L’acquisto di moneta virtuale con i profitti illeciti (cosiddetto bitcoin), poiché operazione riconducibile a “attività speculativa” finalizzata al conseguimento di un utile, può rientrare tra gli strumenti finanziari e speculativi presi in considerazione dalla norma incriminatrice dell'autoriciclaggio (art. 648 ter.1 c.p.).
Del resto, il sistema di acquisto di bitcoin si presta ad agevolare condotte illecite, in quanto è possibile garantire un alto grado di anonimato, senza tra l'altro alcun controllo sulla provenienza del denaro convertito.
Lo ha confermato la Cassazione penale sez. II, 07/07/2022, n. 27023.
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Con ordinanza del 17/12/2021 il Tribunale di Milano, in funzione di giudice del riesame cautelare, rigettava l'impugnazione proposta dal ricorrente avverso l'ordinanza del Gip di quello stesso tribunale del 23/11/2021 applicativa della misura della custodia carceraria, in relazione ai reati di truffa nonché del delitto di autoriciclaggio dell'incolpazione provvisoria.
Il ricorrente riteneva che le operazioni in questione non avessero la finalità speculativa indicata nel capo d'imputazione e che, in ogni caso, le regole del mercato di riferimento non consentissero di nascondere l'identità dell'acquirente, essendo incentrate su criteri di trasparenza.
Secondo la Suprema Corte, anche la moneta virtuale (nel qual caso il bitcoin) può rientrare tra gli strumenti finanziari e speculativi presi in considerazione dalla norma incriminatrice dell'autoriciclaggio, poiché l'indicazione normativa ex art. 648 ter.1 c.p., delle attività (economiche, finanziarie, imprenditoriali e speculative) in cui il denaro, profitto del reato presupposto, può essere impiegato o trasferito, lungi dal rappresentare un elenco formale delle attività suddette, appare piuttosto diretta ad individuare delle macro aree, tutte accomunate dalla caratteristica dell'impiego finalizzato al conseguimento di un utile, con conseguente inquinamento del circuito economico, nel quale, vengono immessi denaro o altre utilità provenienti da delitto e delle quali il reo vuole rendere non più riconoscibile la loro provenienza delittuosa.[1]
Conseguentemente, anche l’operazione di acquisto di valute virtuali può essere ricondotta ad “attività speculativa”, poiché possono essere utilizzate per scopi diversi dal pagamento e comprendere prodotti di riserva di valore a fini di risparmio ed investimento nell’ottica del raggiungimento di un utile, anche assumendosi il rischio di considerevoli perdite.
Del resto, il sistema di acquisto di bitcoin si presta ad agevolare condotte illecite, in quanto è possibile garantire un alto grado di anonimato (sistema cd. permissionless), senza previsione di alcun controllo sull'ingresso di nuovi “nodi” e sulla provenienza del denaro convertito.
[1] Cass. sez. 2, sent. n. 13795 del 07/03/2019