Speciale Pubblicato il 08/11/2021

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Web Tax: sintesi su prassi interna e dibattito internazionale

di Baroni Dott. Alberto

Imposta sui servizi digitali (Digital Service Tax, c.d. “Web tax”): una sintesi su prassi interna e dibattito internazionale



All’inizio del 2020 è entrata in vigore la nuova Imposta sui servizi digitali (ISD, c.d. “web tax”, si veda il nostro precedente articolo "Web tax 2020: che cosa cambia").

Sul piano interno, sono stati emanati:

Infine, l’Agenzia delle Entrate ha emanato una corposa circolare (n. 3 del 23/03/2021) per spiegare passo passo la nuova imposta.

Sul piano internazionale, frattanto, è continuato il dibattito ed il confronto sull’opportunità di introdurre regole di tassazione condivise per le imprese multinazionali, al fine di raggiungere una tassazione minima uniforme ed evitare il fenomeno dell’erosione della base imponibile e dello spostamento dei profitti verso i paesi a bassa pressione fiscale (c.d. Beps, Base Erosion and Profit Shifting).

Vediamo sinteticamente i principali punti dei due aspetti (la prassi interna ed il dibattito internazionale).

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Web Tax: la prassi interna

Dai documenti sopra citati emergono alcuni elementi di particolare interesse ai fini della concreta applicazione della norma. In particolare si segnalano:

Web Tax: il dibattito internazionale

A partire dal 2015 in sede OCSE ha preso avvio il progetto Beps [1] al fine di giungere a soluzioni condivise per una migliore ripartizione internazionale dell’imposizione sulle aziende, posto che globalizzazione e digitalizzazione hanno spesso dato luogo a fenomeni di spostamento della materia imponibile verso stati a bassa pressione fiscale. Il G20 si è unito a tale progetto, dando luogo ad una “cornice inclusiva” (Inclusive Framework) tra le due istituzioni per lavorare sul tema. 

Dopo anni di dibattiti e confronti [2], si è giunti alla proposta di una soluzione a “due pilastri” per affrontare le sfide della digitalizzazione economica. 

“Il primo pilastro mira a garantire una distribuzione più equa degli utili e dei diritti di tassazione tra i paesi rispetto alle più grandi multinazionali, che sono le vincitrici della globalizzazione. Il secondo pilastro cerca di porre un limite alla concorrenza fiscale sull'imposta sul reddito delle società attraverso l'introduzione di un'imposta minima globale sulle società che i paesi possono utilizzare per proteggere le proprie basi imponibili. Il secondo pilastro non elimina la concorrenza fiscale, ma ne pone dei limiti concordati a livello multilaterale.” [3]

Sinteticamente, il primo pilastro prevede la riallocazione territoriale del diritto di esigere le imposte dalle grandi multinazionali, assegnando una quota dei profitti alla tassazione dei mercati (e quindi degli stati nazionali) ove le stesse operano, indipendentemente da una presenza fisica in quei mercati. 

Il secondo pilastro prevede che vi sia un’imposizione minima globale sulle multinazionali pari ad almeno il 15%.

La soluzione a due pilastri ha raccolto il consenso del G7 del giugno scorso (nella riunione parallela londinese dei Ministri delle finanze) e si è materializzata in una Dichiarazione Ocse/G20 del 1 luglio 2021, cui hanno aderito 134 paesi [4], la quale, portando a compimento il lavoro di questi anni, ha previsto che:

  1. quanto al primo pilastro, che le multinazionali con oltre 20 miliardi di euro di fatturato ed almeno un 10% di utile operativo (ricavi meno costi di produzione) vedranno riallocati una cifra tra il 20% ed il 30% dell’utile superiore al predetto 10% negli stati ove tale profitto sia stato conseguito (ripetiamo, indipendentemente dalla loro presenza fisica), prevedendo che in tal modo saranno riallocati circa 100 miliardi di dollari di profitti;
  2. quanto al secondo pilastro, che le multinazionali con almeno 750 milioni di euro di fatturato pagheranno un’imposta societaria al minimo del 15%; ciò dovrebbe comportare maggiori entrate globali per circa 150 miliardi di dollari.

Tale intesa è stata recepita dai Ministri delle finanze e dai Governatori delle Banche centrali a Venezia il 9-10 luglio durante la riunione a loro dedicata nell’ambito del percorso del G20 (a presidenza italiana).

Con una dichiarazione in data 8 ottobre 2021 [5] l’Ocse ha annunciato la sottoscrizione dell’accordo (lievemente rivisto) sul sistema a due pilastri [6] – a partire dal 2023 - da parte di 136 paesi su 140 partecipanti all’Inclusive Framework (mancano Kenya, Nigeria, Pakistan e Sri Lanka):

Tale rivisitato accordo è stato approvato dai Ministri delle finanze e dai Governatori delle Banche centrali del G20 a Washington il 13 ottobre e dai leader del G20 di Roma il 30-31 ottobre.

I paesi aderenti mirano a firmare una convenzione multilaterale nel corso del 2022, con un'attuazione effettiva nel 2023, la quale tuttavia dipenderà da una pronta ricezione delle nuove regole da parte delle numerose legislazioni nazionali, che sarà il vero banco di prova per verificare l’effettiva volontà di implementare tale riforma.

Gli accordi prevedono anche l’eliminazione della varie web tax esistenti. D’altra parte si ricorda che la web tax italiana già prevede la sua auto-abrogazione dalla data di entrata in vigore delle disposizioni che deriveranno da accordi raggiunti nelle sedi internazionali in materia di tassazione dell'economia digitale.

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[1] Cfr. https://www.oecd.org/tax/beps/ 

[3] Addressing the tax challenges arising from the digitalisation of the economy, OECD/G20 Base Erosion and Profit Shifting Project, Luglio 2021, pag. 3, in https://www.oecd.org/tax/beps/brochure-addressing-the-tax-challenges-arising-from-the-digitalisation-of-the-economy-july-2021.pdf



TAG: Gli aspetti fiscali del commercio elettronico