Con Sentenza n. 40861 del 27 ottobre 2022 la Cassazione Penale sez II ha confermato il sequestro di circa 3 milioni e mezzo di euro quale profitto di dichiarazione fraudolenta (art. 3 DLgs. 74/2000) e autoriciclaggio (art. 648-ter.1 c.p.) relativamente alla vendita simulata di beni di società fittizie con lo scopo di riciclare denaro proveniente da reati tributari.
Il Collegio ribadisce inoltre che ai fini della determinazione della competenza territoriale, il reato realizzato con condotte frammentarie e progressive, affidate a plurimi soggetti che apportino il loro contributo in tempi e luoghi diversi, deve considerarsi consumato ove si realizza il primo atto.
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Il Tribunale del Riesame di Milano, dispone nei confronti dell'indagata il sequestro della somma di Euro 3.495.318,69 in quanto appunto indagata per il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifizi ex Decreto Legislativo n. 74 del 2000 articolo 3 (capo B) ed autoriciclaggio (capo C).
Secondo la ricostruzione dell'ordinanza impugnata gli addebiti a carico dell'indagata si originano dalle indagini su attività simulate di compravendita di beni di due società al fine di sottrarli alle procedure esecutive conseguenti al mancato pagamento di debiti tributari, superiori a cinque milioni di Euro, accumulati negli anni.
Per contro, la difesa, adduce l'inosservanza ed erronea applicazione della legge penale e processuale in merito al Decreto Legislativo n. 74 del 2000 articolo 3, all’articolo 648ter.1 c.p. e all’articolo 125, comma 3, c.p.p. relativamente a Error in judicando e motivazione apparente in punto di sussistenza della condotta materiale del delitto di dichiarazione fraudolenta.
A ben vedere, secondo la difesa, il Tribunale ha errato ritenendo la giuridica configurabilità del delitto di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000 articolo 3, argomentando circa la riconducibilità all’indagata dei redditi conseguiti dalla compravendita, sull'uso di documentazione falsa e sulla prova di operazioni simulate.
Siffatte condotte, secondo l'ordinanza impugnata, sono suscettibili anche alternativamente di integrare la fattispecie in oggetto e hanno consentito all'indagata il conseguimento dell’evasione di imposta contestata.
Inoltre, i giudici non hanno considerato che la fattispecie ha un'articolazione bifasica e prevede la presenza di una dichiarazione mendace e di un’attività ingannatoria, chiamando in proposito le pronunzie di legittimità che hanno evidenziato il carattere residuale della norma incriminatrice rispetto al Decreto Legislativo n. 74 del 2000 articolo 2 e la necessità che gli "altri artifizi" evocati dalla stessa trovino comunque concretizzazione nelle scritture contabili del soggetto agente.
Per questa ragione, sostiene la difesa, nonostante a seguito dell'intervento riformatore effettuato con Decreto Legislativo n. 158 del 2015 sia stato espunto dalla norma l'espresso riferimento all'inciso "falsa rappresentazione delle scritture contabili obbligatorie" dalla struttura materiale del reato, persiste la necessità per ragioni di ordine logico sistematico che l'elemento mendace risulti incorporato nelle scritture contabili giacché solo per tal via si realizza l'effetto di sviamento sull’attività di accertamento dell'amministrazione finanziaria.
Nel caso in oggetto, nelle dichiarazioni dei redditi dell'indagata è ravvisabile una mera omessa dichiarazione rilevante ex Decreto Legislativo n. 74 del 2000 articolo 5, avendo l'ordinanza impugnata omesso di verificare che la pretesa attività ingannatoria abbia trovato rappresentazione a livello documentale e dichiarativo e di verificare in concreto l'esistenza di un’attività decettiva idonea a fuorviare l'amministrazione.
Inoltre, secondo la difesa, vi sono sufficienti elementi per dichiarare la giuridica impossibilità di configurare l'illecito fiscale in discorso, con ricadute anche sulla sussistenza del delitto di autoriciclaggio. A ben vedere, il tribunale ha ritenuto la sussistenza del fumus sulla base di elementi come la creazione di società estere fittizie ed inesistenti, l'utilizzo del contratto simulato e l'emissione della fattura falsa, condizioni poco convincenti per la configurazione dei reati in oggetto.
Pertanto, la difesa conclude per la giuridica impossibilità di configurare l'illecito fiscale in discorso, con ricadute anche sulla sussistenza del delitto di autoriciclaggio.
La ricorrente, in riferimento a quest’ultimo addebito, ravvisa un vizio logico nell'ordinanza impugnata che, escludendo il reimpiego in attività imprenditoriali e finanziarie mediante società già reputate inesistenti, addebita l'utilizzo di somme al pagamento dei costi di affitto di un immobile, senza escluderne tuttavia la punibilità proprio in ragione della mera destinazione delle somme ricevute, ai sensi del comma 4 dell'articolo 648ter.1 c.p.
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In riferimento all'eccezione di incompetenza territoriale sollevata dalla difesa, il Collegio ha sostenuto che i reati oggetto di provvisoria incolpazione sono oggettivamente connessi ai sensi dell'articolo 12 lettera b) c.p.p. e, con specifico riguardo alla dichiarazione fraudolenta e autoriciclaggio, in applicazione dell'articolo 16 c.p.p., ha individuato il primo degli atti del più grave delitto di autoriciclaggio nel pagamento di canoni di locazione della sede sita nella città di Milano.
La difesa ritiene, invece, che in presenza di connessione teleologica tra tutti i reati provvisoriamente ascritti, a norma dell'articolo 16 c.p.p. deve ravvisarsi il reato più grave nella fattispecie di riciclaggio, di cui la frode dichiarativa costituisce reato presupposto, con la conseguenza che detto illecito deve essere considerato parte dell'azione di riciclaggio, ed essendosi consumato il delitto ex articolo 3 nel circondario del Tribunale di Roma, a detta A.G. spetta la competenza a conoscere del procedimento.
La Corte ha chiarito che commette il delitto di riciclaggio colui che accetta di essere indicato come intestatario di beni che, nella realtà, appartengono a terzi e sono frutto di attività delittuosa, in quanto detta condotta, pur non concretizzandosi nel compimento di atti dispositivi, è comunque idonea ad ostacolare l'identificazione della provenienza del denaro[1].
Al fine di individuare il giudice territorialmente competente, l'ideazione e la programmazione dell’attività di riciclaggio, parte essenziale della condotta criminosa, rappresenta l’elemento fondamentale in grado di radicare la giurisdizione[2].
La Cassazione, quindi, ribadisce il principio, più volte affermato dalla giurisprudenza di legittimità, in base al quale in tema di riciclaggio, ai fini della determinazione della competenza territoriale, il reato realizzato con condotte frammentarie e progressive, affidate a plurimi soggetti che apportino il loro contributo in tempi e luoghi diversi, deve considerarsi consumato ove si realizza il primo atto, ancorché costituente un segmento della condotta tipica[3].
Nella specie, in Italia e precisamente nel milanese si sono realizzate non solo le condotte illecite generatrici del denaro riciclato ma anche tutte le attività di pianificazione dei canali di accreditamento del prezzo, di gestione di un conto strumentalmente nonché quelle successive, relative alla costituzione di una società presso la quale i fondi furono successivamente dirottati per poi essere retrocessi su conti riferibili all'indagata.
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[1] Cass. Sez. 2, n. 21687 del 05/04/2019; Sez. 6, n. 24548 del 22/05/2013.
[2] Cass. Sez. 2, n. 4583 del 10/12/2021; Sez. 6, n. 13085 del 03/10/2013; Sez. 2, n. 48017 del 13/10/2016.
[3] Cass. Sez. 2, n. 38105 del 08/04/2021.