Le misure di sicurezza nei confronti della persona fisica, operanti nell’ambito del procedimento penal-tributario, sono specificatamente:
L'articolo è un estratto dall'e-book: Responsabilità amministrativa enti e whistleblowing |
L'articolo continua dopo la pubblicità
Per approfondire si consiglia la lettura completa degli e-Book:
La confisca diretta, forma speciale della misura di sicurezza di cui all’art. 240 c.p., ha per oggetto il prezzo o il profitto del reato, e presuppone ineludibilmente la loro individuazione.
Il prezzo, in particolare, consiste “nel compenso dato o promesso ad una determinata persona, come corrispettivo dell’esecuzione dell’illecito”.
In relazione ai reati tributari, il prezzo può essere individuato in ipotesi limitate come, ad esempio, l’emissione di fatture per operazioni inesistenti; al contrario, risulta più significativo il concetto di profitto del reato, definito dalla giurisprudenza quale “vantaggio economico ricavato in via immediata e diretta dal reato”, ossia un quid di diretta derivazione causale dalla condotta dell’agente (c.d. vincolo di pertinenzialità al reato), ma anche come “un beneficio aggiuntivo di tipo patrimoniale”.
In tale contesto, un primo orientamento riteneva di dover escludere la possibilità di individuare un profitto confiscabile in relazione ai reati tributari, argomentando come dall’evasione d’imposta non venisse generata una nuova ricchezza (“vantaggio economico aggiuntivo”) immediatamente individuabile come diretta derivazione della condotta criminosa.
Tale tesi fu in parte superata, allorquando nella nozione di profitto fu ricompreso anche il “risparmio di spesa”: in particolare, le Sezioni Unite della Cassazione hanno affermato che “in tema di reati tributari (…) il profitto (…) è costituito da qualsivoglia vantaggio patrimoniale direttamente conseguito alla consumazione del reato e può, dunque, consistere anche in un risparmio di spesa, come quello derivante dal mancato pagamento del tributo”.
Allo stato del diritto vivente, su cui hanno avuto un ruolo determinante anche la più volte richiamata sentenza Gubert e le altre pronunce che si sono collocate nello stesso filone giurisprudenziale, è pacifico che il profitto dei reati tributari possa essere individuato nel risparmio di spesa conseguito tramite la commissione del delitto, ed è suscettibile di confisca diretta in quanto rappresentato da denaro fungibile.
In passato, in sede di quantificazione del risparmio di spesa in passato, ci si è interrogati sulla possibilità di considerare la sola imposta evasa o anche interessi e sanzioni, concludendo, da ultimo che è confiscabile in via diretta la sola imposta evasa, con l’unica eccezione della sottrazione fraudolenta il cui profitto risulterà comprensivo di interessi e sanzioni.
Unico limite all’applicazione della confisca diretta è che il bene che costituisce prezzo o profitto del reato “appartenga a persona estranea al reato”.
Carattere peculiare della confisca diretta è, infine, quella di poter (anzi dover) essere disposta anche con la sentenza che dichiara l’estinzione del reato per prescrizione, purché “vi sia stata una precedente pronuncia di condanna, rispetto alla quale il giudizio di merito permanga inalterato quanto alla sussistenza del reato, alla responsabilità dell’imputato ed alla qualificazione del bene da confiscare come profitto o prezzo del reato”.
L’art. 236 c.p. infatti, nell’estendere alle misure di sicurezza patrimoniali le regole dettate per le misure personali, esclude l’applicazione, nei riguardi della confisca, della regola per cui “l’estinzione del reato impedisce l’applicazione delle misure di sicurezza” (art. 210 comma 1 c.p.). In questo senso si è consolidata la giurisprudenza dopo la pronuncia delle Sezioni Unite del 2015 (c.d. sentenza Lucci).
Ti consigliamo per approfondire la lettura del testo completo: Responsabilità amministrativa enti e whistleblowing ebook 2023 di 250 pagine |
Quando non è possibile acquisire direttamente il prezzo o il profitto del reato attraverso la confisca penale di tipo “ordinario”, si può ricorrere alla confisca “per equivalente” (detta anche “di valore”), apprendendo beni di cui il reo ha la disponibilità per un valore ad essi corrispondente.
La confisca di valore rappresenta, dunque, una particolare misura di carattere ablativo che il legislatore ha previsto per il caso in cui, a seguito di una condanna penale, non sia possibile eseguire la confisca in forma specifica, ossia dei beni che abbiano un “rapporto di pertinenzialità” con il reato, ma vi sia la disponibilità di beni da parte del colpevole.
In questo modo, mentre la confisca diretta assolve a una funzione essenzialmente preventiva, perché, come già accennato, reagisce alla pericolosità indotta nel reo dalla disponibilità di beni che, derivando dal reato, ne costituiscono il prodotto, il prezzo o il profitto (nei reati tributari rilevano soltanto le ultime due tipologie di vantaggio illecito), la confisca per equivalente colpisce beni di altra natura, che non hanno alcun nesso pertinenziale con il reato.
Da qui emerge la sua connotazione prevalentemente afflittiva e la sua natura obbligatoria e eminentemente sanzionatoria.
Al riguardo, l’art. 12 bis del D. Lgs. 74/2000 prevede due distinte ipotesi di confisca obbligatoria, tra loro concorrenti e accomunate dalla medesima finalità di sanzionare il reo e ristorare l’erario della perdita di gettito subita: una, riferita ai beni che costituiscono il profitto del reato, l’altra riguardante i beni di valore equivalente.
Attraverso questo strumento, l’Autorità Giudiziaria può confiscare anche le disponibilità soltanto possedute dal reo, ancorché non collegate direttamente al reato, purché si tratti di denaro o di beni di valore corrispondente a quello del prezzo o del profitto della condotta illecita.
I presupposti, quindi, per l’applicazione dell’istituto in esame sono:
Nell’ipotesi di concorso di persone nell’illecito penale, infine, la confisca per equivalente è stata ritenuta applicabile nei confronti di uno qualsiasi tra i concorrenti per l’intero importo del prezzo o del profitto, ancorché lo stesso non sia affatto transitato, o sia transitato in minima parte, nel suo patrimonio e sia stato, invece, materialmente appreso.
È di particolare rilievo la disposizione di cui al comma 2 dell’art. 12-bis del D. Lgs. n. 74/2000, in base al quale “la confisca non opera per la parte che il contribuente si impegna a versare all’erario anche in presenza di sequestro. Nel caso di mancato versamento la confisca è sempre disposta”.
Tale norma introduce, in particolare, il principio di alternatività tra misura ablatoria e recupero del tributo, in cui tuttavia ad avere priorità è l’estinzione del tributo secondo le modalità proprie del procedimento tributario, così da collocare la confisca in una posizione sussidiaria e post-riparatoria.
Difatti, il pagamento del debito tributario, totale o parziale, deve azzerare o ridurre il profitto del reato, con conseguente esclusione o diminuzione della misura della confisca, onde evitare che possa concretizzarsi una “duplicazione esattiva” derivante dalla congiunta applicazione delle procedure riscossive proprie della disciplina tributaria e della misura ablatoria, con conseguenze lesione del principio di proporzionalità.
Ebbene, per quanto, sotto il profilo sistematico, la norma risulti nel complesso chiara, è sul piano pratico che si pongono alcuni importanti interrogativi: il primo riguarda il significato dell’”impegno a versare”; il secondo attiene alle modalità di applicazione della norma.
In ordine al primo aspetto, si ritiene che, pur operando il principio del libero convincimento, con la conseguente assenza di una prova legale cui possa ritenersi subordinata la dimostrazione dell’impegno, quest’ultimo possa e debba essere valorizzato solo se si sostanzi in un impegno formale e tipico che il contribuente abbia assunto con l’Amministrazione finanziaria, attraverso soprattutto il ricorso alle speciali procedure previste dalle norme tributarie.
Con riguardo ai presupposti dell’operatività della norma, invece, la Corte di Cassazione[1] ha affermato che la locuzione “non opera” debba essere intesa nel senso che la confisca, a fronte dell’accordo con l’Amministrazione finanziaria, non diviene efficace in relazione alla parte “coperta” da tale impegno.
[1] Cfr. Cass., Sez. III, 2 maggio 2019, n. 18034, secondo cui la confisca va sempre applicata, ancorché la produzione di effetti deve essere condizionata al mancato ottemperamento dell’impegno formalmente assunto, quindi ad un evento futuro ed incerto, ferma restando la possibilità di disporla anche successivamente al suo verificarsi. Ne discende inoltre la conservazione della legittimità del sequestro preventivo prodromico alla confisca, permanendo sino all’integrale pagamento del debito, almeno per un quantum corrispondente ai versamenti mancanti. In senso conforme cfr. Cass., Sez. III, 24 aprile 2020, n. 12875; Cass., Sez. III, 21 giugno 2018, n. 28745; Cass., Sez. III, 27 maggio 2015, n. 25339; Cass., Sez. III, 15 aprile 2015, n. 20887; Cass., Sez. III, 11 febbraio 2015, n. 11497. In punto, si consideri anche Cass., Sez. III, 6 ottobre 2016, n. 42087, che afferma: “la confisca “non operativa”, dunque, sarebbe una confisca applicata ma non eseguibile perché non (ancora) produttiva di effetti, la cui produzione sarebbe subordinata (condizionata) al verificarsi di un evento futuro ed incerto, costituito dal mancato pagamento del debito. Fermo restando che, come recita il comma 2 dell’art. 12-bis, essa dovrà, comunque, essere “disposta”, rectius diventare efficace, allorquando l’impegno non sia stato rispettato e il versamento “promesso” non si sia verificato”.
Ti consigliamo per approfondire la lettura del testo completo: Responsabilità amministrativa enti e whistleblowing ebook 2023 di 250 pagine |