiedere l’accertamento con adesione ai sensi del d.lgs. 19.6.1997, n. 218
La modifica si presta a facili critiche considerando che la distinzione che va fatta tra gli atti impositivi per i quali può ravvisarsi una delle seguenti ipotesi:
In definitiva è facile dedurre che si addebita al solo contribuente l’onere di definire la controversia prima di ricorrere al contenzioso mediante la produzione dei documenti a proprio favore. In questa maniera l’ente impositivo ha l’opportunità di conoscere preventivamente le difese con la facoltà di prescindere dal loro contenuto demandando alla sentenza il compito di decidere sul merito. Anche la semplice dimenticanza o incompletezza dei documenti che necessariamente devono esser allegati al ricorso comporta l’impossibilità di beneficiare della rifusione delle spese.
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Il nuovo art. 17-ter indica i criteri che devono essere osservati per la redazione degli atti del processo tributario, ma soltanto la mancanza della “sottoscrizione con firma digitale dei provvedimenti giudiziari del giudice tributario determina la loro nullità”.
Tuttavia, nel processo tributario trovano applicazione le regole del codice di procedura civile, tra le quali l’art. 46 delle disposizioni di attuazione che al penultimo comma dispone: “Il mancato rispetto delle specifiche tecniche e sullo schema informatico e dei criteri e limiti di redazione dell’atto non comporta invalidità, ma può essere valutato ai fini della decisione sulle spese processuali”. Le specifiche tecniche sono indicate nel d.m. 7.8.2023, n. 110, che, all’art. 1, precisa che queste vanno osservate “per le cause di valore inferiore a euro 500.000”.
Va ricordato che secondo il nuovo comma 2-nonies dell’art. 15 “nella liquidazione delle spese si tiene altresì conto del rispetto dei principi di sinteticità e chiarezza degli atti di parte”. Infine “la violazione delle disposizioni dei commi da 1 a 3, nonché delle vigenti norme tecniche del processo tributario telematico, non costituisce causa di invalidità del deposito salvo l’obbligo di regolarizzarlo nel temine perentorio stabilito dal giudice” (art. 16-bis, comma 4-bis), ma “la liquidazione delle spese del giudizio tiene in ogni caso conto della violazione ad opera dei difensori delle parti” di tale previsione (art. 17-ter, comma 3).
Soprattutto per le controversie di valore minore, che sono le più numerose, il contribuente che decide di proporre l’impugnazione dell’atto impositivo, già di per sé stesso adempimento oneroso dal punto di vista procedurale e telematico, soggiace al rischio di vincere la causa ma con la sentenza che nega la rifusione delle spese processuali poiché egli non ha non avendo consentito all’amministrazione finanziaria di conoscere, in sede precontenziosa, sia i documenti sia i motivi addotti a proprio favore.
La normativa proposta non può non considerare quanto è stato espresso dalla Corte di Cassazione secondo cui: