Circola da qualche giorno lo schema del Decreto del Ministro della giustizia recante il regolamento per la definizione dei criteri di redazione e dei limiti degli atti giudiziari che dovrebbe entrare in vigore entro il prossimo 30 giugno 2023, previa necessaria acquisizione dei pareri del Consiglio Superiore della Magistratura, del Consiglio Nazionale Forense e, infine, del Consiglio di Stato.
Il DM si applicherà anche ai procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore e darà attuazione a quanto previsto dal novellato art. 46 delle disposizioni di attuazione al codice di procedura civile, rubricato “Forma e criteri di redazione degli atti giudiziari” che, appunto, prevede che il Ministro della giustizia definisca con proprio decreto, fra l’altro, i limiti dimensionali degli atti processuali, in ossequio al principio di sinteticità degli atti nel processo civile, introdotto dal nuovo art. 121 del codice di procedura civile.
AGGIORNAMENTO DEL 14.8.2023
Decreto pubblicato nella Gazzetta Ufficiale dell'11 agosto 2023 Leggi in merito Atti processo civile regole e limiti
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L’art. 3 del DM, in estrema sintesi, prevede che:
La bozza del DM si premura anche di indicare, al fine di facilitare la leggibilità dei testi, che sia utilizzato un carattere con dimensione di almeno 12 punti, l’interlinea 1,5 e che i margini, verticali ed orizzontali, siano di 2,5 centimetri.
Naturalmente l’art. 5, al primo comma, prevede la possibilità di derogare tali limiti nel caso in cui la controversia presenti questioni di particolare complessità, in ragione della tipologia, del numero delle parti o della natura degli interessi coinvolti.
Anche i provvedimenti del giudice dovranno essere redatti in modo chiaro e sintetico, fermo restando che non sono previsti limiti dimensionali come per gli atti di parte, ma più semplicemente che le dimensioni sono correlate alla complessità della controversia.
Tali disposizioni dovrebbero trovare applicazione applicazione anche nel processo tributario stante il disposto dell’art. 1, comma 2, del d.lgs. 546/1992, secondo cui i giudici tributari applicano le norme del predetto decreto e, per tutto quanto da esse non disposto e con esse compatibile, le norme del codice di procedura civile.
Illustrate brevemente le novità che il DM introduce, occorre interrogarsi su quali possano essere le conseguenze alla loro eventuale violazione.
Ebbene, in proposito, può osservarsi che conformemente a quanto stabilito dalla legge delega n. 206 del 2021 all’art. 1, comma 17, lettera e), le eventuali violazioni delle specifiche tecniche riguardanti la forma e lo schema informatico, nonché dei criteri redazionali e i limiti dimensionali degli atti processuali, non comportano l’invalidità degli atti processuali, ma possono essere prese in considerazione ai fini della liquidazione delle spese di lite.
D’altro canto, la previsione della sanzione dell’inammissibilità, incidendo sul diritto di azione o di difesa, ben difficilmente avrebbe superato il vaglio di costituzionalità o della Corte EDU che, in passato, ha affermato che violano l’art. 6, comma 1, della CEDU, sotto il profilo del diritto di accesso ad un tribunale, interpretazioni eccessivamente formalistiche dei requisiti di ammissibilità prescritti per il ricorso per cassazione (Causa Succi e altri contro Italia - Prima Sezione - sentenza 28 ottobre 2021).
Tuttavia, in materia tributaria non sono mancati provvedimenti di merito che hanno dichiarato inammissibili impugnazioni giudicate prolisse (CTR Veneto sent. n. 367/2022; contra CGT 2° Piemonte sent. n. 60/2023), sicché la previsione della legge delega appare assolutamente opportuna.
Le sanzioni processuali riguarderanno, pertanto, il solo regime delle spese di lite prevedendo penalizzazioni per chi violerà, senza giustificato motivo, i limiti previsti dal DM in commento.
D’altro canto, la giurisprudenza sia legittimità che di merito, soprattutto a seguito dell’introduzione di una norma di analogo tenore nel codice del processo amministrativo (art. 3, comma 2, c.p.a.), aveva da tempo evidenziato che quello della chiarezza e sinteticità degli atti rappresenta principio generale del nostro ordinamento.
Proprio per tale ragione, in numerose pronunce era stato evidenziato che non rispettano il principio del giusto processo gli atti con contenuti sovrabbondanti.
Anzi, la particolare ampiezza degli atti, pur non ponendo un problema di violazione di prescrizioni formali, non giova certamente alla chiarezza e concorre ad allontanare l’obiettivo di un processo celere che esige atti sintetici, redatti con stile asciutto e sobrio.
Proprio per tale ragione, nel caso di atti sovrabbondanti si è spesso ravvisata la violazione del principio del giusto processo, di cui il giudice può tenere conto in sede di liquidazione delle spese processuali ex artt. 91 e 92 c.p.c. (Tribunale Milano, 1/10/2013), ma anche per comminare un’eventuale condanna ex art. 96, comma 3, c.p.c. (CdA Milano, sez. IV, sent. n. 1237/2023).
Invero, la fattispecie di cui all’art. 96, comma 3, c.p.c. configura una sanzione di ordine pubblico dettata, con finalità di deflazione del contenzioso, dall’interesse alla repressione dell’abuso del processo e di quelle condotte processuali che determinano una violazione delle regole del giusto processo e della sua ragionevole durata.
In altri termini, con l’istituto previsto dall’art. 96, comma 3, c.p.c., il legislatore ha inteso affidare al giudice uno strumento per reprimere, nell’interesse della collettività, il c.d. “abuso del processo” che, come appena visto, può ricorrere anche nel caso di violazione del principio di sinteticità che il citato DM contribuisce a delineare.
I difensori delle parti dovranno, pertanto, sforzarsi di redigere atti rispettosi delle prescrizioni appena viste anche per non incorrere in eventuali responsabilità di carattere professionale e disciplinare per violazione del dovere di diligenza.