Con la progressiva estensione dell’obbligo di fatturazione elettronica, e con la conseguente semplificazione dal punto di vista pratico di individuare il documento costituente fattura, nell’ambito del diritto penale tributario sta assumendo sempre maggiore importanza il concetto di “altri documenti”, cioè di quei documenti diversi dalla fattura che hanno caratteristiche tali da integrare l’elemento oggettivo del reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, disciplinato dall’art. 2 del D.Lgs. 74/2000.
Esaminiamo la tematica in questo speciale.
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La norma definitoria del decreto che disciplina i reati tributari (art. 1 c. 1 lett. a) del D.Lgs. 74/2000) si limita a specificare che «Per “fatture o altri documenti per operazioni inesistenti” si intendono le fatture o gli altri documenti aventi rilievo probatorio analogo in base alle norme tributarie, emessi a fronte di operazioni non realmente effettuate in tutto o in parte …». In tal modo il legislatore ha adottato un criterio distintivo degli “altri documenti” particolarmente ampio, capace quindi di includere tra gli elementi oggettivi del reato qualsiasi documento purché lo stesso abbia, in base alle norme tributarie, “rilievo probatorio analogo” ad una fattura.
Questa definizione ha dato adito, in dottrina, a diverse critiche che, anche con riferimento a casi concreti, hanno evidenziato il rischio che una lettura troppo ampia della definizione richiamata, che includa potenzialmente qualsiasi documento avente rilevanza tributaria (come ad esempio un contratto per prestazioni occasionali) non metterebbe l’operatore in condizione di percepire con immediatezza la tipologia di documenti assimilabili alla fattura.
Una tale lettura esporrebbe la stessa norma, e le norme incriminatrici che ad essa fanno rimando, al rischio di indeterminatezza della fattispecie e quindi al rischio di illegittimità costituzionale per la violazione del principio di legalità, e in particolare dei canoni di tassatività e determinatezza delle fattispecie, che regola la materia sanzionatoria penale (e anche amministrativa).
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In alcuni arresti (Cassazione, sentenza Sez. 3, n. 9453 del 11 ottobre 2017) la giurisprudenza di legittimità ha affermato che «la nozione di “altri documenti”, contenuta nell’ art. 8 D.Lgs. 10 marzo 2000 n.74, va intesa come riferita a tutti i documenti a cui le norme tributarie attribuiscono valore probatorio di fatture destinati ad attestare fatti aventi rilevanza fiscale». In base a questo principio di diritto è stato quindi affermato che il contenuto dell’art. 21 del d.P.R. 633/1972, che definisce gli elementi minimi obbligatori della fattura al fine della documentazione delle operazioni imponibili, fornisce il paradigma normativo in base al quale interpretare la formula giuridica “altri documenti”.
L’astratta previsione degli elementi essenziali di una fattura recata dall’art. 21 consentirebbe quindi di evitare interpretazioni analogiche “in malam partem” dell’art. 1 del D.Lgs. 74/2000 permettendo di individuare, in base alla sostanziale presenza di essi, se un documento sia assimilabile, anche sul piano probatorio, alla fattura seppur da essa formalmente diverso.
Recentemente sul punto è nuovamente intervenuta la stessa sezione penale della Corte di Cassazione (sentenza n. 32088 depositata il 25 luglio 2023) che, con un’ampia motivazione, ha meglio specificato i parametri normativi di riferimento in base ai quali individuare i documenti fiscalmente rilevanti che possano essere considerati gli elementi materiali del delitto di cui all’art. 2 del D.Lgs. 74/2000.
In particolare, secondo la Corte, la disposizione dell’art. 2 richiede che gli “altri documenti”, pur essendo formalmente differenziati dalla fattura, debbano avere:
Con questa definizione quindi, secondo i giudici di legittimità, il legislatore ha voluto circoscrivere l’alveo dei documenti che possono costituire l’oggetto materiale della condotta di frode fiscale (sia con riferimento all’utilizzo che all’emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti), a quelli equiparabili alle fatture in un quanto abbiano analogo rilievo probatorio. Se così non fosse, e si operasse esclusivamente valutazione di tipo sostanziale, ogni tipo di scrittura che attestasse il sostenimento di un costo da parte di un contribuente potrebbe essere considerato penalmente rilevante ai sensi degli artt. 2 e 8 D.Lgs. n. 74/2000. Il che costituirebbe una interpretazione inammissibile «che renderebbe l’articolo 1, lettera a), D.Lgs. n. 74 del 2000 costituzionalmente illegittimo per violazione del principio di legalità, sub specie di tassatività e determinatezza».
Per tale ragione la Suprema Corte ha escluso che tra gli altri “documenti” assimilabili alle fatture possa essere fatto rientrare ogni documento utile ad attribuire certezza ai componenti negativi del reddito, in base alla previsione dall’art. 109 Tuir, in quanto quel requisito può essere soddisfatto non soltanto dalle fatture, ma da qualunque documento astrattamente idoneo a dare evidenza ad un costo o altro onere sostenuto, «Ne consegue che il fatto che un documento che attesti con certezza un costo, e cioè un componente negativo del reddito, non vale, di per sé, ad attribuire a tale documento un rilievo probatorio analogo alla fattura in base alle norme tributarie».
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La Corte ha quindi affermato che i “documenti innominati”, diversi dalle fatture, per essere penalmente rilevanti ai fini della configurabilità dei delitti ex artt. 2 e 8 d.lgs. n. 74 del 2000, devono essere tali da poter sostituire, integrare, od ampliare la funzione della fattura, ma pur sempre nel rispetto delle norme tributarie di riferimento.
In definitiva, secondo la Cassazione «l’art. 1, lettera a), d.lgs. n. 74 del 2000 richiede che una norma tributaria (primaria o secondaria) attribuisca al documento innominato lo stesso valore probatorio della fattura, con la conseguenza che, in assenza di un tale criterio di collegamento, necessario per porre la norma penale incriminatrice al riparo da rilievi di costituzionalità per violazione dei principi di determinatezza e di tassatività, non appare giuridicamente praticabile il ricorso a un criterio di equiparazione (degli “altri documenti” alla fattura) che, eludendo il criterio di collegamento normativo, faccia leva sul criterio esclusivamente funzionale, inteso come canone di natura sostanziale, svincolato perciò dalla sua necessaria riconducibilità in una “norma tributaria” che equipari, ai fini probatori, il documento innominato alla fattura».
Nella stessa pronuncia la Suprema Corte ha inoltre precisato che nel novero degli “altri documenti” previsti dalla norma definitoria vanno ricompresi non solo quelli a cui la legge, o un atto avente forza di legge, attribuisce rilevanza probatoria analoga alla fattura, ma anche quelli che siano indicati da una normativa fiscale di carattere secondario «tanto in considerazione dell’ampiezza del rinvio contenuto nella disposizione laddove essa si riferisce, genericamente, a norme tributarie e dovendosi ritenere, anche sulla base della giurisprudenza costituzionale, che la precisa determinazione del contenuto di singoli «elementi normativi» della fattispecie penalmente rilevante possa essere operata anche da fonti extra legislative senza che ciò comporti violazione del principio di riserva assoluta di legge».
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Una elencazione degli “altri documenti” rilevanti per gli artt. 2 e 8 del D.Lgs. 74/2000 è stata elaborata dalla prassi ed integrata e modificata dalla stessa giurisprudenza di Cassazione.
Con la circolare del 04/08/2000 n. 154 il Ministero delle Finanze - Dip. Entrate Aff. Giuridici Uff. del Dir. Centrale, partendo dall’assunto che rilevino nella nozione di altri documenti quelli comunque detenuti a fine di prova nei confronti dell’amministrazione finanziaria ha ritenuto che tra gli “altri documenti” possano annoverarsi:
La giurisprudenza della Cassazione (Cassazione, Sez. V, Sentenza 18/05/2018, n. 40477), pur limitando l’interpretazione ministeriale, ha espresso un orientamento comunque ampio nella definizione di “altri documenti”.
Secondo la Suprema Corte tra gli “altri documenti” possono allora assumere rilievo probatorio le note, i conti e le parcelle, la parte figlia del bollettario, le bollette doganali, gli scontrini e le ricevute fiscali emesse in sostituzione delle fatture, il documento attestante le vendite dei mezzi tecnici, i titoli di accesso emessi mediante apparecchi misuratori fiscali ovvero mediante biglietterie automatizzate dalle imprese che forniscono le manifestazioni e gli spettacoli, i documenti di trasporto, le bolle di accompagnamento e le schede carburante.
In conclusione è opportuno precisare che l’esclusione di alcuni documenti dall’ambito di quelli rilevanti come elementi oggettivi dei reati di cui previsti dagli artt. 2 e 8 del D.Lgs. 74/2000, non esclude la rilevanza penale di documenti falsi, diversi dalla fattura o da quelli ad essa equiparati, di cui ci si avvalga per evadere le imposte.
Ricorda infatti la Cassazione, in chiusura delle considerazioni di diritto della sentenza 32088/2023, che proprio con riferimento alla distinzione tra fatture o documenti equipollenti alle fatture, da un lato, e altri documenti che non sono assimilabili ad essa, dall’altro, è possibile uno degli elementi di discrimine tra le due fattispecie di dichiarazione fraudolenta di cui agli artt. 2 e 3 del D.Lgs. n. 74/000, a maggior ragione dopo l’inserimento, ad opera del D.Lgs. n. 158 del 2015, del riferimento all’utilizzo di “documenti falsi” negli elementi costitutivi della dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici.
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