L'esercizio di usucapione su una parte comune del condominio non è un’operazione impossibile ma certamente complessa. Bisogna considerare però che, in mancanza del titolo ed indipendentemente dalle caratteristiche strutturali del sottotetto, ciascun condomino, qualora ricorrano i requisiti previsti dalla legge, potrebbe sempre usucapire un vano comune.
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Qualora assolva all’esclusiva funzione di isolare e proteggere la l’abitazione sottostante dal caldo, dal freddo e dall'umidità, fungendo da camera d'aria isolante, il sottotetto è da considerare pertinenza dell'appartamento sito all'ultimo piano.
In tal caso questo locale, ponendosi in rapporto di dipendenza con i vani stessi, cui serve da protezione, non può essere separato dai locali sottostanti di proprietà esclusiva di un condomino senza che si verifichi l'alterazione del rapporto di complementarietà dell'insieme. Tale situazione ricorre certamente se tale vano è di altezza limitata e privo di prese d’aria, risulta esattamente sovrapponibile al sottostante appartamento, non è collegato da scale condominiali, non è dotato di pavimentazione.
Quando, invece, il sottotetto abbia dimensioni e caratteristiche strutturali tali da consentirne l'utilizzazione come vano autonomo, in tal caso la sua appartenenza va determinata in base al titolo.
In mancanza del titolo, deve farsi riferimento alle sue caratteristiche strutturali e funzionali, sicché, quando il sottotetto sia oggettivamente destinato (anche solo potenzialmente) all'uso comune o all'esercizio di un servizio di interesse comune, può applicarsi la presunzione di comunione ex art. 1117 c.c., comma 1.
In primo luogo merita di essere sottolineato che il godimento esclusivo della cosa comune da parte di uno dei condomini, in ragione della peculiare ubicazione del bene e delle possibilità di accesso ad esso, non è comunque, di per sé, idoneo per usucapire, essendo, per converso, comunque necessaria, a fini di usucapione, la manifestazione del dominio esclusivo sul bene comune da parte dell’interessato attraverso un’attività apertamente contrastante ed incompatibile con il possesso altrui, gravando l’onere della relativa prova su colui che invochi l’avvenuta usucapione del bene. Così, ad esempio, per usucapire il sottotetto sarà necessaria la chiusura della porta di accesso a tale vano con un lucchetto di cui solo l’interessato all’usucapione conserva le chiavi. Al contrario l’utilizzo del bene comune da parte di un condomino in modo più intenso rispetto agli altri non determina l’insorgenza dell’usucapione. Infatti, ciascun comproprietario ha il diritto a trarre dal bene comune una maggiore utilità, purché non impedisca il pari uso degli altri o alteri la destinazione del bene.
Occupare il sottotetto con numerosi scatoloni, lasciando però la possibilità di accedere a tale locale anche agli altri condomini che tollerano la situazione, non porterà mai ad usucapire tale parte comune. In ogni caso non è indispensabile che vi sia l’elemento soggettivo della buona fede, ma dovrà pur sempre trattarsi di un’attività corrispondente all’esercizio della proprietà o di altro diritto reale (ed il possesso – che deve essere accompagnato dall’intenzione di esercitare un potere sulla cosa usucapita - deve protrarsi ininterrottamente per venti anni o 10 anni se è stato acquistato in buona fede in base ad un titolo trascritto astrattamente idoneo a trasferire la proprietà).
Nel caso in cui un condomino si rivolga all’autorità giudiziaria per l’accertamento dell’avvenuta usucapione del sottotetto, l’amministratore non sarà coinvolto direttamente nel giudizio, non rivestendo la sua rappresentanza ex art. 1130 c.c. il potere sui diritti individuali dei singoli condomini c.
Questi dovranno partecipare direttamente al processo di accertamento dell’eventuale intervenuto acquisto del bene comune.
In altre parole il contraddittorio va esteso a tutti i condomini, incidendo la domanda sull’estensione dei diritti dei singoli.
In tale ipotesi, quindi, i singoli condomini, comproprietari delle parti comuni in ragione dei rispettivi millesimi, sono litisconsorti necessari unitamente all'amministratore condominiale e, non già, possono esser rappresentati da quest'ultimo senza apposito mandato.
Del resto, anche se un condomino, convenuto dall’amministratore con azione di rilascio del sottotetto comune, proponga non un’eccezione riconvenzionale di usucapione, al fine limitato di paralizzare la pretesa avversaria, ma una domanda riconvenzionale diretta a conseguire la dichiarazione di proprietà esclusiva del bene, viene meno la legittimazione passiva dell’amministratore rispetto alla “controdomanda”, dovendo la stessa, svolgersi nei confronti di tutti i condomini, in quanto viene dedotto in giudizio un rapporto plurisoggettivo unico e inscindibile su cui deve decidere la richiesta pronuncia giudiziale.
Nell'ipotesi di illegittima occupazione del sottotetto da parte di un altro condomino (finalizzata ad usucapire il sottotetto) si deve precisare che non è azione di restituzione ma di rivendicazione quella con cui l'attrice chieda di dichiarare abusiva ed illegittima l'occupazione di un immobile di sua proprietà da parte del convenuto, con conseguente condanna dello stesso al rilascio del bene e al risarcimento dei danni da essi derivati.
La domanda di restituzione, infatti, presuppone l'esistenza di un rapporto obbligatorio personale inter partes e dunque è volta ad ottenere l'adempimento dell'obbligazione di ritrasferire una cosa precedentemente trasmessa dall'attore al convenuto in forza di negozi (quali la locazione, il comodato ecc.).
Al contrario, l'azione di rivendica viene chiesta nei confronti di chi dispone di fatto del bene nell'assenza anche originaria di ogni titolo (Trib. Firenze 13 gennaio 2022 n. 50).