3 Ottobre 2023, data che rimarrà impressa nella mente di molti operatori del settore così come di tanti contribuenti (come ricordo non molto piacevole).
In tale data infatti, con provvedimento 352652/2023, l’Agenzia Entrate annunciava l’invio di lettere di “compliance” tramite le quali la stessa dava contezza, ai malcapitati contribuenti destinatari di tali comunicazioni, di alcune anomalie riscontrate in fase di controllo automatizzato fra corrispettivi/fatture emesse e il flusso delle transazioni elettroniche pervenute dai vari circuiti utilizzati per tali operazioni economiche.
Tutto bene (anzi da una parte auspicabile pensando a quanti hanno richiesto una maggiore oggettività e celerità, e aggiungo certezza, nelle fasi di acquisizione dei dati da porre alla base di futuri accertamenti da parte dell’amministrazione finanziaria) se non fosse che, da un primo riscontro, tali dati paiono essere abnormi e del tutto non corrispondenti alla realtà.
In particolare, come ho potuto direttamente analizzare verificando la situazione di alcuni Clienti di Studio ai quali sono state recapitate le comunicazioni che qui ci occupano, pare che tali anomalie siano riconducibili ad errori direttamente imputabili ai gestori dei circuiti di moneta elettronica.
Alcuni importi, infatti, risultano essere “magicamente” raddoppiati al centesimo e nello stesso giorno, cosa che, salvo scomodare la legge dei grandi numeri, è a dir poco assurda, considerando la ripetizione di tali anomalie in modo sistematico e ripetitivo.
Sul punto con un comunicato stampa dell’11.10.2023 l’Agenzia Entrate è uscita con l’ennesima comunicazione, cercando di calmare gli animi, confermando che, a quanto pare, alcuni dati comunicati alla stessa dagli operatori finanziari sarebbero errati.
Prescindendo da tale precisazione (che in ogni caso getta molte ombre su quanto sia ancora in fase embrionale l’utilizzo a pieno regime della c.d. Intelligenza Artificiale a scopo accertativo e di compliance), si ritiene utile fornire uno schema di sintesi circa le ipotesi difensive da mettere in campo laddove i dati indicati nelle missive fossero confermati da parte dell’amministrazione finanziaria.
Una prima soluzione, considerando che un comportamento passivo del contribuente porterebbe inevitabilmente a trasformare la lettera di compliance in un avviso di controllo formale ai sensi del DPR 600/73, è quella di entrare nel merito di tali anomalie.
E qui si apre un mondo di possibilità: partendo dall’ipotesi più ovvia, e cioè che la missiva del Fisco sia fondata, il contribuente, che ha effettivamente omesso di emettere corrispettivi/fatture per l’importo contestato, provveda a regolarizzare la propria posizione tramite l’istituto del ravvedimento operoso (D.Lgs. nr. 471/1997) che è ampiamente ammesso anche laddove il contribuente sia stata raggiunto da una lettera di compliance e non da un processo verbale di constatazione (anche se, per completezza, si ricorda che il c.d. “Decreto Energia” DL 131/2023, ha previsto, in modo del tutto straordinario e temporaneo, l’utilizzo del ravvedimento per quelle sanzioni già contestate entro il 31 Ottobre 2023 con pagamento obbligatorio da effettuarsi entro la data inderogabile del 15.12.2023).
Di seguito, ulteriori dettagli.
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Nell'ipotesi in cui la missiva del Fisco sia fondata, il contribuente provvede a regolarizzare la propria posizione tramite l'uso del ravvedimento operoso.
In questo caso, le sanzioni sono quelle ben note contenute nell’art. 6 della medesima disposizione normativa sopra richiamata e, quindi, il 90% dell’imposta afferente i corrispettivi omessi.
Va ricordato che, ad ogni buon conto, la sanzione prevede l'applicazione di un minimo di 500 euro per singola operazione anche laddove l’imposta sia di valore irrisorio (ad esempio: 5 scontrini relativi ad altrettanti caffè da 1 euro = 0,10 (10% iva su 1 euro) comporteranno comunque il dover ravvedere 500€ per singolo scontrino non emesso (quindi tornando all’esempio: 2500 euro totali).
Qualora l’importo sia maggiore di 500, tale valore numerico sarà quello da prendere in considerazione per il calcolo dell’importo da ravvedere
Su tale importo andrà quindi successivamente operato il ravvedimento pari
Se il ravvedimento chiude la partita riguardante le sanzioni relative agli obblighi formali di certificazione dei corrispettivi, stessa cosa non può dirsi per tutte le altre disposizioni fiscali collegate.
Ci si dovrà pertanto ricordare di provvedere a sanare la parte Iva nonché reddituale ove ancora possibile.
Inoltre, laddove l’ammontare dei corrispettivi contestati superi l’importo di euro 50.000, sarà applicata (entro qualche mese generalmente) anche la sanzione accessoria della sospensione dell’attività da tre giorni ad un massimo di un mese.
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Veniamo ora ad analizzare, invece, le conseguenze a livello di contenzioso laddove il contribuente non si ravveda e, dall’altra parte, l’Ufficio ritenga le sue giustificazioni come non meritevoli di accoglimento ed insista nelle sue pretese.
Sul punto, occorre ricordare che l’accertamento da POS/Carte di Credito, secondo la giurisprudenza sia di merito che di legittimità, determina una presunzione legale a favore del Fisco.
In particolare la Corte di Cassazione, con la sentenza 13494 del 1° luglio 2015, ha statuito che " la discordanza, non specificamente contestata, tra le somme riscosse dalla contribuente tramite carta di credito e p.o.s. ed i ricavi risultanti dalle scritture contabili dichiarati dalla società integra senz’altro una presunzione legale di maggiori ricavi, corrispondenti alle rimesse attive della carta di credito e del bancomat, conformemente a quanto già affermato in materia di accrediti su conto correnti bancari (Cass. 17953/2013), salvo l’onere, a carico del contribuente, di provare specificamente una diversa destinazione di detti accrediti (Cass. 14045/2014, in tema di conto correnti bancari).
Sgomberiamo subito il campo circa la natura di tale attività accertativa: non si tratta, come taluno potrebbe pensare, di indagini finanziarie (approfondisci con Indagini finanziarie - eBook 2023) ma di una tipologia di accertamento c.d. “analitico-induttivo” di cui al comma 2 dell’art. 39 del DPR 600/1973, cioè un accertamento fondato sul controllo delle scritture contabili e sulle risultanze di accessi, ispezioni e verifiche (o altre attività ispettive) che fonda l’esistenza di attività non dichiarate o l’inesistenza di passività dichiarate desumibile sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti.
Vedasi in tal senso la recente ordinanza della Cassazione n. 15586 del 22 luglio 2020 secondo la quale “Il dato oggettivo di pagamenti tramite POS e carte di credito in numero superiore agli scontrini emessi è stato inquadrato e valutato come fatto noto determinante per il sorgere della presunzione di maggiori ricavi, che ha fatto nascere in capo alla contribuente l'onere di provare, con idonea documentazione, l'assenza di qualsiasi discordanza e di giustificare con documenti fiscali tutti gli incassi rilevati dall'Ufficio; onere che la contribuente ha cercato di adempiere solo sminuendolo nella sua portata, ipotizzando l'emissione di scontrini in tempi diversi rispetto al pagamento effettuato in sede di vendita del capo di abbigliamento, ma senza fornire alcuna prova documentale e giustificativa di tali pagamenti, o anche dimostrando l'avvenuta registrazione e contabilizzazione dei ricavi provenienti dai pagamento con moneta elettronica (Cfr. Cass. n. 21078/2018, n. 20109/2018)”
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Chiarito quanto sopra, l’unico modo per poter smontare le presunzioni del Fisco è legato ad una strategia difensiva che si basi proprio sulla peculiarità del pagamento elettronico.
È noto, infatti, che le voci di accredito POS/carte di credito, riportate negli estratti conto, sono in realtà spesso degli aggregati di plurimi e diversificati movimenti finanziari, molte volte, fra l'altro, accreditati anche successivamente al pagamento.
In sostanza, come è solito nella pratica degli operatori finanziari/bancari, la voce riportata in accredito nell’estratto conto ha la funzione di “scaricare”, in blocco, tutta la serie di operazioni effettuate, per il tramite di un dato circuito (VISA, Mastercard, Maestro, etc.), in un dato periodo; nel senso che, necessariamente, “alle spalle” di tale voce massiva, sussistono una serie di operazioni che, nel loro complesso, tramite somma, producono il “numero” finale, appunto evidenziato nell’estratto conto.
Capita anche che, nella prassi, vi sia una reale discrasia tra importo transato e documento emesso (vedasi ad esempio il caso, non poco frequente, dei pranzi di lavoro dove un singolo paga l’intero importo della tavolata ma vengono emessi singoli documenti di vendita)
Chi ha spesso “litigato” con i Pos sa anche che possono verificarsi casi di doppio pagamento (anche se la transazione, ad una prima lettura, risulterebbe rifiutata).
Sarà quindi determinante l’appoggio della Banca, anche tramite apposite dichiarazioni, che vada a giustificare e evidenziare tali peculiarità oltre ad una minuziosa ricostruzione delle voci presenti sul conto corrente di appoggio (una sorta di contabilità ordinaria anche per chi, a tali formalità fiscali, non è minimamente obbligato).
Non solo ma sarebbe anche buona norma di comportamento quella di pretendere, anche se il cliente non è d’accordo, l’emissione di ogni singolo documento di vendita ad ogni singola transazione elettronica (vedasi caso della ristorazione sopra indicata), oltre a conservare minuziosamente ogni ricevuta cartacea stampata dal dispositivo elettronico.
Quanto sopra auspicando che, viste le difficoltà riconosciute dalla stessa amministrazione finanziaria, ci si renda conto che un sistema così pensato (cioè totalmente automatizzato) risulta essere ad oggi alquanto fragile dato che basta che si intoppi un singolo ingranaggio (come avvenuto in questi giorni con le lettere di compliance) che, a cascata, l’intero sistema risulti viziato con conseguenze non poco piacevoli in termini di inefficienza (e costo) dell’attività amministrativa e di perdita di tempo per il contribuente e i professionisti ad esso collegati.
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