La recente sentenza della Corte di Cassazione n. 10422 - depositata lo scorso 19 aprile - rappresenta un nuovo punto di arrivo nella lunga querelle interpretativa sull’applicabilità della disciplina del transfer pricing alle transazioni “domestiche”, ossia alle operazioni infragruppo realizzate da società residenti in Italia. Le conclusioni cui giunge la Corte, contenute nel dispositivo della sentenza, evidenziano, da un lato, la tendenza ad ampliare l’area di sindacabilità delle policies dei gruppi societari e, dall’altra, l’utilizzo del principio di ragionevolezza attraverso il richiamo all’art. 9 del TUIR e al criterio del valore normale.
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Il principio di certezza del diritto rappresenta uno dei fondamenti dei sistemi giuridici di civil law, caratterizzati dalla codificazione delle norme generali ed astratte e - rispetto alle aree del diritto a più elevato tecnicismo – dalla normazione attraverso fonti di grado secondario.
Nell’ambito del diritto tributario, in considerazione della stretta contiguità della fonte normativa rispetto alla prassi amministrativa, la codificazione ha assunto un ruolo più mitologico che reale. Tanto il Testo Unico delle Imposte sui Redditi (i.e., “TUIR”) di cui al D.P.R. n. 917/1986, quanto i decreti che disciplinano l’accertamento (D.P.R. 600/1973), il regime sanzionatorio (D.lgs. n. 471 e 472 del 1997) e il contenzioso (D.lgs. n. 546/1992), necessitano di un costante raccordo interpretativo non solo con il diritto vivente di fonte primaria – già quest’ultimo oggetto di frequenti modifiche derivanti dall’evoluzione dello scenario geo-politico - ma anche con gli orientamenti dell’Amministrazione finanziaria e della giurisprudenza.
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La disciplina dei prezzi di trasferimento, che trova la sua fonte normativa interna nell’art. 110, comma 7 del TUIR, è stata negli anni al centro di accese diatribe relative alla natura stessa della norma, creando divergenti opinioni circa la sua qualificazione quale norma antielusiva.
In particolare, in una prima fase la Cassazione aveva ritenuto che la disciplina del transfer pricing non potesse essere applicata estensivamente anche ai rapporti tra imprese associate residenti nello stesso territorio (Cass. n. 23551 del 20 dicembre 2012), escludendo, dunque, la rilevanza del c.d. “transfer pricing interno”, ai fini dell’applicabilità del 110, comma 7.
A distanza di meno di un anno, con la sentenza n. 17955 del 24 luglio 2013, la Suprema Corte qualificava l’art. 110, comma 7 quale norma antielusiva speciale, applicabile ai rapporti tra società dello stesso gruppo, residenti in Italia, laddove le transazioni intercompany costituissero uno strumento per realizzare spostamento non di imponibile, bensì di vantaggi fiscali da una entità all’altra.
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Per dirimere la querelle, nel 2015 il legislatore ha introdotto una norma di interpretazione autentica, contenuta nell’art. 5 del D.lgs. n. 147/2015 (c.d. “Decreto internazionalizzazione”) che espressamente dispone che la disciplina del transfer pricing di cui all’articolo 110, comma 7, Tuir «non si applica per le operazioni tra imprese residenti o localizzate nel territorio dello Stato».
Peraltro, le aspettative di un intervento chiarificatore sono rimaste deluse, avendo le successive pronunce della Corte evidenziato che sebbene «le transazioni infragruppo interne non sono soggette alla valutazione del valore normale ex articolo 9 del Tuir, né una eventuale alterazione rispetto al prezzo di mercato può, di per sé, fondare una valutazione di elusività dell’operazione […] lo scostamento dal valore normale del prezzo di transazione può assumere rilievo, anche per operazioni infragruppo interne, quale elemento indiziario ai fini della valutazione di antieconomicità» (Cassazione, sentenza n. 16948/2019).
In piena eterogenesi dei fini rispetto alle esigenze di certezza del diritto e tutela del contribuente, con la sentenza del 2019 la Cassazione ha così riaperto le porte all’antieconomicità e all’accertamento induttivo – questa volta disancorati dal riferimento normativo all’art. 9 del TUIR e al concetto di valore normale - con la gravosa conseguenza di creare uno squilibrio probatorio a carico del soggetto verificato.
Sul punto si osserva che, in materia di accertamento, se l’Amministrazione finanziaria qualifica una condotta come antieconomica, può procedere a rideterminare il reddito imponibile con accertamento induttivo, ossia sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti (ex. art. 2729 cc) senza necessità di fornire prove certe.
Ne consegue che laddove l’Ufficio riscontri un’anomalia delle politiche di transfer pricing interno, qualificando le operazioni antieconomiche, spetta poi al contribuente dimostrare che lo scostamento rispetto ai prezzi di libero mercato sia giustificabile alla luce delle circostanze economiche e della strategia perseguita dal gruppo nel breve-medio periodo e finalizzata a realizzare un risultato lecito ed in linea con le logiche concorrenziali.
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Con due pronunce del 2021 (Ordinanza 8176/2021 e Ordinanza 11053/2021) la Suprema Corte ha fornito un’interpretazione compromissoria, tracciando la traiettoria della difesa del contribuente. Nelle due ordinanze, i giudici affermano rispettivamente:
Da tali pronunce emerge chiara l’influenza delle Linee Guida OCSE che nella versione del 2017 implementano già in gran parte i main pillars del Progetto BEPS, oltreché gli obiettivi dell’Unione verso l’internazionalizzazione e la ricerca di una base comune.
Posta la palese lontananza della ammissibilità del transfer pricing interno dalla ratio della normativa stessa dei prezzi di trasferimento, rappresentata dalla necessità degli Stati di evitare il fenomeno del profit shifting e del trading fiscale, sembra ragionevole auspicare la riconducibilità dei rilievi sul TP domestico alla norma di cui all’art. 9 del TUIR e al criterio del valore normale.
Si osserva, infatti, che il richiamo al valore normale avrebbe in tal senso una funzione garantista, ponendo un limite ad un concetto fumoso quale quello di antieconomicità, facile leva di velleità indiziarie.
In questa direzione si muove la più recente pronuncia della Corte di Cassazione (sentenza n. 10422 depositata il 19 aprile 2023), laddove afferma che con riguardo alle operazioni poste in essere tra società residenti, lo scostamento dal valore normale di cui all’art. 9 del TUIR può assumere rilievo di parametro indiziario, sì da giustificare l’accertamento con conseguente prova contraria a carico del contribuente, «senza che per ciò sia violata la norma di interpretazione autentica di cui all’art. 5, comma 2 del D.lgs. n. 147/2015 la quale è diretta ad escludere l’applicazione dell’art. 110 al transfer princing interno, ma non a limitare la portata logico-giuridica dell’art. 9 cit. ».