Prima della riforma del processo tributario l’art. 7, comma 4, del d.lgs. 31.12.1992, n. 546, non ammetteva il giuramento né la prova testimoniale.
Per effetto dell’art. 4, comma 1, lett. c), della legge di riforma, per i ricorsi notificati a decorrere dalla data della sua entrata in vigore della stessa, ferma restando l’esclusione del giuramento, è ammessa la prova testimoniale.
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Non è ammesso il giuramento. La corte di giustizia tributaria, ove lo ritenga necessario ai fini della decisione e anche senza l’accordo delle parti, può ammettere la prova testimoniale, assunta con le forme di cui all’articolo 257-bis del codice di procedura civile. Nei casi in cui la pretesa tributaria sia fondata su verbali o altri atti facenti fede fino a querela di falso, la prova è ammessa soltanto su circostanze di fatto diverse da quelle attestate da pubblico ufficiale. |
La norma ribadisce la regola di esclusione del giuramento. Tuttavia, apre la strada, seppure timidamente, ma con aspetto sostanziale, alla prova testimoniale superando, quindi, la regola della natura cartolare del processo tributario..
L’apertura, però, ha un oggetto limitato poiché la prova testimoniale può essere ammessa soltanto qualora “sia fondata su verbali o altri atti facenti fede sino a querela di falso” e “su circostanze di fatto diverse da quelle attestate dal pubblico ufficiale”.
Il testo previgente dell’art. 7, comma 4, del d.lgs. 31.12.1992, n. 546, escludendo la prova testimoniale non garantiva il principio di parità delle parti processuali.
La nuova disposizione, sia pure timidamente, cerca di ovviare al divieto con una soluzione innovativa, seppure criticabile ma importante.
Ove lo ritenga necessario, anche senza l’accordo delle parti, la corte di giustizia tributaria, sia in primo grado sia in secondo grado, può ammettere la prova testimoniale seppure in forma scritta e soltanto con le forme previste dall’art. 257-bis del codice di procedura civile. Vige il vincolo limitativo: la pretesa tributaria deve essere “fondata su verbali o altri atti facenti fede sino a querela di falso” ma soltanto ”su circostanze di fatto diverse da quelle attestate dal pubblico ufficiale”.
Il contribuente può richiedere di avvalersi della prova testimoniale, ma soltanto in forma scritta.
La prova testimoniale non è liberamente utilizzabile: anche senza l’accordo delle parti, la corte di giustizia tributaria, tenuto conto della natura della causa e di ogni altra circostanza, può decidere di disporre l’assunzione della deposizione chiedendo al testimone di fornire per iscritto, entro un termine prefissato, le risposte sui quesiti sui quali deve essere interrogato (art. 257-bis, primo comma c.p.c.)
La deposizione, quindi, non è libera: il provvedimento adottato impone alla parte che ha inoltrato la richiesta di predisporre il modello di testimonianza in conformità agli articoli ammessi e di notificare l’atto al testimone.
Anche la risposta del testimone deve essere conforme a precisi vincoli: non è ammessa una risposta di tipo libero. Pertanto il testimone deve osservare la seguente procedura:
Se il testimone si avvale della facoltà di astenersi, di cui all’art. 249 c.p.c., ha l’obbligo di compilare il modello e di indicare le complete generalità e i motivi per i quali si astiene.
L’inosservanza dell’obbligo di spedizione o consegna delle risposte scritte entro il termine assegnato può comportare la condanna al pagamento della pena pecuniaria di cui all’art. 255, primo comma, cioè di importo non inferiore a 100 euro e non superiore a 1.000.
L’innovazione, però, a causa della macchinosità della procedura non sembra suscitare entusiasmo per le parti, soprattutto per il contribuente. A ciò si aggiungono i tempi tecnici: se, da un lato, il legislatore cerca di accelerare i tempi per la conclusione delle cause tributarie, dall’altro, invece, presumibilmente la procedura porterà ad un loro allungamento. In qualsiasi caso, la problematica va riferita all’organo giudicante che è chiamata a valutare l’ammissione della prova testimoniale.
Tuttavia una scrematura delle controversie che possono avvalersi dell’art. 7, comma 4, è costituita dal secondo periodo che limita, in maniera non indifferente poiché, se l’avviso di accertamento ha come cardine quanto è esposto nei verbali o in altri atti facenti fede sino a querela di falso, la prova testimoniale è ammessa soltanto su circostanze diverse da quelle attestate dal pubblico ufficiale.
Siccome l’accertamento è fondato sul verbale (art. 24 della l. 7.1.1929, n. 4) che viene redatto e attestato da funzionari civili o dalla Guardia di finanza, la prova testimoniale potrebbe essere esclusa se l’atto impositivo è privo del presupposto del processo verbale di constatazione e ovvero se nel verbale di constatazione sono indicate anche valutazioni (ad es., il valore delle rimanenze, l’utilizzazione di coefficienti di ricarico applicati al costo della merce, ecc.).
Purtroppo, il legislatore non ha chiarito questa problematica.
La prova testimoniale non può essere invocata per contestare le dichiarazioni, sia di terzi sia del contribuente stesso, che sono state verbalizzate aventi per oggetto fatti specifici. In tali circostanze, è possibile invocare la revoca della confessione determinata da errori di fatto (art. 2932) ovvero ricorrere alla querela di falso qualora la falsità fosse stata trascritta nel verbale.
Va considerata anche la posizione delicata del testimone che, presumibilmente, verrà coinvolto nel processo tributario da parte del contribuente per confutare le risultanze del processo verbale di constatazione, ma “soltanto su circostanze di fatto diverse da quelle attestate dal pubblico ufficiale”.
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