Nell’ultimo anno si è riaccesa l’inflazione in Italia come nei principali paesi sviluppati. In parte a causa della ripresa della domanda e degli stimoli fiscali messi in atto dai governi, come ad esempio è avvenuto negli Stati Uniti, e per altra parte a causa di problemi che hanno agito dal lato dell’offerta dopo la ripresa post-pandemica e recentemente a causa del rialzo dei prezzi energetici che soprattutto in Europa si sono verificati a causa dello scoppio del conflitto in Ucraina.
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Prima di parlare di come l’inflazione influenza i bilanci delle imprese, si ritiene opportuno fornire alcune rapide definizioni economiche.
L’inflazione è l’aumento generale e duraturo del livello dei prezzi e può dipendere da diversi fattori:
La formula matematica dell’aumento dei prezzi è così configurabile:
1. Pt0 = Pt1-Pt-0
Pt-0
La variazione dei prezzi al tempo t con zero è data dal rapporto tra la variazione intervenuta nel livello dei prezzi tra il tempo t con zero e il tempo t meno uno (ovvero il periodo precedente) e il valore dei prezzi al tempo t meno uno.
L’ISTAT calcola per il nostro paese l’indice denominato NIC che rappresenta l’indice dei prezzi al consumo per l’intera collettività. Esiste poi anche un indice per il confronto dei prezzi con gli altri paesi UE: IPCA.
Un ulteriore indice è il deflattore del PIL dato dal rapporto tra il PIL nominale (cioè il prodotto interno lordo a prezzi correnti) e il PIL reale (ovvero il prodotto espresso a prezzi costanti). Il deflattore è diverso dall’indice dei prezzi al consumo perché quest’ultimo riguarda i beni consumati e quindi comprende i beni importati, che non risultano invece nel calcolo del PIL. Il deflattore inoltre tiene conto delle variazioni intervenute nei beni capitali che non sono compresi nel NIC.
Calcolare l’inflazione è importante perché ci permette di confrontare i valori monetari nel tempo; ad esempio se un bene non cambia caratteristiche ed è quindi sostanzialmente invariato per prestazioni e qualità e viene venduto al tempo t al prezzo di euro 10 e al tempo t+1 al prezzo di 11 euro, potremmo concludere che, in assenza di variazioni qualitative e in assenza di aumenti dei costi di produzione che possono aver influenzato il prezzo, la variazione intervenuta esprime la riduzione del valore monetario del 10% dal tempo t+1 al tempo t+0. Infatti, se applichiamo la 1 avremo:
P = 11-10/10 = 0,1 = 10%
Il valore di alcuni beni o di alcuni servizi è indicizzato per legge (vedi TFR, canoni di locazione etc), in altri casi le clausole di indicizzazione vengono usate nei contratti per proteggere le prestazioni e le vendite, soprattutto se periodiche e continuative, appunto dal deprezzamento.
In questi periodi l’uso di queste clausole, ad esempio nei contratti di appalto, è di assoluta importanza e può tutelare le imprese da variazioni brusche dell’inflazione.
L’inflazione è un concetto molto importante anche per i tassi di interesse. Il tasso di interesse è spesso espresso in termini nominali e ci consente di poter valutare la crescita di un asset finanziario (o di una data quantità di moneta) nel tempo.
Il tasso di interesse reale è dato dalla differenza tra il tasso di interesse nominale e il tasso di inflazione secondo la seguente formula:
2. Ir = In – P (Ir è il tasso di interesse reale, In è il tasso di interesse nominale e P il tasso di inflazione)
possiamo dire che il tasso di interesse reale ci dice il tasso di crescita della moneta nel tempo in termini di potere di acquisto.
Per dovere di precisione la formula corretta per calcolare il tasso di interesse reale è diversa ed è la seguente:
3. Ir + 1 = 1 + In / 1 + P oppure Ir = (1 + In / 1 + P) - 1
Quindi se il tasso nominale è del 9% e l'inflazione ammonta al 5%, il tasso reale con la formula numero due sarebbe del 4% mentre con la formula numero tre è del 3,8%.
A livello macroeconomico la crescita dell’inflazione è contrastata dalle banche centrali con l’incremento dei tassi di interesse e questo effetto può scoraggiare gli investimenti delle imprese che si troverebbero a sostenere costi finanziari maggiori prendendo in prestito il denaro. Quindi l’inflazione può agire a livello microeconomico riducendo, o scoraggiando, la possibilità di indebitarsi per finanziare nuovi progetti.
Allo stesso tempo il tasso di interesse, che cresce per effetto delle politiche di contrasto all’inflazione, è usato anche per attualizzare i flussi di cassa che si usano nello sviluppo dei piani industriali e con i quali si ipotizza l’andamento della redditività o della liquidità per un dato progetto. Quindi, un maggiore tasso di interesse usato per attualizzare i flussi tende a diminuire il valore dei flussi stessi, rendendo meno appetibile l’investimento.
Per i motivi esposti è chiaro che l’inflazione riduce il valore della liquidità che le imprese hanno depositata nei conti correnti bancari; potrebbe essere opportuno attivare, compatibilmente con le scorte di riserve liquide indisponibili perché necessarie all’ordinaria gestione dei pagamenti, depositi vincolati a breve per recuperare interessi e ridurre il deprezzamento.
La diminuzione del valore del denaro per effetto dell’inflazione dovrebbe indurre le imprese ad una gestione più efficiente del capitale circolante, in particolare dei crediti e del magazzino scorte.
In effetti se la liquidità perde valore nel tempo può essere consigliabile usarla per acquistare beni e fare scorte, in modo da ridurre l’effetto deprezzamento evitando anche possibili rincari di prezzi da parte dei fornitori.
Per le stesse ragioni può essere utile cercare di anticipare l’incasso dei crediti verso clienti per impiegare le risorse nell’acquisto di beni per la produzione.
Un ulteriore effetto lo vediamo sugli ammortamenti.
Ragionando a valori correnti sia i ricavi che i costi espressi in termini monetari sono soggetti al fenomeno dell’inflazione, mentre gli ammortamenti si applicano sul costo storico e quindi su un valore fisso e determinato.
In questo modo un indice di redditività importante come il ROI può essere falsato nel suo risultato finale; ciò accade perché il reddito operativo al numeratore espone ricavi e costi a valori correnti (fatta eccezione per l’ammortamento calcolato sul costo storico), quindi che incorporano l’andamento dei prezzi, mentre al denominatore il capitale investito è espresso a valori storici. Il risultato è quello di avere un valore più elevato dell’indice, ma non totalmente rappresentativo di una maggiore redditività.
Un ulteriore effetto indiretto dell’inflazione, quello cioè determinato dall’aumento dei tassi di interesse attivati dalle banche centrali per contrastare l’aumento dei prezzi, è rappresentato dalla crescita degli oneri finanziari sui contratti bancari e in particolare sui prestiti contratti a tassi variabili, in assenza di specifiche coperture.
L’aumento dei tassi si scaricherà sul conto economico mediante un incremento degli oneri finanziari. E’ altresì vero che il peso dei debiti per effetto dell’inflazione tende a diminuire.
Ad esempio, se un’impresa ha contratto un debito al tempo T di 100 euro e siamo in presenza di inflazione se restituisce i 100 euro di debito in 5 anni (20 euro l’anno in quota capitale) e ci troviamo al tempo T1 il rimborso della rata di 20 euro ha un minore valore in termini di potere di acquisto sia per chi la riceve, il finanziatore, sia per chi la eroga, l’impresa. Ecco perché i debiti in caso di aumento dei prezzi hanno in genere un minor peso. Infatti, il debitore rimborsa il debito usando una somma di denaro “svalutata” che non gli consentirebbe di fare gli stessi acquisti che avrebbe potuto fare al tempo T.
Anche gli interessi che si restituiscono hanno un peso inferiore in termini reali, in particolare in ipotesi di tasso fisso o di tasso variabile che non riflette interamente il tasso di inflazione.
Anche i costi per i salari possono subire, per via dell’indicizzazione in sede di rinnovo dei contratti, incrementi che possono deprimere il reddito operativo. Un altro effetto negativo sui bilanci delle imprese è dato dal balzo del costo delle forniture energetiche, a cui stiamo assistendo in questi periodi; questi aumenti pesano sul conto economico delle imprese che non sempre, soprattutto nei mercati concorrenziali, riescono ad aumentare i prezzi di vendita, vedendo diminuire la propria competitività.
Potrebbe essere utile per le imprese calcolare periodicamente il proprio tasso di inflazione applicando la formula al numero 1, ai prezzi dei beni e servizi acquistati, ponderati secondo i volumi. In questo modo si potrebbe comprendere il reale effetto dell’inflazione sui bilanci in termini di redditività.
L’inflazione associata a scenari come quelli attuali aumenta l’incertezza agendo sulle aspettative e complicando le previsioni di investimento nel medio e lungo periodo.
Le soluzioni sono difficili ma una attenta pianificazione e analisi di gestione, economica e finanziaria, può consentire alle imprese di evitare un peggioramento delle proprie performance.
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