Il bonus per l’eliminazione di barriere architettoniche al 75%, introdotto dal decreto Rilancio (DL 34/2020, art. 119-ter), rappresenta l’unico incentivo fiscale in ambito edilizio per il quale non opera la blindatura disposta dal decreto blocca cessioni (DL 11/2023, convertito in legge 38/2023).
Lo stesso decreto, infatti, mantiene esplicitamene attiva la possibilità di fruire di tale agevolazione anche tramite le opzioni alternative alla detrazione diretta in dichiarazione dei redditi, vietata per la generalità dei bonus edilizi.
Ciò significa che, anche nel caso di interventi edilizi avviati dopo il 16 febbraio 2023 (data di entrata in vigore del DL 11/2023), il committente che ha diritto al bonus barriere architettoniche al 75% può cedere i crediti d’imposta derivanti dai lavori a istituti di credito, oppure ottenere lo sconto in fattura dall’impresa esecutrice.
Recita infatti l’art. 2 comma 1-bis del DL 11/2023 “Le disposizioni di cui al comma 1 non si applicano alle opzioni relative alle spese sostenute per gli interventi di superamento ed eliminazione di barriere architettoniche di cui all'articolo 119-ter del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34”.
Si tratta di una facilitazione di non poco conto, che probabilmente il legislatore ha voluto conservare in ossequio al principio stabilito dalla Corte Costituzionale che, con la nota pronuncia del 28 marzo 2017, n. 7938 ha chiarito che “in materia di eliminazione di barriere architettoniche, la legge 9 gennaio 1989, n. 13, costituisce espressione di un principio di solidarietà sociale e persegue finalità di carattere pubblicistico volte a favorire, nell’interesse generale, l’accessibilità agli edifici […]”.
Oggi si assiste pertanto a un diffuso incremento del livello di interesse su questa specifica materia, in particolare sui vantaggi indiretti che il bonus barriere architettoniche porta con sé.
Occorre infatti considerare che il bonus barriere architettoniche al 75% pone ben pochi requisiti di natura tecnica. Nel dettaglio, l’art. 119-ter si limita a disporre che devono essere rispettati i dettami fissati dal DM 236/1989, che specifica quali opere sono idonee all’utilizzo da parte di persone con disabilità.
Occorre considerare tuttavia che l’interpretazione letterale dei due decreti porta a ritenere che non siano agevolabili opere edilizie che vanno oltre il livello minimo di prestazione richiesto per un portatore di handicap e che non siano direttamente volte a superare una barriera preesistente. Qualche esempio può aiutare a capire.
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Poniamo il caso che in un appartamento in ristrutturazione vi sia un bagno non fruibile da un disabile. Il progettista dovrà documentarne lo stato dell’immobile ante intervento per poter dimostrare, un domani, che quel bagno effettivamente presentava delle barriere architettoniche e che pertanto è stato rifatto ex novo, superandole.
Egli dovrà dunque documentare, con fotografie e rilievi, meglio se raccolti in una perizia giurata, che gli ingombri erano insufficienti, che i sanitari erano inadatti, che gli interruttori erano troppo alti, etc.
Tutto ciò servirà a mettersi al riparo da eventuali contestazioni sulla spettanza del bonus, rendendo tranquillo il committente sulla possibilità di portare in detrazione al 75% i costi sostenuti per le opere di progettazione di quello specifico intervento, di demolizione e smaltimento, di totale rifacimento del bagno e delle opere a queste strettamente correlate (impianti elettrici, idrici, intonaci, tinteggiature, etc).
Tuttavia, se l’intervento edilizio di ristrutturazione prevedesse, come spesso avviene, la creazione di due bagni, se anche risultassero entrambi adatti ai disabili, il bonus barriere sarà attivabile solo in relazione al primo. Il fatto che nell’appartamento fosse presente un bagno contenente barriere architettoniche, infatti, non dà la possibilità al committente di agevolare la realizzazione di due bagni per disabili, perché il superamento della barriera è un intervento agevolabile solo se questa è preesistente; un requisito rispettato solo in relazione al bagno demolito, nel caso dell’esempio.
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In modo del tutto analogo, se l’unità immobiliare, nello stato ante intervento edilizio, era caratterizzata da un problema di accessibilità delle persone con disabilità dovuto alla presenza di una scala di ingresso, pare legittimo ritenere che possa rientrare nel bonus fiscale la realizzazione di un ascensore, e non anche la contemporanea realizzazione di un servoscala.
Sulla stessa linea, se un ostacolo rappresentato dalla presenza di una gradinata viene superato mediante la realizzazione di una rampa con la giusta pendenza e le giuste caratteristiche, non potrà beneficiare del bonus barriere la realizzazione di un servoscala.
È in questi dettagli tecnici che si annida il rischio di commettere errori di valutazione che possono risultare fatali ai fini della regolarità della pratica di accesso al bonus fiscale, e il motivo è legato al fatto che il legislatore non ha previsto l’intervento di un professionista che possa elencare quali opere siano meritevoli di accesso al bonus e quali no.
La certificazione tecnica prevista dal DM 236/1989, infatti, è unicamente finalizzata a garantire al comune che le opere progettate e realizzate siano rispondenti ai dettami del decreto, che è cosa ben diversa dall’operazione di discernimento tra opere agevolabili e non.
Come può, dunque, il professionista addetto all’apposizione del visto di conformità fiscale, e ancor più il committente, svolgere le necessarie valutazioni per decidere quali interventi escludere dalla detrazione, solo sulla base di una serie di fatture di acquisto e posa in opera di materiali (seppur conformi al DM)?
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Ai sensi della L 13/1989, co. 1, p.to 4, all’atto della richiesta del titolo abilitativo “è fatto obbligo di allegare al progetto la dichiarazione del professionista abilitato di conformità degli elaborati alle disposizioni adottate ai sensi della presente legge”.
Qualora il titolo edilizio sia stato presentato nell’ambito di un più generale intervento di ristrutturazione del fabbricato, il professionista potrebbe correttamente aver sintetizzato la descrizione delle opere inerenti all’eliminazione delle barriere architettoniche, limitandosi ad esplicitare che il progetto garantisce l’adattabilità degli ambienti ai disabili, senza fornire altri dettagli.
È evidente che, in un tal caso, qualora una simile stringata dichiarazione, in assenza di documenti progettuali più espliciti, dovesse pervenire al soggetto deputato ai controlli, sarà assai arduo spiegare che non solo, a seguito dell’esecuzione del progetto, l’edificio può essere facilmente adattato a un disabile, ma che anche sono state effettivamente eseguite tutte le opere portate in detrazione, e che le stesse erano finalizzate a superare barriere architettoniche preesistenti.