Tra i vari aspetti della più ampia tematica dei rimborsi d’imposta trattati dalla Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 23666 del 3 agosto 2023, vi è quello relativo all’idoneità di un’istanza di rimborso priva di allegati.
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Il Supremo Collegio, con riferimento alla fattispecie dell’istanza di rimborso delle imposte versate a mezzo di ritenuta, indipendentemente se presentata dal sostituto d’imposta o dal sostituito, evidenzia che la validità della stessa non può essere inficiata dalla mancata allegazione dei documenti utili a provare la sussistenza e/o l’entità del diritto al rimborso, né tale carenza può di per sé provocare il diniego del rimborso. Semmai, in tali casi, l’Ufficio dovrebbe avviare un contraddittorio con il contribuente consentendogli di produrre la documentazione mancante. Più nello specifico, nella predetta pronuncia si legge «che la mancanza di documentazione in allegato alla domanda di rimborso, e quindi, in sostanza, la carenza di prova per determinare l’an ed il quantum del rimborso, non sono considerati dal legislatore direttamente motivo di rigetto o di inammissibilità dell'istanza, dando vita piuttosto ad un confronto con l’ufficio ed alla possibilità di integrazione dei documenti rilevanti».
Da tale condivisibile principio si deve trarre la conclusione che un’istanza di rimborso priva dell’allegazione dei documenti probatori dell’an e del quantum del rimborso è idonea a far maturare, ai sensi dell’art. 21, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992, il silenzio-rifiuto impugnabile dinanzi al giudice tributario e che in sede processuale non può essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso per mancata allegazione dei suddetti documenti.
Del resto, se è vero che «la prova dei fatti posti a sostegno della pretesa tributaria non è richiesta come elemento costitutivo dell’avviso di accertamento e la sua mancanza non può incidere sulla validità dell’avviso stesso, in quanto la prova medesima deve essere fornita solo in un momento successivo, in sede processuale» (Cass. civ. n. 23361/2022) e che la «prova attiene al diverso piano del fondamento sostanziale della pretesa tributaria ed al suo accertamento in giudizio» (Cass. civ. nn. 6325/2023, 23361/2022 e 29878/2020), allo stesso modo la prova dei fatti posti a base della richiesta di rimborso non può essere elemento costitutivo dell’istanza presentata dal contribuente e, quindi, della validità della medesima ai fini dell’ammissibilità della successiva azione giurisdizionale, con la conseguenza che i documenti probatori dell’an e del quantum del rimborso potranno essere direttamente depositati in giudizio (salvo sempre che non fossero già in possesso dell’Ente impositore, altro tema trattato dall’ordinanza in commento).
Tuttavia, è sempre necessario che il contribuente metta in condizione l’Autorità fiscale interessata di valutare l’apparente fondatezza della richiesta di rimborso sulla base del solo contenuto dell’istanza, specificando quanto meno le date, gli importi dei versamenti di cui si richiede il rimborso, le ragioni giuridiche e gli elementi di fatto che legittimano l’azione, per non rischiare l’eccezione o il rilievo d’ufficio dell’inammissibilità del successivo ricorso sul presupposto che l’istanza in precedenza presentata si contraddistingueva per un contenuto del tutto generico e, pertanto, non risultava idonea a fa maturare il silenzio-rifiuto impugnato.
Sul punto, infatti, non può essere ignorato che un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità ritiene che «Le domande di rimborso, prive delle indicazioni inerenti gli estremi di versamento e gli importi relativi all’ammontare delle ritenute Irpef, nonché della indicazione degli importi chiesti in restituzione, non possono considerarsi giuridicamente valide e non sono, dunque, idonee alla formazione del silenzio-rifiuto impugnabile, in quanto non consentono di valutare la fondatezza o meno della richiesta» (tra le più recenti: Cass. civ. nn. 11409/2023, 10527/2023 e 29489/2022), con l’ulteriore precisazione che la genericità originaria dell’istanza di rimborso non può essere sanata in sede processuale, mediante il deposito di documenti non prodotti in sede amministrativa («nè tale vizio è sanabile con il successivo deposito di documenti, atti a colmare le lacune predette, deposito che è comunque tardivo, in quanto intervenuto nel corso di un procedimento che non avrebbe dovuto neppure essere iniziato»).