La sorveglianza di unità immobiliari facenti parti di un caseggiato e/o di aree condominiali rappresenta un tema di particolare interesse per i condomini che, per contrastare il crescente fenomeno dei furti od altri reati nelle proprietà private, non esitano ormai a ricorrere a sistemi di videosorveglianza
È sorto quindi il problema, certamente delicato, di riuscire a bilanciare le legittime esigenze di prevenzione e contrasto del crimine con quelle altrettanto legittime di privacy e riservatezza di quanti vengono ripresi dalle telecamere.
In ogni caso dopo la riforma del condominio si è finalmente “accantonata” quella tesi sostenuta da alcuni giudici di merito secondo cui tra le attribuzioni dell’organo assembleare non vi sarebbe la possibilità di assumere decisioni volte alla tutela dell’incolumità delle persone e delle cose dei condomini, compresa quella volta ad approvare l’installazione di un impianto di videosorveglianza.
Vediamo alcune indicazioni della giurisprudenza e gli aspetti da tenere in particolare considerazione in tema di videosorveglianza nel condominio.
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È soltanto per effetto del nuovo articolo 1122-ter, introdotto dalla legge di riforma del condominio, che è stato eliminato ogni dubbio sulla liceità dell’installazione delle telecamere in condominio per la videosorveglianza del cortile e delle altre parti comuni ed è stato anche colmato il vuoto legislativo che esisteva in ordine al quorum necessario per deliberare legittimamente, da parte dell'assemblea, l'installazione di un impianto di videosorveglianza sulle parti comuni: serve il voto favorevole espresso dalla maggioranza degli intervenuti in assemblea (non importa se presenti personalmente o per delega) portatori di almeno la metà del valore dell'edificio .
La videosorveglianza entra dunque tra quegli atti di gestione dei beni comuni demandati dall'art. 1135 c.c. all'esclusiva competenza dell'assemblea.
La decisione su tale argomento resta limitata ai soli condomini, per precisa volontà del nuovo legislatore di confermare il principio per cui la gestione del condominio è lasciata esclusivamente ai proprietari delle singole unità che lo compongono, unici a restare vincolati anche in tema di esborsi dalle decisioni assunte dall'assemblea.
In ogni caso, si tratta di un’innovazione non suscettibile di utilizzazione separata (anche se agevolata, visto che il Legislatore ha ritenuto di richiamare un quorum deliberativo più basso rispetto a quello ordinariamente previsto dall’art. 1136, comma 5, c.c.) con la conseguenza che le relative spese andranno suddivise tra tutti i condomini, compresi i dissenzienti, in base alle rispettive quote millesimali.
In ambito condominiale la videosorveglianza mira alla sicurezza e la protezione dei beni comuni e di quelli individuali. Solitamente è possibile individuare eventuali danni entro uno o due giorni. Tenendo conto dei principi di minimizzazione dei dati e limitazione della conservazione, i dati personali dovrebbero essere – nella maggior parte dei casi (ad esempio se la videosorveglianza serve a rilevare atti vandalici) – cancellati dopo pochi giorni, preferibilmente tramite meccanismi automatici.
Secondo il Garante, in ambito condominiale, è comunque congruo ipotizzare un termine di conservazione delle immagini che non oltrepassi i 7 giorni. In ogni caso non è previsto o consentito che i condomini utilizzino le telecamere per controllare le modalità del deposito dei rifiuti nelle aree condominiali da parte dei singoli condomini.
Le videoregistrazioni effettuate con telecamere di sicurezza dal singolo condomino per provare un reato commesso nei suoi confronti nelle parti comuni sono prove documentali, acquisibili ex art. 234 c.p.c., con la conseguenza che i fotogrammi estrapolati da detti filmati ed inseriti in annotazioni di servizio non possono essere considerati prove illegittimamente acquisite e non ricadono nella sanzione processuale di inutilizzabilità.
Tali riprese non necessitano della diretta visione nel contraddittorio tra le parti, alle quali è garantito il diritto di prenderne visione o copia.
In ogni caso non può invocarsi la normativa sulla privacy per evitare ad un condomino di utilizzare in giudizio dette videoregistrazioni necessarie per provare gli atti persecutori dei vicini colpevoli del reato di stalking. Secondo la Suprema Corte, la ripresa delle parti comuni per accertare la commissione di atti illeciti non configura gli estremi dei reati di violazione di domicilio e di interferenza illecita nella vita privata altrui ex artt. 615 e 615-bis c.p. Non costituisce, cioè, una violazione della privacy dei condomini (Cass. pen. sez. V, 28/05/2021, n. 30191).
Anche al fine di evitare di incorrere nel reato di interferenze illecite nella vita privata (art. 615 bis c.p.), l’angolo visuale delle riprese deve essere limitato ai soli spazi di propria esclusiva pertinenza, ad esempio antistanti l’accesso alla propria abitazione, escludendo ogni forma di ripresa anche senza registrazione di immagini relative ad aree comuni (cortili, pianerottoli, scale, garage comuni) o antistanti l’abitazione di altri condomini. In caso contrario la vittima potrebbe richiedere un risarcimento danni.
Da notare però che non qualsiasi tipo di danno è suscettibile di essere risarcito, essendo richiesto che lo stesso superi una soglia di rilevanza tale da renderlo effettivamente e concretamente lesivo della sfera esistenziale del soggetto. Vi è una lesione del diritto alla riservatezza piuttosto lieve, se la telecamera del condomino riprende solo il veicolo della vittima (con la relativa targa) in entrata ed in uscita dal box, con possibilità di “carpire” il ritratto, se non nel caso di passaggio a piedi ma senza un’apprezzabile vicinanza dell’inquadratura (Trib. Palermo 16 marzo 2021 n. 912).