La disciplina è molto simile, ma le tre operazioni possono avere ambito di applicazione diverso, e differenti sono anche le valutazioni di convenienza.
La disciplina dell’assegnazione agevolata dei beni ai soci (art. 1, commi da 100 a 105 della legge n.197/2022) permette alle società di persone e di capitali di estromettere dal regime d’impresa, a condizioni estremamente vantaggiose, i beni immobili ed i beni mobili registrati non strumentali. I medesimi vantaggi possono essere conseguiti con la cessione agevolata degli stessi beni ai soci e con la trasformazione agevolata in società semplice.
L’assegnazione non è un’operazione di cui si occupa il codice civile: la si può definire, comunque, come l’operazione attraverso la quale un bene fuoriesce dal patrimonio societario in contropartita di una riduzione del patrimonio netto. La riduzione del patrimonio netto, in linea generale e con le dovute eccezioni (recesso), presuppone un coinvolgimento di tutti i soci, anche se non è necessario che tutti ricevano il bene assegnato avvalendosi dell’agevolazione.
Molto più semplice, dal punto di vista codicistico, è inquadrare la cessione ai soci (che è in definitiva una normale compravendita) e la trasformazione in società semplice, le cui peculiarità, rispetto alle “ordinarie” trasformazioni, riguardano la preclusione all’esercizio di attività commerciale da parte della società trasformata e la conseguente fuoriuscita dei beni dal regime fiscale d’impresa.
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In riferimento all’assegnazione, dunque, è necessario che vi siano poste del patrimonio netto (riserve di utili, riserve di capitale, capitale sociale) che possano essere annullate e che siano di importo almeno pari al valore contabile del bene da assegnare.
Tralasciando la questione, pure interessante, se sia necessario che le riserve da annullare pareggino il valore di assegnazione del bene (ovvero il valore che esso assume nell’ambito dell’operazione: la risposta da preferirsi è certamente quella negativa), la fuoriuscita di un bene dal valore contabile superiore a quello delle riserve annullate in corrispondenza produrrebbe una perdita che non troverebbe capienza in altre poste del patrimonio, intaccando il capitale sociale o producendo addirittura un deficit patrimoniale.
Si tratta di ipotesi da cui tenersi lontani, e che nella normalità dei casi produrrebbero responsabilità penale in capo all’organo amministrativo ed ai soci per lesione del capitale sociale e/o delle riserve obbligatorie (artt. 2626 e 2627 c.c.).
Un secondo caso nel quale l’assegnazione agevolata non può essere effettuata si ha quando il valore del bene da assegnare è rilevante, e non esistono riserve residue (una volta annullate quelle corrispondenti al valore del bene) sufficienti a soddisfare gli altri soci, garantendo il rispetto della par condicio. Oppure, esistono riserve sufficienti, ma a queste non corrisponde liquidità: per soddisfare il socio o i soci non assegnatari, si dovrebbe allora ricorrere all’assegnazione del medesimo bene in comproprietà oppure all’assegnazione di altro bene (agevolabile o meno), e non è detto che il socio sia contento di questa soluzione (ricordando che, in assenza di particolari clausole statutarie, si ritiene non consentito forzare il socio ad accettare un bene in natura in luogo del denaro).
Si potrebbe anche ricorrere, allo scopo rispettivamente di incrementare il patrimonio netto o di ridurre il valore del bene da assegnare, ad un versamento in conto capitale oppure all’accollo di debiti, ma entrambe le opzioni non sono sempre praticabili, poiché presuppongono la disponibilità di liquidità sufficiente in capo al socio assegnatario.
Quindi, se non si può ricorrere all’assegnazione perché non vi è un patrimonio netto capiente, oppure non si trova il modo di soddisfare i soci non assegnatari, o di rispettare la par condicio, si può considerare di effettuare la cessione agevolata o la trasformazione agevolata in società semplice, per le quali non vi sarebbero preclusioni.
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La cessione agevolata è, come appena rilevato, un’ottima soluzione per accedere alle agevolazioni della disciplina aggirando gli ostacoli che in alcuni casi l’assegnazione può presentare.
Trattandosi di una compravendita, il socio cessionario deve avere disponibilità sufficienti a pagare il bene, il che, in linea di principio ed allo scopo di non alterare i rapporti tra i soci, presupporrebbe la determinazione del corrispettivo in misura pari al valore di mercato.
Dal punto di vista fiscale, invece, per accedere alla disciplina agevolata è possibile avvalersi di un corrispettivo anche inferiore; tuttavia, se esso dovesse essere fissato al di sotto del valore catastale o del valore normale, ai fini del pagamento dell’imposta sostitutiva si dovrà fare riferimento ad uno di questi due valori (es. valore normale del bene 200.000, valore catastale 150.000: il corrispettivo verrà riportato a 150.000 se inferiore, rileverà invece in quanto tale, ai fini del calcolo della plusvalenza sulla quale applicare le imposte sostitutive e dell’imposta di registro, se superiore).
La disciplina, quindi, lascia un certo margine di manovra, allo scopo di consentire un esborso contenuto a carico del socio cessionario, il quale dovrà comunque procurarsi, insieme all’organo amministrativo, il consenso degli altri soci (ad esempio in una seduta assembleare che autorizzi l’amministratore alla vendita, specificandone tutte le condizioni).
La cessione, inoltre, poiché prevede il pagamento di un corrispettivo, è lo strumento ideale a cui ricorrere quando vi sia necessità di immettere liquidità nella società e contestualmente siano presenti beni inutilizzati.
Si riuscirebbe, quindi, a soddisfare un bisogno della società a condizioni fiscali di favore ed allo stesso tempo a “ripagare” immediatamente il socio finanziatore.
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La trasformazione agevolata ha delle peculiarità che la distinguono dalle altre due operazioni, oltre ad essere idonea ad accedere al regime agevolato nei casi in cui l’assegnazione non è possibile oppure i soci non siano in condizione di pagare il corrispettivo dei beni.
Bisogna premettere che la trasformazione agevolata in società semplice sarà principalmente attuata da società a compagine ristretta, nelle quali tutti i soci sono d’accordo a cessare l’esercizio dell’impresa e ad adottare come oggetto sociale, nello statuto, il mero godimento di beni immobili (o di beni mobili registrati).
In presenza di un accordo in questo senso, il vantaggio principale della trasformazione agevolata consiste nella sua semplicità:
Inoltre, la trasformazione apre interessanti prospettive di vendita degli immobili sociali, perché permette di estrometterli dal regime d’impresa avvalendosi del valore catastale, che può essere notevolmente inferiore al valore normale, e di cederli anche immediatamente dopo, poiché il quinquennio di cui all’art. 67, comma 1, lett. b) del T.U.I.R. decorre a partire dalla data di acquisizione dell’immobile e non dalla data della trasformazione (quindi in molti casi si avrà vendita oltre i cinque anni, non rilevante ai fini del conseguimento di un reddito diverso; si rimanda per un’analisi più approfondita di questo aspetto a “L’assegnazione agevolata facilita la vendita degli immobili a terzi”).
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