La normativa europea fornisce una specifica definizione di lavoratore frontaliere applicabile ai fini della legislazione sulla sicurezza sociale (Regolamento 883/2004), inquadrandolo come quel lavoratore, sia dipendente che autonomo, che svolge la propria attività in uno Stato membro diverso da quello in cui risiede, e che ritorna nello Stato di residenza, in linea di massima, quotidianamente o almeno una volta alla settimana. Tale inquadramento, peraltro, non risulta essere assolutamente identico a quanto stabilito a livello tributario, dove la disciplina del lavoratore frontaliere è da ricercare nelle legislazioni nazionali e nelle singole Convenzioni contro le doppie imposizioni e/o accordi stipulati tra gli Stati di volta in volta interessati.
In ottica nazionale, l’articolo 1, comma 175, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, stabilisce che i frontalieri usufruiscono di una franchigia da imposizione dall’IRPEF di 7.500 euro, relativamente al reddito derivante dal lavoro dipendente prestato all’estero. A tal riguardo, l’Agenzia (nella sua ultima circolare 25/E-2023), chiarisce che la predetta franchigia è aumentata per tutti i lavoratori frontalieri italiani a 10.000 euro a decorrere dal 1° gennaio 2024, a seguito di quanto stabilito nell’art. 4, legge 83/2023. In effetti, la disposizione in parola [Franchigia applicabile ai lavoratori frontalieri italiani] prevede che:
“A decorrere dal periodo d'imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore dell'Accordo di cui all'articolo 1, comma 1, lettera a), della presente legge, il limite di reddito indicato nell'articolo 1, comma 175, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, è fissato in 10.000 euro”.
Pertanto, l’interpretazione offerta dall’Agenzia pare assolutamente coerente con la legge. Resta, peraltro, da considerare l’ennesimo incomprensibile metodo sistemico usato dal legislatore, il quale va a modificare una norma di carattere generale tramite una disposizione inserita all’interno di una legge speciale che concerne esclusivamente i frontalieri italiani che si recano in Svizzera.
Tornando alla previsione generale, il regime è applicabile esclusivamente ai lavoratori dipendenti che:
Con specifico riferimento ai lavoratori residenti in Italia che lavorano nello Stato della Città del Vaticano, si ricorda che la franchigia – fermo restando i requisiti di cui sopra – trova applicazione solo per coloro le cui retribuzioni non sono esenti dall’IRPEF ai sensi dell’articolo 3, DPR 601/1973, in quanto corrisposte da soggetti diversi dalla Santa Sede, dagli altri enti centrali della Chiesa cattolica e dagli enti gestiti direttamente dalla Santa Sede.
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Volgendo l’analisi a livello convenzionale, la disciplina tributaria del lavoratore frontaliero è contenuta in alcune Convenzioni contro le doppie imposizioni e accordi stipulati dall’Italia con gli Stati confinanti. Nel dettaglio, discipline specifiche sono previste nei seguenti Trattati e Accordi:
La normativa internazionale contenuta nelle suddette Convenzioni è in linea con la facoltà riconosciuta al paragrafo 10 del Commentario OCSE con riferimento all’articolo 15 del Modello di Convenzione. Pertanto, una volta attribuita la potestà impositiva allo Stato italiano in ossequio alla specifica convenzione, l’applicazione della normativa interna (inclusa la sopra menzionata franchigia) resta condizionata alla sussistenza dei requisiti previsti da quest’ultima.
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Il paragrafo 4 dell’articolo 15, stabilisce che:
“Allorché una persona fisica residente di uno Stato contraente nei pressi della frontiera svolge un’attività dipendente nell’altro Stato contraente, sempre nei pressi della frontiera, e attraversa abitualmente la frontiera stessa per recarsi al lavoro, essa è imponibile per il reddito che ritrae da tale attività soltanto nello Stato di cui è residente.”
La Convenzione, dunque, stabilisce la tassazione esclusiva nel nostro Paese per i residenti italiani e inquadra come lavoratore frontaliere la persona fisica che possiede i seguenti requisiti:
Relativamente all’espressione “pressi della frontiera”, non essendoci ulteriore specificazione nel trattato, occorre rifarsi alle ordinarie disposizioni domestiche che, in via esemplificativa, per le zone di confine concernenti il lavoro transfrontaliero individuano 29 Comuni confinanti con l’Austria.
Con riferimento, poi, al termine “abitualmente”, non essendovi un’espressa definizione all’interno della Convenzione, occorre avere riguardo a quanto previsto dall’articolo 3, paragrafo 2, del medesimo Trattato:
“Per l’applicazione della Convenzione da parte di uno Stato contraente, le espressioni non diversamente definite hanno il significato che a esse è attribuito dalla legislazione di detto Stato contraente relativa alle imposte oggetto della Convenzione, a meno che il contesto non richieda una diversa interpretazione.”
Pertanto, “abitualmente” assume per i frontalieri italiani lo stesso significato di “quotidianamente”.
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L’articolo 15, paragrafo 4, prevede che:
“Nonostante le disposizioni precedenti del presente articolo, i redditi derivanti dal lavoro dipendente di persone abitanti nella zona di frontiera di uno degli Stati, e che lavorano nella zona di frontiera dell’altro Stato, sono imponibili soltanto nello Stato del quale dette persone sono residenti”.
Il paragrafo 9 del Protocollo alla Convenzione specifica, inoltre, che:
“Per quanto concerne il paragrafo 4 dell’articolo 15, per zone frontaliere si intendono, per l’Italia, le Regioni, e per la Francia, i Dipartimenti, confinanti con la frontiera”.
Ferma, dunque, anche in questo caso, la tassazione esclusiva nel Paese di residenza, il frontaliere viene definito come colui che:
È inoltre necessario che il lavoratore frontaliere si rechi in linea di principio quotidianamente all’estero a svolgere la propria prestazione lavorativa. Tale precisazione si desume dall’unica fonte normativa cui attingere al riguardo: ossia, l’accordo interpretativo stipulato tra le competenti autorità italiane e francesi per regolamentare il trattamento dei frontalieri nel contesto dell’emergenza pandemica da Covid-19 (accordo firmato il 16/23 luglio 2020).
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La Convenzione regolamenta il trattamento dei soli lavoratori frontalieri residenti in Italia al paragrafo 6 del Protocollo aggiuntivo al Trattato:
“In relazione alle disposizioni dell’Articolo 15, per quanto concerne la tassazione di lavoro dipendente dei lavoratori frontalieri residenti in Italia, i due Stati contraenti convengono di applicare il sistema di tassazione concorrente, con tassazione definitiva nello Stato di residenza. La Repubblica italiana assoggetterà a tassazione il reddito lordo dei lavoratori frontalieri residenti in Italia conseguito nella Repubblica di San Marino con le modalità che saranno stabilite con legge ordinaria. La legge ordinaria potrà determinare una quota del reddito lordo dei lavoratori frontalieri esente da imposta in Italia”.
Dunque, differentemente dalle precedenti convenzioni, qui abbiamo una tassazione concorrente, cui può applicarsi il metodo del credito d’imposta per quanto versato nell’altro Paese contraente.
Nulla viene precisato relativamente alla definizione di lavoratore frontaliere. Pertanto, non può che applicarsi in proposito la definizione dettata dalla nostra normativa nazionale: lavoratori dipendenti residenti in Italia che, quotidianamente, si recano all’estero per svolgere la loro attività lavorativa e fanno – parimenti quotidianamente – ritorno in Patria.
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Per quanto riguarda in particolare la Svizzera (Stato dove si reca a lavorare il maggior numero di frontalieri italiani), le disposizioni sono contenute nella Convenzione ratificata con Legge del 23 dicembre 1978, n. 943 (articolo 15 – paragrafo 4), che rimanda all’Accordo tra i due Stati, recentemente oggetto di aggiornamento e nuova ratifica.
Si rimanda alla seconda parte di questo speciale.
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