Speciale Pubblicato il 22/03/2022

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Regime impatriati inapplicabile dopo il distacco se c’è continuità contrattuale

di Soro Dott. Paolo

Nuovo caso di rimpatrio dopo distacco transnazionale e richiesta di regime agevolato analizzata dall'Agenzia nella Risposta n. 119 2022



Il dirigente assunto all’estero e contestualmente posto in distacco transnazionale, può, in caso di impatrio in Italia, usufruire del regime speciale solo se tale impatrio non sia conseguenza della naturale scadenza del distacco, ma sia determinato da altri elementi funzionali. 

In particolare, il regime è sempre precluso laddove vi sia continuità con le originarie condizioni contrattuali in essere al momento dell'espatrio.

Lo afferma l'Agenzia nel nuovo interpello n. 119 del 17 marzo 2022.

Il caso è stato  sottoposto da una  Società  che  nel 2014, ha assunto alle proprie dipendenze un dirigente, quale Responsabile della filiale americana sita a New York, disponendone contestualmente il distacco all'estero per tre anni. Il contratto in questione è poi stato ulteriormente prorogato nel 2017 e nel 2019. 

Tutt’oggi, il distacco all'estero è ancora in essere. 

Ora, però, la società ha intenzione di cessare tale distacco, facendo rientrare il dirigente in Italia.

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I quesiti formulati nell'Interpello n. 119 2022

L'istante chiede se, in caso di rientro in Italia a seguito del periodo di distacco, il dipendente possa accedere al beneficio fiscale previsto dall'articolo 16, comma 1, del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 147.

Ritiene, infatti, l’istante che la fattispecie rappresentata non trovi puntuale disciplina alla luce dei chiarimenti forniti con i documenti di prassi pubblicati in materia (circolare n. 17/E del 23 maggio 2017, risoluzione n. 76/E del 5 ottobre 2018, circolare n. 33/E del 28 dicembre 2020), in quanto la posizione del dirigente rientrato in Italia dopo un distacco estero contestuale all'inizio del rapporto di lavoro, pur rientrando formalmente nel caso particolare illustrato dalla circolare n. 33/E del 2020 al paragrafo 7.1 (Contribuenti che rientrano a seguito di distacco all'estero), nella sostanza può essere invece considerata una fattispecie assimilabile a quella di un lavoratore impatriato.

Peraltro, l'esistenza del distacco contestuale all'assunzione non consente di verificare una delle condizioni richieste dalla medesima circolare, che consiste  nel confrontare il ruolo aziendale assunto dal dirigente al suo rientro in Italia rispetto a quello originario (ruolo mai svolto in Italia). 

Pertanto, la società istante ritiene che il reddito da lavoro dipendente prodotto in Italia dal dirigente che trasferisce la residenza in Italia dopo il distacco all'estero intervenuto contestualmente all'inizio del rapporto di lavoro, concorre alla formazione del reddito complessivo limitatamente al 30% del suo ammontare, per effetto del disposto di cui all'articolo 16, comma 1 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 147. 

Invero, sul punto occorre preliminarmente osservare come, seppure dalla lettura della norma non si riscontri alcun elemento in forza del quale far valere una preclusione afferente alle ipotesi del distacco, nella circolare 33/2020 e anche nella recentissima risposta a interpello 85/2022 (per citare solo le indicazioni più chiare emanate), l’Agenzia ha sempre precisato e ribadito in maniera incontestabile che il regime speciale è precluso se vi è continuità contrattuale nelle fattispecie di distacco. 

Tale interpretazione risulta essere necessitata dal fine di scongiurare eventuali ipotesi evidentemente elusive a cui, in caso contrario, la norma in esame (non certo esente da miglioramenti) presterebbe facilmente il fianco. 

Inoltre, non appare affatto convincente l’argomentazione addotta in forza della quale il dirigente è stato assunto e contestualmente distaccato all’estero, posto che trattasi comunque di assunzione (tecnicamente e formalmente) avvenuta in Italia. 

In questo, francamente non può assumere alcuna rilevanza la circostanza che il dipendente non abbia di fatto fisicamente prestato la sua attività lavorativa in Italia, prima di essere comandato in distacco negli Stati Uniti. 

Potremmo, anzi, osservare come l’interpretazione dell’Amministrazione sia stata dettata proprio per escludere il verificarsi di simili ipotesi elusive della ratio della legge. 

La risposta dell’Agenzia delle entrate su regime impatriati e distacco

L’Agenzia delle entrate, dopo aver richiamato la disposizione di interesse nel caso specifico, ricorda che, in relazione alla predetta disposizione, sono stati forniti chiarimenti, da ultimo, anche con circolare n. 33/E del 28 dicembre 2020. 

Con riferimento, nello specifico, ai contribuenti che rientrano in Italia a seguito di distacco all'estero, la citata circolare n. 33/E (par. 7.1) ha chiarito che nell'ipotesi di distacco all'estero con successivo rientro, il beneficio fiscale in esame non spetta: “In presenza del medesimo contratto presso il medesimo datore di lavoro”. 

Come era presumibile nella concreta fattispecie qui oggetto dell’istanza di interpello, l’Agenzia ritiene al riguardo che tale preclusione non possa che sussistere anche qualora – ipotesi de quo – il distacco all'estero sia stato disposto contestualmente all'assunzione del lavoratore. 

A fortiori, inoltre, dall’analisi della documentazione contrattuale trasmessa dalla società istante, risulta proprio che, al rientro in Italia del dipendente, il rapporto di lavoro sarebbe regolato dal medesimo contratto stipulato al momento dell'assunzione, e che il rientro avverrà presso il medesimo datore di lavoro che lo aveva assunto. 

In proposito, l’Agenzia tiene comunque a puntualizzare quanto segue: 

“Nella citata circolare n. 33/E del 2020, è stato precisato, richiamando la risoluzione n. 76/E del 5 ottobre 2018, che tale posizione restrittiva, finalizzata a evitare un uso strumentale dell'agevolazione in esame, non in linea con la vis attrattiva della norma, non preclude, tuttavia, la possibilità di valutare specifiche ipotesi in cui il rientro in Italia non sia conseguenza della naturale scadenza del distacco ma sia determinato da altri elementi funzionali alla ratio della norma agevolativa nelle ipotesi elencate, in via esemplificativa, nella medesima circolare”. 

In pratica, l’Ufficio (a ulteriore dimostrazione del particolare favore di cui gode il regime in parola presso l’Amministrazione finanziaria) si espone marcatamente, quasi suggerendo al contribuente la maniera tramite la quale riuscire a conseguire le agevolazioni di riferimento; cosa, a dire il vero, più unica che rara, specialmente in un interpello. 

Ciononostante, la Direzione centrale non può che rispondere, ribadendo come, nella fattispecie prospettata, tuttavia, la continuità delle originarie condizioni contrattuali in essere al momento dell'espatrio precluda l'accesso al regime speciale di cui al citato articolo 16, decreto legislativo n. 147 del 2015.  

Continuità contrattuale - cosa si intende?

Prima di chiudere, giova allora ribadire per l’ennesima volta cosa s’intende con il termine “continuità”. 

L’ufficio ha chiarito che i termini e le condizioni contrattuali, indipendentemente dal "nuovo" ruolo aziendale e dalla relativa retribuzione, non debbano rimanere di fatto immutati al rientro presso il datore di lavoro, in virtù di intese di varia natura (esempio: sottoscrizione di clausole inserite nelle lettere di distacco ovvero negli accordi con cui viene conferito un nuovo incarico aziendale), dalle quali si evinca che, sotto il profilo sostanziale, continuano invece ad applicarsi le originarie condizioni contrattuali in essere prima dell'espatrio. 

All’uopo, sono considerati indici di “continuità”: 

Viceversa, nell’ipotesi in cui le condizioni oggettive del nuovo contratto (prestazione di lavoro, termine, retribuzione) richiedano un nuovo rapporto che vada a sostituire quello previgente, con nuove e autonome situazioni giuridiche cui segua pure un mutamento sostanziale dell'oggetto della prestazione e del titolo del rapporto, l'impatriato ben potrà accedere al regime speciale di favore.



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