Speciale Pubblicato il 08/02/2023

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Caparra confirmatoria: cos'è e come funziona realmente

di Dott. Fabrizio Aliffi

Le funzioni della caparra, confirmatoria e indennitaria; differenze con l'acconto e la clausola penale



L’articolo 1385 del codice civile disciplina la “caparra confirmatoria”, prevedendo che essa ricorre allorché un contraente (ad esempio colui che effettua una proposta per un acquisto immobiliare) dà all’altro contraente (l’oblato, ossia, ad esempio, il proprietario di un immobile), a titolo di caparra, una somma di danaro o una quantità di altre cose fungibili.

In tal caso, qualora si abbia inadempimento di colui che ha versato la caparra (tradens) - stando al nostro esempio: in caso di mancata stipulazione del contratto definitivo di vendita per rifiuto del promittente acquirente, ossia di colui che ha effettuato la proposta di acquisto - colui che ha ricevuto la caparra può recedere dal contratto, determinandone l’interruzione e trattenendo quanto ricevuto a titolo di indennizzo; qualora invece l’inadempimento sia da imputare a colui che ha incamerato la caparra (accipiens) - stando al nostro esempio: in caso di mancata stipulazione del definitivo di vendita per rifiuto del promittente venditore - l’altra parte potrà recedere dal contratto e richiedere la corresponsione di una somma pari al doppio della caparra versata.

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La caparra confirmatoria persegue tre diverse funzioni.

La prima è quella, appunto, confirmatoria: essa costituisce la prova dell’esistenza di un contratto, di cui si vuole rafforzare l’adempimento delle relative prestazioni.

Un’ulteriore funzione è quella di acconto: come sovente si verifica nella prassi, la caparra è versata anche quale esecuzione anticipata della prestazione dovuta in base al contratto principale, perché verosimilmente essa sarà poi imputata al prezzo finale di acquisto; restando all’esempio di cui sopra: la caparra corrisposta in sede di proposta di acquisto di un immobile (che, una volta accettata, porta alla conclusione di un contratto preliminare di vendita) sarà verosimilmente imputata dalle parti al prezzo di acquisto in sede di compravendita definitiva.

Infine, la caparra persegue una funzione indennitaria (simile alla funzione risarcitoria tipica della clausola penale). La parte non inadempiente, infatti, una volta stabilito il recesso dal contratto, potrà considerarsi ristorata limitatamente alla somma ricevuta (qualora si tratti dell’accipiens) ovvero limitatamente alla somma che potrà richiedere alla controparte (qualora si tratti del tradens).

Le soluzioni ai casi di inadempimento contrattuale offerte dall’art. 1385, codice civile, non esauriscono, in realtà, il novero delle scelte che le parti di un contratto hanno a disposizione per risolvere la situazione ingeneratasi a seguito dell’inadempimento di una di esse.

Va infatti sottolineato che il menzionato art. 1385 si limita a stabilire le diverse soluzioni ivi indicate (e fin qui esposte) quali mere facoltà: quella di recedere dal contratto e di ritenere quanto ricevuto, ovvero pretendere il doppio della caparra pattuita. Ciò si evince, in particolare, dall’utilizzo del verbo “può” di cui al secondo comma dell’articolo in commento.

Quali sono, dunque, le altre opzioni rimesse alla scelta della parte non inadempiente?

Questa può decidere di non esercitare il recesso cui dà diritto la caparra pattuita, così riservandosi di agire in giudizio per domandare l’adempimento del contratto ovvero la sua risoluzione, con il relativo risarcimento del danno da inadempimento.

In particolare, con riguardo alla prima ipotesi e stando all’esempio di cui sopra, ove il promittente acquirente si rifiuti di addivenire al contratto definitivo di vendita, il promittente venditore potrà scegliere di non recedere, ossia di non determinare l’interruzione dell’impegno contrattuale, ma di agire per l’adempimento del contratto, richiedendo al giudice l’esecuzione forzata dell’adempimento dell’obbligo di contrarre ai sensi dell’art. 2732, codice civile. In sostanza il promittente venditore potrà comunque riservarsi di ottenere dal giudice una sentenza che riproduca il contratto di vendita promesso, determinandone i medesimi effetti.

Con riguardo alla seconda ipotesi, invece, il promittente venditore potrà alternativamente decidere, piuttosto che esercitare il recesso e ritenere la caparra ricevuta, di agire per la risoluzione del contratto per inadempimento del promittente acquirente e domandare il risarcimento dell’intero danno accusato, imputando ad esso, chiaramente, quanto già incamerato a titolo di caparra.

Il danno liquidabile dal giudice potrà rivelarsi superiore alla somma corrispondente alla caparra, oppure uguale o inferiore. In quest’ultimo caso l’eccedenza di quanto versato a titolo di caparra non può essere trattenuta e deve essere restituita alla controparte.

Qualora l’inadempimento sia quello del promittente venditore, il promittente acquirente non potrà chiedere il doppio di quanto già versato ma dovrà attendere gli esiti della domanda giudiziale che egli vorrà avanzare, potendo in alternativa: agire per l’adempimento del contratto, richiedendo al giudice l’esecuzione forzata dell’adempimento dell’obbligo di contrarre ai sensi dell’art. 2732, summenzionato, ovvero agire per la risoluzione del contratto per inadempimento, con la connessa richiesta di risarcimento del danno sofferto.

Va quindi in definitiva chiarito che la caparra non inibisce la scelta di una differente tutela rispetto a quella cui essa è funzionale. La parte non inadempiente potrà quindi valutare quale strada è per essa maggiormente tutelante.

Quali sono le differenze tra la caparra confirmatoria e l’acconto?

L’acconto costituisce soltanto un’anticipazione del prezzo dovuto e non può essere trattenuto in caso di risoluzione del contratto per inadempimento, salvo il diritto di ritenerlo imputandolo al risarcimento dell’eventuale danno sofferto dall’accipiens, ove l’inadempimento riguardi il tradens.

Si ritiene che nel silenzio del contratto una somma data sarà considerata come acconto. Nonostante qualche voce contraria, per la qualificazione in termini di caparra è invece sufficiente la dizione “caparra confirmatoria”; è dubbio, invece, se sia sufficiente anche il solo laconico riferimento a “caparra”, sebbene ritengo che la risposta debba essere positiva almeno in quei casi in cui il contratto si inserisce in un contesto di prassi diffusa, tale per cui risultano applicabili i criteri di interpretazione di cui all’articolo 1368, codice civile.

Quali sono le differenze tra la caparra confirmatoria e la clausola penale?

Innanzitutto, la caparra è già versata al momento della conclusione del contratto, laddove invece la clausola penale fa sorgere il solo obbligo di corrispondere una certa somma (o eseguire una qualsiasi diversa prestazione, in baso a quanto pattuito) soltanto con il verificarsi dell’inadempimento o del ritardo nell’adempimento

Inoltre, la caparra ha, come si è detto, la funzione di liquidare il danno, analogamente a quanto avviene con la clausola penale, ma nell’ambito della caparra ciò consegue soltanto alla scelta del contraente non inadempiente di recedere dal contratto, così restando precluso ogni altro rimedio.

La clausola penale ha bensì la funzione di liquidare il danno ma senza che ciò comporti l’interruzione del rapporto contrattuale, che persiste, sebbene nel suo versante patologico. 

La parte non inadempiente potrà infatti pretendere l’adempimento tardivo (se la penale è stata richiesta per il ritardo nell’inadempimento) o agire con l’esecuzione forzata, con la possibilità di chiedere il risarcimento del danno ulteriore se ciò è stato espressamente convenuto nella clausola penale.



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