E’ un dato noto che, il legislatore ha modificato più volte l’impianto normativo della crisi d’impresa fino ad addivenire all’ultima versione del Codice, entrato in vigore il 15 luglio 2022 , che integra senza dubbi, a differenza del passato, un orientamento precettivo, cogente e pragmatico, ponendo al centro dell’attenzione la gestione dell’impresa, la continuità e il riequilibrio dell’azienda, come beni da tutelare, e affidandone il compito all’imprenditore stesso, purché solerte e dotato di misure e strumenti idonei.
Il comma 4, dell’art. 3, CCII, ha riempito di contenuto e rafforzato il precetto normativo di cui al secondo comma dell’art. 2086, c.c., intervenendo a:
La funzione organizzativa rientra nel concetto di gestione societaria, nel senso che l'organizzazione diviene espressione di scelte di fondo di tipo gestionale ed è, a sua volta, funzionale all'adozione di decisioni in grado di orientare, influenzare e dirigere la gestione, anche nel momento di crisi.
La mancata rilevazione degli indi di precrisi integra una violazione di dovere dell’amministratore (come dell’imprenditore) potenzialmente, ma non necessariamente foriera di danno per la società (Tribunale di Palermo, sent. n. 3651/2020).
Sotto questo profilo l’attuazione del Codice della crisi rafforza obblighi già espressi dal codice civile, che devono essere letti nell’ampiezza delle disposizioni di cui agli artt. 3,4, 12, 21, CCII al fine di creare un modello di condotta esimente da responsabilità (Tribunale di Cagliari,19 gennaio 2022).
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Accanto alle nozioni di crisi e insolvenza, il Codice colloca la nozione di precrisi, che si configura nella “condizione di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che rende probabile la crisi” - ex art. 12, co.1, CCII.
Seppure, sul piano concettuale si tratti di una distinzione nitida, nella realtà sono ravvisabili numerose “zone grigie” (“twilight zone”) rispetto alle quali detta distinzione non appare più identificabile.
Il caso tipico è rappresentato dall’imprenditore sano che si trovi nondimeno in temporanea e non grave difficoltà finanziaria, come tale non integrante gli estremi dello stato di crisi vero e proprio.
Sotto tale profilo, appare utile ricordare che la probabilità di crisi evocata dal legislatore intende esprimere:
Se si vuole cogliere l’essenza di un distinguo, la precrisi non è crisi dell’impresa nel suo complesso, ma di segmenti di essa osservabili e misurabili, anche economicamente soprattutto a livello analitico, come la redditività di prodotti, di mercati, di singoli punti vendita.
In virtù dei contenuti precetti degli articoli già citati, art. 2086, c.c. e art. 3, CCII, gli assetti o le misure sono adeguati o idonee se generano un determinato output informativo, che ai sensi del comma terzo dell'art. 3 CCII si traduce nella capacità dell'organizzazione dell'impresa di:
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A titolo esemplificativo e non esaustivo, sono indicatori di inadeguatezza:
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La possibilità di suddividere il business plan annuale in trimestri consente all’impresa di analizzare periodicamente il proprio andamento e di intercettare l’insorgenza di segnali di crisi.
La capacità degli “assetti” e delle “misure” di garantire un adeguato output informativo, di tipo consuntivo e previsionale, deve essere processata dagli amministratori (o dall'imprenditore) per l'adozione di opportune iniziative.
Nelle prescrizioni contenute, al terzo comma dell'art. 3, CCII, la responsabilità degli amministratori è commisurata nella diligenza impiegata nel processo decisionale sotteso alle scelte di carattere organizzativo, e se orientate o meno ad un certo output informativo che parte dal dato contabile.
E’ significativa la Sentenza della Cassazione n. 2172, del 24-1-2023 dove la Corte di appello di Venezia ha ritenuto atto di mala gestio l’acquisto del ramo d’azienda indebitato laddove non sia accompagnato da adeguati assetti organizzativi.
In breve, la Corte d’Appello, ha individuato la condotta illecita degli amministratori ed il nesso di causalità tra condotta e danno nelle scelte effettuate in occasione dell’acquisto di un ramo d’azienda con un rilevante passivo, senza l’ adozione di adeguate risorse organizzative per contrastare l’insolvenza. In particolare, gli amministratori sono stati ritenuti responsabili di aver assunto condotte finalizzate a mascherare ed occultare con meri accorgimenti di bilancio, l’insolvenza così determinando un accrescimento abnorme del danno.
Il Giudice d’appello inoltre, ha fatto buon uso per la definizione degli adeguati assetti del principio business judgement rule, secondo cui in tema di responsabilità degli amministratori di società di capitali, l’insindacabilità del merito delle scelte di gestione trova un limite nella ragionevolezza delle stesse da compiersi “ex ante” secondo i parametri della diligenza del mandatario, tenendo conto della verifica delle informazioni preventive normalmente richieste e della diligenza mostrata nell’apprezzare preventivamente i margini di rischio connessi all’operazione da intraprendere.