Come già evidenziato in questo articolo riguardante i depositi sui conti correnti e confisca del profitto del reato[1], in merito alla possibilità di sottoporre a sequestro prima e confisca nella forma diretta poi le disponibilità presenti sui conti correnti (e altre forme di deposito simili) del reo (rectius del contribuente), anche quando esse si siano formate a seguito di fondi lecitamente ivi affluiti successivamente alla commissione del reato e che non risultino allo stesso collegate, neppure indirettamente, in giurisprudenza si sono contrapposti due orientamenti.
A chi ritiene illegittima tale apprensione, in ragione dell’impossibilità di individuare una qualche forma di pertinenzialità di fondi di lecita provenienza[2], si è contrapposta quella di chi, invece, basandosi in particolare sulla natura fungibile del denaro, ha ritenuto legittima l’adozione della misura ablatoria anche su disponibilità affluite addirittura in data successiva all’esecuzione del decreto di sequestro[3].
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La querelle sembrava risolta alla luce della Sentenza emessa dalle Sezioni Unite della S.C. di Cassazione nella quale è stata esaminata proprio la citata questione, oggetto di contrasto giurisprudenziale, del se la misura ablativa sul denaro debba considerarsi sempre diretta, stante la fungibilità di detto bene o se, invece, tale presunzione sia superabile dalla dimostrazione che le disponibilità oggetto del provvedimento non possono derivare dal reato essendosi formate successivamente alla consumazione dello stesso e lecitamente[4].
In particolare, alla S.C., nel suo massimo consesso, veniva sottoposto il seguente quesito: «se il sequestro delle somme di denaro giacenti su conto corrente bancario debba sempre qualificarsi come finalizzato alla confisca diretta del prezzo o del profitto derivante dal reato anche nel caso in cui la parte interessata fornisca la “prova” della derivazione del denaro da un titolo lecito»[5].
Esprimendosi sul punto le SS.UU. hanno stabilito che «qualora il prezzo o il profitto derivante dal reato sia costituito da denaro, la confisca viene eseguita, in ragione della natura del bene, mediante l’ablazione del denaro, comunque rinvenuto nel patrimonio del soggetto, che rappresenti l’effettivo accrescimento patrimoniale monetario da quest’ultimo conseguito per effetto del reato; tale confisca deve essere qualificata come confisca diretta e non per equivalente, e non è ostativa alla sua adozione l’allegazione o la prova dell’origine lecita del numerario oggetto dell’ablazione»[6].
In merito si evidenzia che il quesito, per come posto dalla Corte remittente, faceva genericamente riferimento al dubbio sulla qualificazione come diretta della misura rispetto a somme lecitamente acquisite, senza precisare se ciò andava verificato solo in relazione a somme già presenti, al momento della consumazione del reato e del conseguente incasso, nella fattispecie, del pretium sceleris, oppure anche in relazione a importi successivamente ivi affluiti da legittima provenienza.
Allo stesso modo, nel principio di diritto espresso nella propria risposta, le SS.UU. della S.C. si limitano a precisare che l’origine lecita della disponibilità non incide sulla possibilità di operare il provvedimento in via diretta. In effetti, tale circostanza potrebbe far sorgere qualche perplessità sul fatto che la qualificazione come diretta della misura ablativa delle somme presenti sui conti del beneficiario del profitto del reato, ancorché legittimamente acquisite, valga solo con riferimento a quelle ivi già disponibili al momento della consumazione dello stesso (circostanza che pure vedeva contrasti in giurisprudenza richiamati nell’ordinanza di remissione), e non anche per quelle future.
Farebbe propendere per la seconda ipotesi oltre alla genericità dell’affermazione del principio, che non sembra fare distinzione alcuna rispetto al momento in cui le somme (lecite) affluiscano sul conto (prima o dopo il reato, indifferentemente), anche la circostanza che, come detto, l’ordinanza di rinvio riguardava proprio un caso nel quale la parte interessata contestava la legittimità della misura adottata rispetto a somme accreditate sul conto successivamente al conseguimento della dazione illecita.
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Tuttavia, una più attenta lettura della sentenza, confortata anche da una successiva decisione della stessa Corte, potrebbe portare a concludere che la confisca nella forma diretta non possa coinvolgere anche somme che siano lecitamente affluite sui conti del soggetto beneficiario del reato (di regola l’ente rappresentato dall’autore dello stesso), in epoca posteriore alla sua consumazione.
Infatti, «per accertare se il denaro costituisce profitto del reato tributario[7], e, cioè, un risparmio di spesa aggredibile in via diretta (come invece sostiene il ricorrente nel caso in esame), è necessario avere riguardo non all'identità fisica delle somme, ma al valore numerario delle disponibilità giacenti sul conto dell'imputato alla scadenza del termine per il versamento dell'imposta, mentre il denaro versato successivamente a detto termine, che fosse stato sequestrato, non può essere ritenuto "profitto" del reato, ma rappresenta un'unità di misura equivalente al debito fiscale scaduto e non onorato, confiscabile se ricorrono i presupposti per la confisca per equivalente»[8].
Infatti, rispetto a tale questione, la sentenza delle Sezioni Unite, nel sottolineare espressamente, anche nel principio formalmente enunciato ai sensi di quanto previsto dall'art. 173, c. 3, disp. att. c.p.p., il dato della necessaria componente dell’«accrescimento patrimoniale» rappresentato dal denaro suscettibile di sequestro finalizzato alla confisca in via diretta, non ha, per ciò stesso, ritenuto estensibile il principio affermato con riguardo ai casi, tipicamente ricorrenti per effetto dei reati tributari, in cui il patrimonio dell'agente[9], lungi dal subire un incremento, si caratterizza, invece, per una mancata decurtazione dovuta al corrispondente risparmio di spesa, «così legittimando la riaffermazione del principio della insequestrabilità in forma diretta del denaro successivamente rivenuto nel patrimonio, si badi bene, non della persona giuridica cui il reato è riferibile (e dalla cui commissione ad opera delle persone fisiche autrici ….. essa ha tratto diretto vantaggio), ma (nella fattisepcie, ndr) della gestione commissariale, denaro certamente non derivante dal risparmio di spesa, profitto del reato tributario, ma dall'attuazione del programma di cessione di complessi aziendali, da inquadrarsi in quell'operazione di salvataggio dell'impresa che è connaturata all'amministrazione straordinaria»[10].
In secondo luogo, poi, nell'impostazione operata dalle stesse SS.UU., «la confisca "diretta" deve soddisfare lo scopo della misura che … “non è, infatti, di ritrovare sul conto corrente del reo le stesse banconote ab origine costituenti il prezzo o il profitto del reato, ma di realizzare l'ablazione della somma che sia già entrata nel patrimonio dell'autore a causa della commissione dell'illecito ed ivi sia ancora rinvenibile": somma che, nel caso di specie, non era infatti "già entrata" nel patrimonio dell'autore a causa della commissione dell'illecito e che, del resto, non era stata nemmeno rinvenuta nel patrimonio, attesi i saldi negativi e risibili dei conti correnti societari, laddove quella giacente sul conto corrente della gestione commissariale era sicuramente pervenuta successivamente alla commissione dell'illecito, acquisita per effetto di una lecita operazione di cessione del compendio immobiliare e, dunque, giammai qualificabile come "profitto" del reato, confiscabile in via diretta»[11].
Pertanto, «il denaro che affluisce sul conto corrente successivamente alla commissione del reato (soprattutto se il c/c è diverso da quello della persona giuridica nel cui interesse o vantaggio è stato commesso l'illecito da parte della persona fisica, trattandosi, nel caso di specie, di c/c acceso dalla gestione commissariale successivamente all'ammissione alla procedura di amministrazione straordinaria, le cui somme costituiscono un acconto sul prezzo versato dal promissario acquirente di un primo compendio oggetto di cessione da parte della procedura, senza che sul c/c in questione risultino essere transitate somme derivanti dalla gestione anteriore allo stato di insolvenza), non può, come chiarito in più occasioni da questa Corte, costituire il profitto del reato tributario, rappresentato infatti dal risparmio di imposta conseguente all'omissione di versamento del quantum corrispondente. Né rileva, per come supra specificato, la natura di bene fungibile propria del denaro, nella prospettiva ricostruttiva delle plurime decisioni delle Sezioni Unite[12], per legittimarne la sequestrabilità in forma diretta»[13].
Secondo i giudici di legittimità, pertanto, da ciò consegue che correttamente il Tribunale ha ritenuto l'impossibilità della confisca diretta del profitto in capo alla persona giuridica (a fronte dell'incapienza di dei cc/cc della società) e della insuscettibilità ad ablare le somme giacenti sul c/c della gestione commissariale, in quanto denaro affluito successivamente alla commissione del reato e non derivante dalla gestione anteriore allo stato di insolvenza, ritenendo invece legittimo il sequestro preventivo, funzionale alla confisca per equivalente, disposto sui beni del precedente amministratore di fatto della stessa.
La S.C., poi, in tale contesto, stigmatizza anche la tesi difensiva secondo cui «l'esistenza del compendio oggetto di cessione ad opera della gestione commissariale non potrebbe considerarsi estranea alla commissione del reato, in quanto se la società avesse adempiuto agli oneri tributari a suo carico, tale complesso immobiliare sarebbe stato intaccato e non sarebbe oggi disponibile quale attivo liquidabile, con la conseguenza che la sua permanenza nel patrimonio aziendale costituirebbe una manifestazione del risparmio di spesa di cui la società aveva beneficiato non essendo stato adempiuto l'obbligo tributario, con conseguente aggredibilità in via diretta» poiché non terrebbe conto della circostanza, oggettiva, che nel caso di specie la somma aggredibile al momento della richiesta di sequestro era rappresentata da denaro affluito sul conto corrente dell’ente successivamente alla commissione del reato che, come anticipato, non può costituire il profitto del reato tributario, rappresentato infatti dal risparmio di imposta conseguente all'omissione di versamento del quantum corrispondente[14].
Ciò sarebbe peraltro confermato dalla stessa citata Sentenza resa a SS.UU.[15] che, partendo dal presupposto secondo cui la confisca del denaro è sempre diretta e mai per equivalente, ha escluso che tale forma di ablazione possa avere una funzione punitiva, perseguendo un mero obiettivo di «riequilibrio».
In conclusione, «Non può, pertanto, come già sottolineato, ritenersi superato l'orientamento cui è pervenuto questa Sezione secondo cui nei reati tributari il profitto è essenzialmente costituito non già da un aumento patrimoniale, bensì in un risparmio di spesa e, quindi, in un mancato esborso, facendosene discendere che le somme percepite dopo la commissione del reato e, quindi, in epoca successiva rispetto al momento in cui il risparmio di spesa si è determinato, non sono suscettibili di confisca diretta»[16] tanto più che al momento del richiesto sequestro preventivo, sui conti correnti della società non vi erano disponibilità, e sul conto corrente acceso dalla gestione commissariale vi era una somma di lecita derivazione conseguita dopo la consumazione del reato.
Nonostante tale presa di posizione, successivamente la stessa Corte è intervenuta esprimendo un orientamento completamente diverso.
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Per i giudici di legittimità le citate Sezioni Unite n. 42415/21 hanno innanzitutto enunciato un principio di carattere generale, senza operare alcuna espressa distinzione tra profitto costituito da «accrescimento patrimoniale» e profitto integrato da «risparmio di spesa».
Tale distinzione non risulta, infatti, recepita da disposizioni normative in materia di confisca, così da far rilevare un’indicazione del legislatore favorevole a differenziare il regime giuridico applicabile alle due categorie. Del resto, laddove non si condividesse questa ricostruzione ermeneutica, l’alternativa sarebbe quella di dover ritenere che il profitto del reato, quando consiste in un risparmio di spesa, non possa essere costituito da denaro, perché non vi è mai una somma di denaro fisicamente identificabile che «entra» nel patrimonio del beneficiato.
Ciò, però, comporterebbe la generale esclusione, per tutte le ipotesi di profitto integrato da risparmio di spesa, dell’ammissibilità della confisca diretta; quindi, anche quando il denaro sia già presente sul conto corrente bancario al momento della commissione del reato.
Tuttavia, l’ammissibilità della confisca diretta anche con riguardo all’ipotesi di profitto derivante da risparmio di spesa sembra discendere da un preciso elemento normativo, l’art. 12 bis del D. L.vo n. 74/00, ossia proprio la disposizione che detta la disciplina relativa alla confisca nei reati tributari. Il dato testuale della disposizione appena citata, fa ritenere che il legislatore, pur guardando a reati in relazione ai quali il profitto è generalmente determinato da «risparmio di spesa», abbia previsto come misura «ordinaria» la confisca diretta.
Viene, in definitiva, confermato il sequestro preventivo nei confronti di una srl, in quanto sono confiscabili le somme di denaro presenti sui conti correnti di una società che ha tratto profitto dalla condotta illecita dei suoi legali rappresentanti, nonostante l’avvenuta dimostrazione, da parte della difesa, del fatto che le somme presenti su tali conti alla data del commesso reato, così come il loro successivo incremento, erano derivate da accrediti aventi causa lecita[17]. In effetti, si potrebbe affermare che quando il reato tributario consente un «risparmio di spesa», l’ente che ne ha beneficiato continui a conservare gli effetti positivi nel proprio patrimonio anche successivamente alla data dell’illecito per cui ben si giustificherebbe la confisca diretta, e ciò a prescindere dalle eventuali modifiche che hanno interessato la società (gestione commissariale, ecc.) in quanto il profitto illecito è «rimasto» comunque nelle casse societarie in termini di minore spesa.
In realtà, anche quest’ultima presa di posizione della S.C. meriterebbe una lettura più attenta in quanto, nel confermare le conclusioni della Sentenza Appellata, ne ha richiamato, condividendole, le relative argomentazioni e, in particolare, la parte in cui la Corte di merito afferma che «Data la natura fungibile del denaro e la inevitabile confusione che con riguardo ad esso si determina, appare condivisibile l'impostazione (...) secondo la quale le somme presenti sul conto corrente della società beneficiaria del reato alla data di consumazione di quest'ultimo devono ritenersi suscettibili di sequestro preventivo in via diretta e ciò anche nell'ipotesi in cui se ne dimostri la provenienza lecita»[18].
Orbene, il riferimento alle «somme presenti sul conto corrente della società beneficiaria del reato alla data di consumazione di quest’ultimo» comunque delimita l’entità degli importi che possono formare oggetto del provvedimento di sequestro e, quindi, di confisca, circoscrivendola, appunto, a quanto presente sui conti societari al momento della commissione del reato con la conseguenza che, a giudizio di chi scrive, in base a tale interpretazione, se il relativo saldo, a tale data, fosse stato pari a zero o, addirittura, negativo[19], il successivo afflusso sugli stessi di liquidità di lecita origine non consentirebbe l’adozione della misura ablativa (diretta in particolare, ancorché in forma cautelare)[20].
Più recente Sentenza della S.C. si è poi espressa anche nel senso di ritenere che l’illecito arricchimento conseguente al mancato esborso delle somme dovute in relazione all’obbligo tributario permanga nel patrimonio dell’ente che ha beneficiato dell’evasione, anche successivamente alla scadenza dell’adempimento e sino a che non venga, eventualmente, estinto il debito tributario[21].
Pertanto, ove si interpreti l’impostazione delle SS.UU nel senso di considerare legittima la misura ablatoria a prescindere da quando si siano formate le disponibilità di numerario sui conti societari (prima o dopo la consumazione del reato ovvero addirittura dopo l’esecuzione del provvedimento di sequestro), in particolare nel caso dei delitti tributari, si deve ritenere quindi che sui saldi (attivi)[22] dei conti del soggetto che ha beneficiato del profitto del reato[23], il sequestro prima e la confisca poi saranno sempre ammessi:
Ad ogni modo si segnala come l’esistenza di un evidente contrasto interpretativo in seno alla Suprema Corte sia stato sottolineato di recente anche dall’Ufficio del Massimario in occasione dell’elaborazione degli orientamenti giurisprudenziali del 2022 della Cassazione rendendo quindi necessario un nuovo intervento chiarificatore delle SS.UU. che, questa volta, si auspica affrontino la questione nella sua complessità.
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[1] Cfr. Abruzzese A.M. e L. Galluccio, Depositi sui conti correnti e confisca del profitto del reato, Speciale Fisco e Tasse del 15/04/2021.
[2] Ex pluris Cass. n. 6816/19.
[3] Cfr. ex pluris Cass. n. 29923/18.
[4] Cass. Ord. n. 7021/21.
[5] La fattispecie all’origine del rinvio aveva ad oggetto le somme conseguite dall’autore del reato di traffico di influenze illecite (ex art. 346 bis c.p.p.), il quale sosteneva la non applicabilità della misura (nella forma diretta) agli importi affluiti sui conti bancari in epoca successiva al contestato incasso del prezzo della mediazione illecita e che si era dimostrato avere una legittima provenienza.
[6] Cass. SS.UU. n. 42415/21.
[7] Nella fattispecie rappresentato dall’art. 10 bis del D. L.vo n. 74/00 (Omesso Versamento delle Ritenute Operate).
[8] Cass. n. 11086/22 che richiama altre decisioni della medesima Corte.
[9] Rectius, del soggetto beneficiario del reato, vale a dire l’ente rappresentato dal suo autore.
[10] Cass. n. 11086/22.
[11] Cass. n. 11086/22.
[12] Cfr. Cass., SS.UU. n. 42415/21, SS.UU. n. 10561/14, SS.UU. n. 31617/15.
[13] Cass. n. 11086/22.
[14] Cass. n. 11086/22, n. 31516/20.
[15] Cass. SS.UU. n. 42415/21.
[16] Cass. n. 11086/22, n. 6348/18, n. 8995/17.
[17] Cfr. Cass. n. 45984/21.
[18] Cfr. sempre Cass. n. 45984/21.
[19] Per l’esistenza di affidamenti bancari, ad esempio.
[20] Cfr., in merito, anche Cass. n. 11086/22.
[21] Cfr. Cass. n. 42616/22.
[22] Al momento dell’adozione del provvedimento.
[23] Vale a dire, di regola, dell’ente rappresentato dall’autore del reato stesso.
[24] Anch’essi attivi.
[25] La mancata decurtazione del saldo del conto per effetto della non emersione o del non versamento del tributo equivarrebbe, in pratica, ad un corrispondente «virtuale» afflusso di denaro sullo stesso che, in quanto tale, si identificherebbe nel profitto del reato (cfr. Cass. n. 3575/22).
[26] Naturale fungibilità del denaro.
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