In data 14 dicembre la Camera ha approvato il testo di conversione in legge del DL n. 146/2021 (cd. Decreto Fiscale).
Per il Terzo settore il decreto in esame prevede il passaggio da un regime di esclusione Iva, ad un regime di esenzione IVA.
Una importante novità, di cui si è discusso (e criticato) molto nei giorni scorsi, in quanto andrà a gravare gli ETS di ulteriori adempimenti, che vanno a sommarsi a quelli previsti dal recente avvio del RUNTS e dall’obbligo di adeguamento degli statuti (31 maggio 2022), senza considerare gli effetti prodotti dalla pandemia.
Al fine di allinearsi al nuovo regime IVA gli ETS dovrebbero – entro il 1°gennaio 2022 – aprire, in primis, una partita Iva.
Valutando i tempi stretti della riforma, si auspica che il legislatore possa prevedere, magari anche in sede di approvazione della legge di bilancio, una proroga del termine, visto anche che siamo (ancora) in attesa dell’Autorizzazione della Commissione europea sulle previsioni fiscali contenute nella riforma del Terzo settore (tra cui, ad esempio, proprio il regime forfetario IVA previsto dall’art. 86, comma 7 CTS per le ODV e APS).
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Nello specifico, l’articolo 5, dal comma 15-quater al comma 15-sexies, interviene sulla disciplina dell’IVA con una serie di modifiche volte a ricomprendere tra le operazioni effettuate nell’esercizio di impresa, o considerare in ogni caso avente natura commerciale, una serie di attività attualmente escluse.
Tali operazioni vengono, dunque, ricomprese nel regime di esenzione ai fini dell’imposizione IVA (comma 15-quater). Inoltre, in attesa della piena operatività delle disposizioni (fiscali) del Codice del terzo settore, si applicherà il regime IVA speciale c.d. forfetario alle operazioni delle organizzazioni di volontariato e alle associazioni di promozione sociale che hanno conseguito ricavi non superiori a euro 65.000 (comma 15-quinquies).
Di seguito una sintesi delle modifiche apportate al D.P.R. n. 633 del 1972
a) si modifica l’articolo 4 DPR n. 633/72, stabilendo che vengono ora ricomprese tra le cessioni effettuate nell’esercizio di imprese, le cessioni di beni e le prestazioni di servizi ai soci, associati o partecipanti verso pagamento di corrispettivi specifici (o di contributi supplementari determinati in funzione delle maggiori o diverse prestazioni alle quali danno diritto).
Vi rientrano anche quelle prestazioni - escluse dal testo originario dell’articolo 4, comma 4, del D.P.R. n. 633 del 1972 - effettuate in conformità alle finalità istituzionali da associazioni politiche, sindacali e di categoria, religiose, assistenziali, culturali, sportive dilettantistiche, di promozione sociale e di formazione extra-scolastica della persona, anche se rese nei confronti di associazioni che svolgono la medesima attività e che per legge, regolamento o statuto fanno parte di un’unica organizzazione locale o nazionale, nonché dei rispettivi soci, associati o partecipanti e dei tesserati dalle rispettive organizzazioni nazionali.
b) si mira a considerare in ogni caso commerciali, ancorché esercitate da enti pubblici, anche le cessioni di pubblicazioni delle associazioni politiche, sindacali e di categoria, religiose, assistenziali, culturali, sportive dilettantistiche, di promozione sociale e di formazione extra-scolastica della persona cedute prevalentemente ai propri associati; le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate in occasione di manifestazioni propagandistiche dai partiti politici rappresentati nelle Assemblee nazionali e regionali.
c) per le associazioni di promozione sociale (APS) ricomprese tra gli enti di cui all’articolo 3, comma 6, lettera e), della legge n. 287 del 1991 (si tratta di mense aziendali e spacci annessi ai circoli cooperativi ed enti a carattere nazionale), le cui finalità assistenziali siano riconosciute dal Ministero dell’Interno, si considera adesso commerciale la somministrazione di alimenti e bevande svolta presso le sedi in cui viene si esercita l’attività istituzionale, da bar ed esercizi similari, sempreché tale attività sia strettamente complementare a quelle svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali e sia effettuata nei confronti dei soci, associati o partecipanti verso pagamento di corrispettivi specifici (o di contributi supplementari determinati in funzione delle maggiori o diverse prestazioni alle quali danno diritto).
d) L’art. 4, comma 15 quater in esame dispone anche l’abrogazione dei commi sesto, settimo e ottavo dell’art. 4, DPR n. 633/1972. Ciò comporta che si considerano comunque effettuate nell’esercizio di attività commerciali anche le cessioni di beni e le prestazioni di servizi ai soci, associati o partecipanti verso pagamento di corrispettivi specifici (o di contributi supplementari determinati in funzione delle maggiori o diverse prestazioni alle quali danno diritto), poste in essere da associazioni religiose riconosciute dalle confessioni con le quali lo Stato ha stipulato patti, accordi o intese, nonché alle associazioni politiche, sindacali e di categoria. Viene infatti meno l’obbligo dei due requisiti statutari previsti dall’articolo 4, comma 7, lettere c) ed e), del D.P.R n. 633 del 1972.
Restano, invece, invariate le disposizioni sulla perdita della qualifica di ente non commerciale previste dal TUIR che si applicano anche ai fini dell’imposta sul valore aggiunto.
Si inseriscono, all’articolo 10 del D.P.R. n. 633 del 1972, dopo il terzo comma, due successivi commi in base ai quali: l’esenzione dall’IVA prevista dall’articolo 10 (Operazioni esenti dall’imposta) si applica a ulteriori operazioni espressamente elencate, a condizione di non provocare distorsioni della concorrenza a danno delle imprese commerciali soggette all’IVA.
Nel dettaglio ci si riferisce a:
Inoltre, queste operazioni se rese nei confronti di soggetti diversi dovranno ora essere considerate imponibili.
Le disposizioni, tuttavia si applicano a condizione che: le associazioni interessate prevedano il divieto di distribuire, anche in modo indiretto, utili o avanzi di gestione nonché fondi, riserve o capitale durante la vita dell’associazione, salvo che la destinazione o la distribuzione non siano imposte dalla legge; inoltre, si conformino a specifiche clausole, da inserire nei relativi atti costitutivi o statuti redatti nella forma dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata o registrata, ovvero alle corrispondenti clausole previste dal decreto legislativo n. 117 del 2017. Mi riferisco a:
a) obbligo di devolvere il patrimonio dell’ente, in caso di suo scioglimento per qualunque causa, ad altra associazione con finalità analoghe o ai fini di pubblica utilità;
b) disciplina uniforme del rapporto associativo e delle modalità associative volte a garantire l’effettività del rapporto medesimo;
c. obbligo di redigere e di approvare annualmente un rendiconto economico e finanziario secondo le disposizioni statutarie;
d. eleggibilità libera degli organi amministrativi, principio del voto singolo (ex art. 2532, secondo comma, Codice civile), sovranità dell’assemblea dei soci, associati o partecipanti e i criteri di loro ammissione ed esclusione, criteri e idonee forme di pubblicità delle convocazioni assembleari, delle relative deliberazioni, dei bilanci o rendiconti;
e. intrasmissibilità della quota o contributo associativo ad eccezione dei trasferimenti a causa di morte e non rivalutabilità della stessa.
Le disposizioni di cui alle lettere b) e d) non si applicano alle associazioni religiose riconosciute dalle confessioni con le quali lo Stato ha stipulato patti, accordi o intese, nonché alle associazioni politiche, sindacali e di categoria.
Il comma 15-quinquies precisa che, in attesa della piena operatività delle disposizioni del titolo X del decreto legislativo n. 117 del 2017, recante il Codice del Terzo settore, le organizzazioni di volontariato e le associazioni di promozione sociale che hanno conseguito ricavi ragguagliati ad anno, non superiori a euro 65.000, applicano, ai soli fini dell’imposta sul valore aggiunto, il regime speciale di cui all’articolo 1, commi da 58 a 63, della legge di stabilità 2015 (legge n. 190 del 2014), ovvero il regime forfetario.
Tale regime comporta rilevanti semplificazioni ai fini IVA e, infatti, coloro che lo applicano:
Entro il 1° gennaio 2022 – salvo un’auspicata proroga – gli enti che non ne siano già in possesso devono provvedere all’apertura di una partita Iva.
Il passaggio, infatti, dal “fuori campo Iva” al regime di “esenzione IVA” non è un’operazione economicamente neutra ma comporta oneri e costi di tenuta della contabilità.
Gli enti che non optano per il richiamato regime forfetario sono tenuti a provvedere alla fatturazione (elettronica), effettuare la liquidazione periodica IVA e, ovviamente, tenere i registri obbligatori.
Possono tuttavia scegliere per la dispensa (ex art. 36 bis DPR n. 633/1972) prevista per le operazioni esenti indicate all’articolo 10, DPR 633/72. L’opzione va esercitata in sede di dichiarazione annuale IVA o, in caso di esonero, in sede di presentazione della dichiarazione dei redditi.
Da ricordare comunque che gli enti che effettuano solo operazioni esenti non sono tenuti alla presentazione della dichiarazione annuale (articolo 8, DPR 322/98).